L’ombrello è molto più di quello che immaginiamo

Impugnato in qualità di sostituto del classico bastone da passeggio oppure sorretto con una mano sopra la propria testa nutrendo la speranza che una violenta folata di vento non lo scaraventi via, l’ombrello è un oggetto che, soprattutto in alcuni periodi dell’anno, rappresenta una vera e propria costante all’interno delle nostre vite. Si tratta di un prodotto con il quale ci interfacciamo ormai con una disinvoltura tale da averlo rimosso dal raggio delle attenzioni che dedichiamo alle cose che ci circondano e tendiamo a vederne esclusivamente il suo lato più tecnico e funzionale: a noi, in fin dei conti, interessa non inzupparci di acqua i vestiti per strada. L’ombrello, dunque, viene usato per quello che è, senza che nessuno si ponga degli interrogativi sulla sua storia, sulla sua evoluzione o anche sul perché continui a rimanere pressoché invariato nella struttura rispetto alla sua forma originale. Beh, aggiungendo un altro tassello alla serie di approfondimenti che vedono come protagonisti oggetti e spazi della quotidianità troppo spesso usati e vissuti con superficialità – come le sedie bianche in plastica, le turbine eoliche o le stazioni di rifornimento – oggi abbiamo deciso di prendere in esame l’ombrello: chissà se, la prossima volta che lo userete, lo guardare con occhi diversi.

Paris Street; Rainy Day (1877), Gustave Caillebotte

Prima di diventare una ricorrente presenza sulle griglie di partenza dei gran premi di auto e moto come impeccabile supporto pubblicitario, l’ombrello ha solcato i secoli e attraversato le culture di tutto il mondo, compiendo una parabola che lo ha visto assumere, di volta in volta, il ruolo di oggetto di culto o di calzante esempio della produzione in massa di beni materiali. L’aspetto più sconcertante, però, è che durante tutto il lungo corso della sua esistenza non abbia mai subito sostanziali variazioni: che si tratti di un parasole cinese del XII secolo o dell’ombrello acquistato fuori dalla stazione a causa di un diluvio inaspettato, la sua struttura rimane invariata e il principio di funzionamento lo stesso. Tuttavia, per capire qualcosa in più dobbiamo fare un salto indietro nel tempo.

In realtà le informazioni sulla nascita dell’ombrello sono varie e perlopiù confuse, in quanto si fatica a trovare un punto di incontro tra i pareri di coloro che hanno cercato di risalire al momento storico e all’area geografica di invenzione. Ciò che è certo, comunque, è che si tratti di un oggetto antichissimo e che, secondo alcune fonti, può risalire fino al tempo degli Egizi. Inizialmente la sua funzione era diversa da quella a cui siamo abituati oggi: di certo, l’antico Egitto non ce lo immaginiamo costantemente colpito da temporali ed acquazzoni. Come indica l’etimologia della parola ombrello, che deriva dal diminutivo del latino “Umbra”, questo oggetto nasce con l’obiettivo di offrire una piccola ombra da portare con sé, proprio per riuscire ad alleviare l’effetto del sole diretto sulla parte superiore del corpo umano. In Egitto, dunque, gli unici a godere di queste “ombre portatili” furono inizialmente i faraoni e pochi altri membri delle alte sfere della società che, durante la permanenza all’esterno delle abitazioni, si accompagnavano con dei ventagli parasole, a tutti gli effetti gli antenati dell’ombrello per la pioggia.

Parasole di Tutankhamon

È sicuramente in oriente, e più precisamente in Cina, che l’ombrello iniziò ad assumere le fattezze a noi più note, anche se continuò a rimanere un oggetto esclusivo e destinato a un ristretto bacino di utenza. È confermato, infatti, che l’ombrello assunse valenza sacra venendo associato al culto dell’imperatore e, in questi termini, la Cina non fu un caso isolato. In Giappone, per esempio, furono i samurai ad adottarlo come strumento di protezione e nell’antica Grecia venne associato al culto di Dioniso. Spostandoci all’epoca dello splendore dell’Impero Romano, invece, l’ombrello inizia ad essere scelto dalle donne non tanto come oggetto utile per la sua funzione, quanto un ottimo accessorio con cui completare la propria immagine da mostrare alla società, anticipando di centinaia di anni il ruolo predominante dell’ombrello agli inizi del 1900. Continuando ad essere costruito ed utilizzato nei secoli a venire, l’ombrello arriva alla sua completa evoluzione solo nel 1500 per mano di Caterina de’ Medici che lo impiegò e lo diffuse soprattutto in Francia. Da qui bastò poco per raggiungere le piovose terre inglesi, luogo nel quale assunse la funzione che ancora oggi lo caratterizza e dove le donne iniziarono a farne ampio uso tanto che diventò un simbolo di femminilità e una vera e propria moda possedere uno.

Da quel momento l’ombrello entrò a far parte delle giornate delle persone, diventando un oggetto fedele al quale affidarsi per muoversi in condizioni atmosferiche avverse. La sua sorprendente diffusione fu favorita anche dall’introduzione, nel 1800, di montanti metallici che subentrarono a quelli di legno o bambù eccessivamente pesanti. Inoltre, iniziò a farsi strada una maggiore attenzione allo sviluppo della forma e delle finiture dell’impugnatura, talvolta impreziosita da pietre e materiali rari in modo tale da rendere l’ombrello un vero e proprio bene di lusso e status symbol. Sin dai primi decenni del Novecento, accompagnarsi con un ombrello, sia come parasole che come parapioggia, diventò un fenomeno di costume che, solo in tempi più recenti, si è visto un po’ scomparire. Donne e uomini delle classi più abbienti sceglievano accuratamente quale ombrello abbinare al meglio al proprio look, mentre le altre classi della popolazione lo continuavano a sfruttare per la sua funzionalità: in ogni caso, l’ombrello si diffuse a macchia d’olio fino ad arrivare ad oggi, periodo nel quale nelle nostre case ne possediamo anche più di uno, magari acquistato per qualche euro o ricevuto in regalo come gadget aziendale.

Come già accennato, l’ombrello storicamente non ha posseduto solamente un valore funzionale e d’utilizzo, ma spesso è diventato un accessorio fashion al pari di cappelli, cravatte e borse. Questa seconda vita dell’oggetto, che si separa dal ruolo vero e proprio per il quale è stato ideato, non ha di certo accennato ad interrompersi nel corso del tempo. Uno degli esempi più eclatanti riguarda la produzione del Futurismo, avanguardia storica di artisti italiani che nei primi decenni del 1900 hanno dato vita ad una produzione artistica che non si limitava solamente a quadri e sculture. I futuristi, infatti, hanno voluto applicare la propria visione artistica dirompente in numerosi campi della cultura, tra i quali emerge anche la moda. Ed è qui che ritroviamo l’ombrello poiché, oltre ai celeberrimi panciotti futuristi di Fortunato Depero, anche questo oggetto è stato scelto come supporto per applicare i risultati della ricerca artistica condotta da alcuni dei membri dell’avanguardia. Negli ultimi anni, inoltre, non smettiamo di vedere l’ombrello entrare nelle collezioni delle firme più importanti della moda e solcare le passerelle sorretti da modelli e modelle. Un paio di esempi calzanti sono sicuramente la sfilata di Raf Simons per la collezione SS18, in cui ogni look era accompagnato da un ombrello perfettamente aderente all’atmosfera e al setting dello show, e l’inusuale scelta di Fendi di proporre, per la collezione menswear Autunno-Inverno 2018/19, un ombrellino da indossare sul proprio capo caratterizzato dall’inconfondibile stampa a doppia F.

A questo punto, è arrivato il momento di prendere in considerazione l’ombrello nell’ambito del design. È vero che abbiamo parlato della sua immutabilità nel corso dei secoli, infatti gli ombrelli che usiamo tutti giorni differiscono per poche e marginali caratteristiche rispetto a quelli che venivano usati 100 anni fa, tuttavia ci sono designer che continuano a lavorarci sopra, proponendo alternative che posso puntare ad una possibile evoluzione o che si concentrano nel mettere a punto l’oggetto senza stravolgerlo. Yoske Nishiumi, per esempio, è un designer che ha sviluppato un ombrello asimmetrico con l’obiettivo di migliorare la protezione dalla pioggia in funzione della modalità e dell’angolazione con la quale la persona sorregge l’impugnatura. Senz, questo il nome dell’ombrello, è stato ideato nel 2009 e ha vinto numerosi premi. Anche Nendo, il collettivo giapponese di designer capitanato da Oki Sato, ha deciso di mettere le mani sull’ombrello focalizzando la propria attenzione non tanto sulla calotta protettiva, quanto sull’impugnatura che ha assunto una forma ad Y. Questa raffinata e minimale interpretazione dell’ombrello, infatti, può essere appoggiata a terra mantenendosi “in piedi” oppure può essere appesa sullo spigolo di un tavolo o di una mensola.

Per concludere vogliamo segnalare uno stimolante progetto del tutto italiano che porta l’ombrello all’interno delle case, sicuramente non nel modo in cui siamo abituati a vederlo. Andrea Forapani, attraverso il suo studio chiamato Lombrello, ha progettato una sedia in legno completamente configurabile e dotata della possibilità di arricchirla con accessori: tra questi spicca un vero e proprio ombrello che viene installato sul retro dello schienale per offrire copertura a chi decide di sedersi. Risulta del tutto chiaro ora che l’oggetto che nel periodo invernale usiamo tutti i giorni per evitare di arrivare completamente bagnati a scuola o a lavoro, alle sue spalle non lo solo possiede una storia lunghissima, ma mostra anche come un prodotto possa inserirsi in campi a lui apparentemente estranei diventandone un protagonista: non è da tutti essere un ottimo strumento per soddisfare dei bisogni e, allo stesso tempo, diventare un simbolo di stile nell’immaginario di epoche e società.