Non si scopre oggi: nel calcio, cash is king. Il denaro è ciò che fa girare realmente il pallone sul rettangolo verde, ora molto più che in passato. Poi è vero, abbiamo delle prove che non sempre è così: il Chelsea nel 2022/23 ha speso 611 milioni di euro sul mercato (più altri soldi per i cambi di allenatore) per arrivare dodicesimo in Premier League, mentre squadre dalla spesa modica come Inter, Milan, Union Berlino e tante altre hanno raggiunto traguardi ben più interessanti sia in Europa che in campionato. Ha fatto discutere come l’Inter quest’anno, nonostante gli ottimi risultati, non percepirà un euro dal main sponsor per via del fallimento dell’accordo con Digitalbits, ma la recente partnership con Paramount+ potrebbe aver creato un interessante precedente. Avere più sponsor tecnici durante il medesimo anno potrebbe essere il futuro.
Facciamo un passo indietro. Il main sponsor è da sempre la principale fonte di reddito assicurato per i club (le vendite dei biglietti infatti non sono garantite) anche se recentemente gli sponsor tecnici stanno invertendo la rotta grazie a investimenti sempre più ingenti. Ad esempio Bayern Monaco, Real Madrid e Barcellona guadagnano il doppio rispettivamente da adidas e Nike su base annuale rispetto a ciò che fatturano con i main sponsor. Ormai siamo abituati a vedere sponsor aggiuntivi sulle jersey: sul retro delle maglie, sulle maniche, sul solo kit di allenamento o sulle felpe da utilizzare in panchina. Questa possibilità di selezionare sempre più brand e loghi permette alle squadre di diversificare le entrate, garantendo maggiore fatturato, specie per le squadre dalla disponibilità economica più ridotta. In queste condizioni troviamo sicuramente la Serie A, campionato che nel 2020, con i suoi 132 milioni annui, si posizionava nella classifica dei fatturati complessivi relativi ai main sponsor dietro a Premier League (398 milioni), LaLiga (171 milioni) e Bundesliga (166 milioni). La cosa ancora più preoccupante è che 42 di questi 132 milioni erano destinati esclusivamente alla Juventus, lasciando 90 milioni alle altre 17 squadre. Ora il divario è ancora più ampio. Poi abbiamo i casi come quello di Digitalbits che non si ritrova in grado di pagare le cifre pattuite all’Inter e parte di quelle destinate alla Roma. Di conseguenze troviamo squadre campioni d’Italia che non riescono a fare mercato, anzi spesso devono vendere i propri pezzi pregiati (il quasi certo addio di Kim dal Napoli a pochi giorni dalla festa Scudetto è solo l’ultimo esempio) o devono addirittura ridimensionare le aspettative dei nuovi stadi di proprietà.
I main sponsor strutturati a obiettivi o a pacchetti temporali potrebbero essere una soluzione. Se squadre come le già citate Inter e Union Berlino raggiungono traguardi straordinari, queste potranno fare particolare cassa nella fase decisiva della stagione. Ad esempio, l’Inter avrebbe preso 24 milioni quest’anno da Digitalbits, mentre per le sole due partite che concludono la stagione (la sfida col Torino e la finale di Champion League), i nerazzurri metteranno in banca 4 milioni da Paramount+, praticamente la stessa cifra che il servizio di streaming pagherà l’anno successivo nel passaggio sul retro della divisa (4.5 milioni più 0.5 di bonus). Ovvio, il tutto è legato ai risultati: senza il raggiungimento degli obiettivi o di partite importanti nella scena continentale, il guadagno rischia di essere molto basso. Particolarmente in pericolo potrebbero essere i piccoli club senza coppe, per cui al momento i main sponsor, per quanto poco paghino, risultano un’ancora di salvezza dal fallimento. Per capirci, nel campionato 2021/22 Salernitana, Spezia e Genoa hanno guadagnato 1 milione di euro a testa dai rispettivi main sponsor per tutta la stagione di Serie A. L’unico momento d’oro potrebbe essere fornito dal calendario, pensiamo al Lecce che in un singolo mese del 2023 ha giocato contro Napoli, Milan, Juventus e Lazio in un momento fondamentale del campionato, con un’audience televisiva e dal vivo che ha raggiunto i suoi picchi stagionali. In questo caso, i pugliesi avrebbero potuto fare richieste più ingenti per un main sponsor mensile, ma nel resto del campionato avrebbero comunque rischiato di non portare a casa i dividendi desiderati.
Insomma, questa struttura può essere vantaggiosa? Sì, almeno in teoria, ma principalmente per le squadre medio/grandi che giocano le coppe europee o sono in lotta per il campionato. Certo, le super big non verrebbero particolarmente toccate, specie se consideriamo i maxi accordi trasversali che toccano anche altri elementi quali i naming rights dello stadio, come ad esempio per Barcellona e Manchester City. Anche se la recente esclusione delle società di scommesse in Premier League e nella Liga potrebbero creare un terremoto, specie perché parliamo delle società più presenti sulle maglie da calcio europee (con l’11.2% delle sponsorizzazioni). Pensiamo però a Napoli, Lazio, Inter, Roma, Union Saint-Gilloise e Royal Anversa, tutte squadre che avrebbero enormemente beneficiato di questo inedito e particolare formato.