Everybody’s Everything, il documentario su Lil Peep, è ora disponibile su Netflix Italia.
La storia di Gustav Elijah Åhr, prima ancora di quella di Lil Peep, non è una storia facile da digerire. La sua infanzia è stata segnata da una crisi familiare mai del tutto somatizzata, che a poco più di 10 anni lo ha visto – insieme al fratello – al centro di una famiglia che si stava sgretolando, lacerata dalle azioni di un padre che era assente già prima di abbandonarli definitivamente. Le ferite emotive causate dalla rottura con la figura paterna non guariranno mai del tutto, e anzi saranno spesso e volentieri “carburante” per le liriche di Lil Peep, come affermato da lui stesso a più riprese. Dove l’ispirazione artistica dà, però, la fragilità personale toglie: il dramma famigliare e le sue conseguenze non abbandoneranno mai la fragile psiche di Peep, persona incredibilmente sensibile sin dalla tenera età.
Questa è solo una minima parte del ritratto frastagliato dell’artista che viene restituito da Lil Peep: Everybody’s Everything, il documentario che racconta la sua rapida ascesa nel mondo della musica, nonché moltissimi retroscena della sua infanzia e adolescenza. Girato da Terrence Malick, regista amico della famiglia di Peep, il documentario è uno sguardo indiscreto e senza filtri che permette di addentrarsi in tutto ciò che di Lil Peep non si conosceva ancora, o si conosceva poco. L’opera restituisce un quadro complesso, in cui i momenti di serenità e piena felicità – nonostante l’incredibile successo – sembravano essere sempre troppo fugaci, poiché a prevalere, nella vita di Peep, erano sensazioni di tutt’altro tipo. Fino al tragico e prematuro epilogo.
Everybody’s Everything prende il titolo dalla didascalia di un post su Instagram di Peep, post nel quale lasciava trapelare un grande malessere, dovuto al fatto di non riuscire ad essere per gli altri quello che loro volevano che fosse, ma anche quello che lui stesso ambiva ad essere. Il ritratto di Peep che emerge dal documentario è quello di una persona buona, eccessivamente buona, che è finita per essere logorata dalla sua stessa bontà. La condivisione assoluta di tutto ciò che si possedeva – dalle case alla musica, dai soldi ai beni materiali, passando per qualunque palcoscenico – aveva inizialmente contribuito a formare un nucleo molto stretto intorno a Peep. Inizialmente era il collettivo Schemaposse, poi la Gothboiclique, e oltre a loro manager e discografici che presero a cuore la visione e la persona di Peep. Paradossalmente, il periodo più sereno sembrerebbe essere stato quello in cui le luci dei riflettori e i milioni di dollari dovevano ancora arrivare. Per Lil Peep la musica era un modo di esprimere genuinamente sé stesso e il suo disagio, i propri problemi, le proprie paure, le proprie debolezze. Nelle canzoni l’artista rivendicava il suo essere un “outcast”, un emarginato, un diverso, sebbene tanti vicino a lui abbiano confermato che questa cosa lo facesse soffrire. Un paradosso apparentemente illogico, come tanti altri che ne hanno caratterizzato la breve – ma intensa – vita.
Lil Peep è infatti venuto a mancare a soli 21 anni, nell’apice della sua carriera, durante quello che sarebbe dovuto essere il tour della consacrazione. Una morte tragica, un’overdose che ha assunto sin da subito i connotati di un incidente imprevedibile, ma sul quale continuano ad aleggiare nubi di improbabili teorie del complotto. Teorie spesso partorite dai fan più accaniti del rapper, che ancora oggi faticano ad accettare la scomparsa del loro idolo. Teorie che però colpiscono con forza tanti di coloro che hanno fatto parte della vita di Peep per tantissimo, e che ora finiscono per essere accusati di aver contribuito alla scomparsa di qualcuno che per loro aveva fatto molto. Una tragedia nella tragedia, della quale soffrono soprattutto la madre e il nonno di Gus.
La prima, che ad oggi cura in prima persona il patrimonio del figlio, fa ancora fatica ad accettare quanto accaduto. Non cerca però un nemico, qualcuno da accusare, qualcuno da punire. La madre di Lil Peep soffre per la perdita di un figlio, ma soffre anche perché consapevole delle intenzioni rivoluzionare dell’artista nei confronti del music business, un mondo in cui la purezza dello stesso Peep stava facendo fatica a sopravvivere intonsa. L’overdose ha portato via anzitempo il leader di un movimento musicale e culturale nel quale si riconoscevano centinaia di milioni di ragazzi in tutto il mondo, con un’intensità decisamente maggior rispetto a qualunque “semplice” trend musicale degli ultimi anni.
Il nonno di Peep è invece una delle figure più presenti dell’intero documentario, soprattutto con la voce, poiché le lettere inviate al nipote negli anni compaiono a più riprese. Il legame tra i due trascende quello tra nonno e nipote, è più quello di un mentore e il suo pupillo, tra una persona che ha vissuto dolore e disperazione, e il suo prossimo, con il quale vuole coltivare solo speranza e luminosità. Anche per lui, la scomparsa di Peep ha rappresentato qualcosa che va oltre la perdita di un familiare.
Lil Peep: Everybody’s Everything è la storia di qualcuno che ha dato tutto sé stesso a chiunque – alla famiglia, ai fan, agli amici, al mondo della discografia. Qualcuno che ha dato talmente tanto di sé, da rimanere senza nulla. Qualcuno che, pur di far star bene gli altri, si rintanava a piangere nell’armadio di casa sua, quando ogni stanza era piena. Qualcuno che è riuscito a riprendere il controllo sulla propria vita in maniera tragica e incidentale: perdendola.
A noi – ma soprattutto a chi è stato con lui negli anni – resta solo un unico, angosciante dubbio. Che forse, facendo qualcosa diversamente, l’epilogo sarebbe stato diverso. L’unica cosa certa è che la musica, per fortuna, rimane. E forse, un po’ di Lil Peep continuerà sempre a vivere in quei versi che lo rappresentavano più di qualunque intervista, racconto o confessione. Perché Lil Peep ha raccontato Gustav Elijah Åhr più di quanto lo stesso Gus abbia mai fatto.