Lo studio dietro gli artwork di Kanye West

Un paio di anni di ritardo, ma come promesso Kanye è tornato. Ormai abbiamo imparato la lezione: dobbiamo dargli il suo tempo. “DONDA” è uscito del tutto a sorpresa, quando ormai eravamo vicini a perdere le speranze. Anche questa volta Ye ha sperimentato, scartato, studiato, presentandoci una nuova estetica che probabilmente lo accompagnerà da qua fino al prossimo disco.

Osservando una panoramica dei suoi lavori precedenti, risulta più facile capire la difficoltà e la complessità dell’obiettivo prefissato. La musica, la cover, il tour, l’abbigliamento non sono mai aspetti che Kanye considera singolarmente. Tutto deve combaciare e rispecchiare fedelmente le emozioni che il rapper vuole trasmettere in quella determinata fase della sua vita. A volte è un periodo, altre un momento – e questo rende l’impresa ancora più ardua e spinosa. “It was difficult, because every week, Kanye has new ideas — changing, changing, changing”, ha affermato Murakami quando nel 2007 si è trovato per la prima volta a mettere le mani su un’opera d’arte di Kanye, “Graduation”. L’obiettivo è sviluppare di volta in volta un’estetica destinata a restare iconica negli anni successivi ed è probabilmente questo il motivo delle lunghe attese. Crediamo davvero che sia così facile far combaciare tutto?

La ricerca della perfezione – anche quando si parla di sentimenti – è ciò che tormenta e angoscia l’animo di Kanye. Il motivo delle attese e dei ripensamenti su “DONDA” è stato proprio questo, combinato alla difficoltà del rapper di dare una definizione stabile a sé stesso. Come si fa a fotografare un’estetica se la propria personalità, la propria visione, cambiano in continuazione? Sempre Murakami, al secondo incontro per “Kids See Ghosts” dieci anni dopo, aveva maturato che “Kanye is the greatest artist because he is exactly a psycho and he can make a big hit”.

Eppure, arte e perfezione – a seconda del significato attribuito al termine – non vanno esattamente d’accordo. La perfezione la troviamo però nella combinazione di aspetti curati dal rapper, che riescono alla fine sempre a sorprenderci e a convergere tutti quanti nella stessa direzione. Kanye ci tiene all’effetto sorpresa, ci tiene a stupire e a stravolgere, con un’estetica più o meno d’impatto ma sempre forte e definita. I suoi dischi non sono solo dischi, sono esperienze. Le chiavi con cui ci invita ad entrare a far parte del suo viaggio. Per farlo, Ye ha sempre coinvolto una molteplicità di figure, artisti e designer. Virgil Abloh, Murakami, KAWS, Condo, sono solo alcuni dei nomi più evidenti a cui il rapper ha fatto affidamento negli anni. L’importante, nella ricerca dei suoi collaboratori, è che sappiano “esprimere la propria visione più vera, non basata su ciò che la società o la cultura ritengono sia giusto”. 

“The College Dropout” (2004)

Eric Duvauchelle è il nome di colui che ha seguito la direzione artistica del primo importante album di Kanye, lo stesso che dà vita alla trilogia del Dropout Bear. Lo shooting era già stato realizzato da Danny Clinch e l’idea del costume da orso è nata in realtà casualmente: qualcuno lo aveva lasciato inerme proprio sulle gradinate di quella palestra. La capacità di Duvauchelle, nonostante sia entrato in gioco solo dopo, è stata quella di scegliere proprio quello scatto, che trapela vuoto e solitudine, a contrasto con l’effettivo ruolo di una mascotte. Quasi a voler sottolineare l’unicità, la difficoltà di scegliere chi essere.

Dropout Bear is meant to be the most popular representation of a school, yet in the cover, it shows Kanye in the mascot suit/head, all alone sitting on bleachers.

Eric Duvauchelle a Complex

Eric ha scelto anche gli ornamenti in oro che lo circondano, trovati su un libro di illustrazioni del XVI secolo e sovrapposti all’immagine per avvalorare l’ammirazione di Kanye per l’arte. Questa copertina nasce da una chiara richiesta del rapper: la volontà di prendere le distanze da tutto ciò che era l’immaginario rap dell’epoca. Ci è decisamente riuscito.

“Late Registration” (2005)

Dopo il colpo di fulmine con quella prima estetica nata quasi per caso, Kanye ha deciso di continuare sulla stessa strada, ma adesso sembra un po’ meno sprovveduto. Il Dropout Bear non è più abbandonato sulle gradinate, ma si mostra quasi minaccioso all’entrata della Princeton University. Ha capito di aver fatto la scelta giusta. La realizzazione del progetto è stata affidata allo studio di graphic design Morning Breath Inc, sotto la direzione creativa di Louis Marino. Le ispirazioni sono diverse e sorprendenti. Lo stile provocatorio degli scatti prende spunto dalle opere d’arte di John Currin, pittore satirico statunitense tra i preferiti di Kanye, mentre il contesto e la location si rifanno all’immaginario proposto da “Harry Potter”. 

Lo stile di Kanye non è più il casual di “The College Dropout”, adesso veste molto più elegante e sfacciato, con gli occhiali a goccia che lo seguiranno durante le sue esibizioni live. Marino riesce infatti a dare al progetto uno stile più sofisticato rispetto al precedente, resterà entusiasta nel riuscire a far disegnare a LV uno zainetto personalizzato per il Dropout Bear.

“Graduation” (2007)

Le opere di Murakami sono decisamente inconfondibili e lo stile quasi futuristico delle rappresentazioni si sposa perfettamente con la grandiosità del disco. Kanye ha finalmente fatto centro, è questo che il progetto deve trasmettere: coraggio e ambizione. Ye ha scalato e conquistato il mercato musicale, mai tradendo sé stesso, ma piuttosto – come disse la madre – “con il coraggio di abbracciare chi sei, piuttosto che seguendo il percorso che la società ha tracciato per te”. Anche i video musicali di “Stronger” e “Good Morning” sono stati seguiti dalla direzione artistica di Murakami, colorata, energica e decisamente nuova per un progetto musicale di un artista rap. Quegli occhiali sbarrati, sempre più vistosi e bizzarri dei precedenti, diventeranno il simbolo di quell’estetica destinata a durare – purtroppo – ben poco.

N.B.: La fede è sempre stata una costante nella musica di Kanye. La collana messa in bella vista all’interno della cover esiste realmente e il rapper se la porta dietro sin da “The College Dropout”, in cui – addirittura – nel libretto del package, scrive una lettera di ringraziamento a Dio, dicendo che “Jesus is the executive producer of my life”.

“808s & Heartbreak” (2008)

Virgil Abloh mette il proprio nome sulla direzione artistica del quarto progetto del rapper, ma il compito affidato a lui e Willo Perron non è semplice. È un periodo decisamente buio, in cui Kanye si trova ad affrontare il vuoto provocato dall’improvvisa morte della madre e dalla rottura con la fidanzata Alexis Phifer. Dropout Bear viene messo da parte per far spazio a uno stile minimal che incornicia l’incredibile vulnerabilità dell’artista in quel frangente della sua vita. Lo sfondo grigio, anonimo, mette in evidenza l’unica emozione che Kanye riesce a provare: un cuore vuoto, sgonfio. La fotografia di Kristen Yiengst verrà poi ripresa da KAWS per la deluxe del disco, che col suo tocco delicato darà una piega ancora più drastica ai sentimenti del rapper, dividendo il cuore in due. I colori scelti da KAWS sono però decisamente più vivaci dei precedenti, e sembrano voler catturare le sfumature di “Graduation”. Anche l’abbigliamento di Kanye da allora sarà più anonimo, spento, con un grosso cuore spezzato sempre appuntato sul petto.

It was just what was in my heart. The type of ideas that it was coming up with, the melodies that were in me — what was in me I couldn’t stop.

Kanye a MTV Europe

“My Beautiful Dark Twisted Fantasy” (2010)

Se l’approccio minimal del precedente è stato rivoluzionario, niente come il lavoro dietro “MBDTF” è stato così imponente. A realizzare la cover del disco è stavolta George Condo che – ancora una volta sotto la direzione artistica di Virgil – dopo una sessione di ascolto del disco e qualche chiacchierata con Kanye West, se ne è uscito con ben 8 opere d’arte, di cui solo 5 poi sono state scelte. Il colore predominante è il rosso, che Kanye indosserà anche nelle sue successive esibizioni, abbinando l’abito alle sue Louis Vuitton Don. I temi crudi affrontati nel disco si riflettono quindi alla perfezione nell’immaginario proposto da Condo, che aggiunge al tutto un tocco d’angoscia. D’altronde, dopo lo spiacevole inconveniente dei VMA, Kanye aveva bisogno di tornare con un impatto decisamente forte e maestoso, proponendo un’estetica che desse giustizia ai lati oscuri messi in risalto nel disco. Non a caso, la richiesta fatta a George Condo prima di iniziare, è stata quella di realizzare “something that will be banned”, e la prima reazione al risultato è stata “I’m shocked”. 

Condo è riuscito a rappresentare lo stato d’animo sfaccettato e confuso dell’artista, ha contribuito a rendere iconica la ballerina di “Runaway” e ha colto l’importanza e la decadenza del Dropout Bear, rappresentato in una delle opere infine scartate.

“Watch The Throne” (2011)

Iconicità, potere e unicità sono gli imperativi seguiti da Riccardo Tisci, allora direttore creativo di Givenchy, durante la realizzazione dell’artwork, ancora una volta sotto la direzione artistica di Virgil Abloh. Il risultato è stato talmente soddisfacente da essere nominato ai Grammy come Best Recording Package. L’opera di Tisci vuole rappresentare il valore e la ricchezza portati dall’unione di due mastodontici artisti come Kanye e Jay-Z; i simboli quasi ricamati esprimono il consolidamento di una forza collettiva. Possiamo affermare che Tisci sia stato l’artefice dell’estetica che i due hanno portato avanti successivamente: è stato lui a realizzare il merchandising con i loro volti mischiati a quello di una pantera, lui si è occupato di tutti gli abiti del tour, nonché della realizzazione del kilt in pelle nera indossato da Kanye. L’oro e il nero sono stati i colori che hanno dominato le apparizioni di Ye e Jay nel periodo successivo.

L’accostamento a figure animali lo ritroviamo anche nel tour stesso di “Watch The Throne”, caratterizzato da grossi blocchi con tanto di video in cui apparivano – esattamente sotto ai piedi degli artisti – due grossi squali nell’oceano.

“Yeezus” (2013)

Virgil Abloh mostra forse questa volta la sua più forte influenza, in quanto è lui solo – insieme a Kanye – a pensare e realizzare la cover di uno degli album più rivoluzionari del rapper. Tanto rivoluzionario da aver poco bisogno di un artwork pomposo, bastava qualcosa di semplice e iconico. Torna infatti con uno stile decisamente minimale, ispirato alla filosofia del leggendario designer della Braun, Dieter Rams: “Weniger, aber besser”, traducibile come “Meno, ma meglio”. “È venuto a trovarci in sogno” – dirà Abloh – per suggerire loro l’estetica dell’opera. Curioso è il processo artistico che, in questo caso, sembra quasi inverso: le opere d’arte sono arrivate dopo. La campagna promozionale del disco ha infatti visto l’affissione di alcuni poster con la cover spoglia con su scritto PLEASE ADD GRAFFITI e diverse figure note – come ESPO, Curtis Kulig, Wil Fry, Mister Cartoon e James Franco – hanno realizzato la loro versione. Alla fine la scelta è rimasta sullo stile minimal, ma su Apple Music troveremo una cover alternativa realizzata da Jim Joe (già conosciuto per la cover di “If You’re Reading This It’s Too Late” di Drake). La musica, come voleva Kanye, è sicuramente posta al centro di questo progetto, ed è forse per dare una voce alla sua arte che il rapper ha deciso di coprirsi il voto – durante il tour – con l’iconica maschera realizzata da Maison Margiela. È solo la musica, il suono, a parlare.

“The Life of Pablo” (2016)

Ad essere tirato in gioco questa volta è Peter De Potter. L’artista belga è riuscito con la scelta delle immagini a creare un collage che desse valore a uno dei temi centrali del disco, l’amore per la propria famiglia. La prima foto è infatti presa da uno scatto di famiglia al matrimonio dei genitori di Kanye; la seconda, in contrapposizione, mette in risalto il corpo della modella Sheniz Halil.

Kanye in questo frangente inizia a guardare le cose da una diversa prospettiva, maturando l’importanza del proprio pubblico, che all’ottavo album gli resta ancora fedele nonostante le sbandate e le diverse proposte musicali. L’estetica di “The Life of Pablo”, immersa in un caloroso arancione, segna infatti un cambio di prospettiva nella pratica: quella del palco sospeso in cui Kanye si sopraeleva. Il pubblico è unito e le luci sono rivolte verso di loro. Interessante, per entrare in quest’ottica, è la modifica del titolo: inizialmente il disco doveva chiamarsi “So Help Me God”, ma Ye si è poi reso conto che non era affatto necessario.

“Ye” (2018)

Ye” è l’unico progetto la cui copertina è stata ideata e realizzata per mano dello stesso Kanye. L’artwork si riassume infatti in una sua stessa foto – scattata dal telefono – alle montagne di Jackson Hole, in Wyoming, mentre si recava al listening party dell’album, con l’aggiunta di una scritta fatta di fretta (e pure male) probabilmente sulle note del suo iPhone. Ormai dovremmo sapere che Kanye va matto per l’imprevedibilità, e in un certo senso questa caratteristica va a comporre l’estetica di questo disco. Anche il listening party ne diventa parte integrante, perché è in questo periodo che il rapper inizia a capire l’importanza di vivere la musica con le persone che lo circondano, soprattutto in un momento di debolezza come quello in cui è immerso il progetto.

La scritta sulla cover dà già un bell’indizio e dichiara esplicitamente al mondo il suo disturbo bipolare, un tema che approfondirà nel disco parlando di salute mentale e dipendenze. Kanye inizia a lasciarsi andare alla semplicità, come se quanto fatto in “Yeezus” gli fosse particolarmente rimasto dentro. I suoi vestiti sono sempre più larghi, cerca la comodità e raramente indossa qualcosa che non sia suo. I colori cupi e freddi del contesto fanno contrasto con i colori caldi scelti per il merch, come a voler dare ancora una volta importanza e calore a coloro che lo indossano.

“Kids See Ghosts” (2018)

È di nuovo Takashi Murakami a metterci le mani, e stavolta segue fedelmente il suggerimento proposto dal titolo del disco. Forte della compagnia di Cudi, Kanye ritrova un po’ della sua felicità spensierata, ed è questo che vuole trasparire dalle calde sfumature dell’artwork – ispirato in realtà a un’opera già realizzata dall’artista nel 2001. Non a caso, troviamo in questo progetto il ritorno dell’ormai lontano Dropout Bear, all’interno di quella che dovrebbe essere una serie animata diretta ancora da Murakami. Il merch è molto semplice, tappezzato da cuori e grossi smile giallo canarino; il release party è fedele al contesto proposto dal disco e si è svolto infatti in una segreta città fantasma nel sud della California, in cui gli invitati sono stati portati a bordo di un bus. A dare grande forza all’estetica del progetto è ancora una volta lo stage realizzato per il tour: il palco è di nuovo sospeso, ma stavolta si tratta di un box di vetro all’interno del quale l’ombra di Kanye volteggia e si muove più libera che mai.

“Jesus Is King” (2019)

Kanye torna alla semplicità, inginocchiato di fronte a qualcosa di decisamente più grande, la sua fede. La cover diventa quasi secondaria, sempre espressiva, ma messa da parte per far parlare il contenuto. Trasuda rispetto e devozione. Si tratta infatti della pura e semplice immagine del disco in vinile, con un blu pieno e audace, il nuovo colore preferito del rapper – la stessa tonalità della felpa perfetta. I colori sono sempre più forti, i vestiti sempre più larghi e suoi. La perfezione viene ritrovata nella natura, è lì che Kanye sembra riconoscersi; il verde dei prati, il blu del cielo, il marrone della terra e il bianco della neve che riempie il video di “Follow God”. È il periodo dei Sunday Service, del ritorno a far musica in mezzo alla gente, a terra, in un gruppo unito e coeso.

“DONDA” (2021)

Il percorso di “DONDA” è stato assai più complicato. La prima cover, pubblicata in tempi non sospetti, era stata realizzata da Pierre-Louis Auvray – anche artefice delle ultime maschere indossate da Kanye – ma forse fin troppo colorata per l’umore che avrebbe accompagnato il disco. L’artwork è stato infatti inizialmente scartato per far spazio a una nuova opera, che tornava a seguire uno stile prettamente minimal. L’immagine faceva riferimento a un’opera dell’artista francese Louise Bourgeois e il motivo della scelta era probabilmente legato al passato della scultrice, che avrebbe realizzato la collezione dopo la perdita della madre in giovane età.

Evidentemente, però, era tutto troppo. L’uscita del disco ci ha fatto scoprire infatti una nuova cover, un blocco nero. Nero e nient’altro. Una scelta poco capita, ma non casuale. Il colore nero ha infatti pesantemente accompagnato le ultime esibizioni del rapper andando a coinvolgere lui stesso e gli ospiti, ma anche i collaboratori dietro le quinte. Il rosso della prima notte – e della donna sull’opera di Bourgeois – si è spento; forse il dolore, l’amore, la passione che lasciano spazio al lutto. Uno spazio vuoto che lascia fluire i suoni e le voci del disco, come a volerci dire che adesso è il momento di guardare oltre, che nessuna immagine, opera o colore possono rappresentare ciò che Kanye ha bisogno di esprimere.