Lo sci è uno sport per ricchi 

Beh sì, ovvio. Ma anche no: a seconda della bolla social (ma soprattutto sociale) in cui ci si trova, lo sci potrebbe quasi sembrare l’attività invernale per eccellenza, lo sport più divertente del mondo, praticato nei posti più belli di sempre, contornato da tramonti innevati mozzafiato, pranzi in baita, après-ski alcolici e chalet di legno. Dall’altra parte c’è però uno dei luoghi comuni più classici di sempre che ci ricorda che tutto questo sogno fatto di neve, seggiovie e polenta non è per tutti

Lo sci è uno sport per ricchi: praticato da più o meno l’1.5% della popolazione mondiale, è destinato al declino in popolarità visti i crescenti costi per praticarlo. Se anche il benessere economico generale sta aumentando, i costi legati a questo sport subiscono una crescita troppo rapida per poter tenere il passo. Da sempre considerato all’ordine del giorno solo da chi è nato e cresciuto in destinazioni sciistiche, questo sport è per la maggior parte delle persone semplicemente inaccessibile — oggi più che mai. I prezzi degli skipass in Italia sono aumentati fino al 20% negli ultimi due anni e le spese accessorie di conseguenza. Come riassume ChatGPT con un filo di perbenismo: “Lo sci può essere percepito come uno sport per ricchi a causa delle spese associate a questa attività”. Nella sua lista pesano: costo dell’attrezzatura, costo dello skipass, lezioni, istruttori e spese accessorie. Ma il privilegio sociale alla base? 

Per quanto non sia matematico, è abbastanza comune che chi ha avuto accesso a questo sport nel corso della vita (e in particolare durante l’infanzia) appartenga ad una certa sfera sociale provvista di privilegi non indifferenti. L’esempio più ironicamente simbolico si trova nel fatto di “cronaca giudiziaria” più pop e più seguito degli ultimi anni: l’incidente di Gwyneth Paltrow sulle piste da sci dello Utah nel 2016. L’attrice si è presentata in tribunale negli outfit più costosi (e più quiet luxury di sempre) chiedendo un risarcimento di un dollaro simbolico perché chi la aveva travolta sulle piste da sci le aveva “impedito di godersi il resto di quella che era una vacanza molto costosa” — ovvero una mezza giornata di sci, nelle sue parole. Un teatrino che ha divertito moltissimo lasciando però abbastanza scoperte alla luce del sole ferite scottanti riguardanti il privilegio sottinteso in tutto questo. 

Su TikTok la gente ha iniziato ad ironizzare sull’audacia delle “persone ricche” nel chiederti candidamente se hai mai sciato nella tua vita, sollevando una questione forse più grande legata all’inconsapevolezza stessa di chi pratica questo sport e riportando al centro della conversazione quella che forse, alla fine, non è poi così tanto una banalità.

L’immaginario legato allo sci contribuisce pesantemente nel suo innalzamento allo status di attività esclusiva: dallo stile anni ’80 figlio del boom economico, dell’ostentazione della ricchezza alle prime armi e sul filone della “Milano da bere”, fino alle versioni di oggi fatte di campagne pubblicitarie e aperture di boutique come quelle di Jacquemus. C’è quindi la nostalgia che gioca un grosso fattore anche in questo campo — e per una volta a giusta ragione visto lo sviluppo degli impianti e delle località sciistiche degli anni che vanno tra i ’60 e i ’90 del novecento. Con 68 paesi al mondo che offrono la possibilità di praticare questo sport, le Alpi detengono intorno al 40% del totale globale di visite per lo sci; molte delle quali sono trainate dall’attrazione dei resort sciistici, altro grande fattore incisivo nelle questioni legate al lusso e al privilegio.

Insomma, avete presente quando con tanta paura e invidia parliamo del cosiddetto “1%”? L’1% della popolazione globale che detiene una porzione spropositata di ricchezza? Le proporzioni di chi pratica lo sci non sono così distanti da questi numeri, dando fondamenta solide ad un luogo comune fino ad oggi sventolato tra un “non ci sono più le mezze stagioni” e l’altro.