Lo strano legame tra la moda e i tribunali

Si è finalmente concluso il processo che ha visto protagonisti Johnny Depp e Amber Heard con un verdetto che è riuscito a mettere d’accordo gran parte del pubblico. Lo stesso che ha analizzato ogni frammento di testimonianza, espressione facciale e movimento del corpo quasi come fossero indicatori d’innocenza o colpevolezza. L’udienza ha rappresentato uno degli spettacoli più avvincenti dell’ultimo periodo, tra live streaming, clip su TikTok, hashtag e post. Anche in una delle ultime puntate del Saturday Night Live ha avuto luogo uno sketch sulla battaglia legale – inutile dire che non sia piaciuto a molti. 

Quando si parla di tribunale, del resto, le prime impressioni contano molto e hanno il potere di influire sulla decisione del giudice o della giuria. In questo caso un vestito può dire molto, rappresenterà la tua immagine, nel bene o nel male, e la corte – in questo caso più mediatica che d’appello – valuterà la tua credibilità in base al tuo aspetto e comportamento. Per alcune celebrità un abito non indica solo il livello di rispetto per la sala, ma potrebbe stravolgere la percezione che il pubblico ha sempre avuto di una persona famosa. Nel caso Depp-Heard entrambi sono sempre apparsi molto sobri – almeno dal punto di vista stilistico. Considerando poi un processo che ruota in parte sull’abuso di droghe e alcol e sui relativi comportamenti estremi, compresa la violenza fisica, questa non è una coincidenza. 

In merito al codice stilistico, in tribunale non ci si riferisce a un regolamento vero e proprio, tuttavia si predilige un vestiario formale che ancora oggi viene ritenuto un biglietto da visita. I tribunali possono adottare regole interne con cui vengono vietati alcuni capi ritenuti troppo sportivi, ma tendenzialmente si cerca sempre di rispettare un certo dress code.

In genere si riscontra una differenza tra l’ambiente civile e quello penale, in cui il primo risulta molto più informale ma in entrambi i casi viene sempre richiesto un abbigliamento piuttosto composto e sobrio. Così come le toghe per magistrati ed avvocati sono obbligatorie in determinate udienze, anche una persona che partecipa ad un processo deve scegliere il vestito adatto.

Come abbiamo detto, non esistono regole precise ma qualche indicazione è d’obbligo – l’aspetto formale vale sia per i legali che per i clienti, anche se, per questi ultimi e i testimoni, si tratta di limiti meno stringenti. 

Per gli uomini si tende ad indossare giacca e cravatta, con camicia rigorosamente a maniche lunghe, scarpe formali e non da ginnastica. Stessa storia vale per le donne, tendenzialmente in tailleur composto da pantalone o gonna (non troppo corta), tacchi sì, ma non a spillo. Da evitare le scollature, canottiere, pizzi e trasparenze. Molto spesso, inoltre, soprattutto le donne, prediligono l’uso del colore bianco che, essendo sinonimo di purezza e innocenza, potrebbe rimandare a un segnale di non colpevolezza. Viene invece sconsigliato l’uso del profumo e ovviamente pantaloncini, cappelli e occhiali da sole. Se parliamo dei detenuti, invece, ognuno di loro ha diritto ad indossare i propri indumenti durante l’udienza, in quanto presentarsi con la divisa carceraria potrebbe influenzare inconsapevolmente il giudizio dei presenti. 

Se parliamo di celebrità, tuttavia, vediamo l’aula di tribunale trasformarsi in un evento da tappeto rosso in cui un gruppo di professionisti ha il compito di personalizzare il look degli indagati e ogni cosa viene pensata per suscitare una determinata reazione – nulla è lasciato al caso. Il loro stile deve necessariamente apparire autentico, poiché in caso contrario l’inautenticità potrebbe rappresentare un indicatore di inganno. Per cui, avendo un’immagine pubblica già ben definita così come il proprio stile personale, deviare troppo da ciò e mostrarsi sotto una luce diversa potrebbe sembrare ingannevole. 

Nel 2019, Anna Sorokin, la finta ereditiera accusata di essere una truffatrice dell’alta società newyorkese, utilizzava il tribunale come fosse una passerella. Abiti corti in stile baby-doll, choker, pizzo e fiocchi, le persone erano più interessate a sapere come avesse fatto a procurarsi una camicetta Yves Saint Laurent e pantaloni Victoria Beckham che se effettivamente fosse colpevole. I capi venivano scelti da una stylist professionista e presi in prestito per suo conto tramite un benefattore segreto, secondo il suo avvocato Todd Spodek. Il suo team legale, del resto, pensava che un’apparizione in abiti da prigione l’avrebbe fatta sembrare colpevole e avrebbe pregiudicato la giuria contro di lei. Ma questa strategia non sempre è risultata vincente: l’indagata, infatti, un giorno si rifiutò di comparire in aula – suscitando grande irritazione da parte del giudice – perché l’abito non le piaceva. 

La verità è che abbigliamento e immagine pubblica sono impossibili da separare. La rapper Cardi B è apparsa inappuntabile in un’aula di tribunale del Queens per respingere un patteggiamento in un caso di aggressione, indossando un abito a collo alto bianco di Christian Siriano con ampi pantaloni sempre bianchi, capelli perfettamente raccolti in una coda bassa e per finire una Birkin di Hermès. Se da un lato Anna Sorokin aveva un intero account su Instagram dedicato ai suoi look da processo (@annadelveycourtlooks), Cardi B ha condiviso il suo in un post con la didascalia “COURT FLOW”, raccogliendo milioni di like. In effetti, c’è qualcosa di affascinante dietro questi outfit strategicamente studiati.

Nel 2002 i look dei processi per accusa di taccheggio di Winona Ryder sono stati definiti dal New York Times “abiti conservatori ma molto chic”, mentre quattro anni dopo Naomi Campbell in un tubino nero ha preso i suoi problemi legali e li ha trasformati in un’opportunità per mostrarsi perfetta in ogni occasione. 

Ma tra le più iconiche, come non ricordare Lindsay Lohan che è riuscita a spuntare una lunga lista di accuse e condanne. Nel 2011 durante un processo per furto le attenzioni sono state rivolte unicamente a ciò che indossava – abiti corti e attillati con tonalità che andavano dal bianco al beige – piuttosto alle accuse di furto. Questo potrebbe non averla aiutata con i suoi problemi legali ma ha fatto sì che la sua fama e lo status agli occhi del pubblico crescesse. Sempre lei è apparsa in un’aula con una nail art molto particolare: fantasia colorata e sul dito medio la scritta “Fuck U”, fortunatamente mai vista dal giudice. 

Del resto, come ben sappiamo esiste un’ossessione incontrollata che ruota attorno alle celebrità, a modo loro riescono ad esercitare una certa influenza e le loro vite, trovandosi costantemente sotto i riflettori, attraggono sempre più consensi o critiche. Nel momento in cui queste si ritrovano coinvolte anche in dinamiche controverse che permettono al pubblico di esercitare il proprio potere sovrano decretando chi è colpevole o innocente, l’interesse cresce ancora di più. Dal punto di vista puramente psicologico, poi, i cattivi hanno sempre creato trame più intricate e meno banali e il pensiero che un personaggio famoso possa incappare in esse riesce a catalizzare l’attenzione – vedi il caso O. J. Simpson. Che la si voglia chiamare ibristofilia o Sindrome di Bonnie e Clyde, è sempre esistita un’attenzione morbosa verso coloro che hanno commesso reati. Ted Bundy, famoso serial killer americano degli anni ’70, grazie al fascino che è riuscito ad esercitare in aula, difendendosi anche da solo, ha attirato legioni di groupies con tanto di lettere contenenti dichiarazioni d’amore e proposte di matrimonio – nonostante sia stato processato per le barbarie commesse contro trenta donne. 

Il fascino può quindi superare la colpevolezza?

Prendere il controllo del proprio aspetto in uno scenario piuttosto dannoso per la propria immagine, può essere la carta vincente. In questo modo la giustizia viene tramutata in un momento di pubbliche relazioni e la cosa più importante non è sapere se l’imputato sarà o meno colpevole, perché il mondo si soffermerà sull’aura magica o inquietante che si creerà attorno a tale personaggio.