Le cose migliori capitano sempre così: del tutto a sorpresa. Proprio come il nuovo album del king del rap, È finita la pace, sbucato dal nulla sulle nostre piattaforme in una fredda e grigia mattina di dicembre, addirittura in un orario non canonico, in modo che nessuno potesse accorgersene in anticipo. Le cose migliori, tra l’altro, sono anche quelle che non necessitano di grandi spiegazioni, ed è questo il caso. A differenza di quello che accade in altri casi, in cui un’interpretazione si rende necessaria, nelle sue barre non c’è ambiguità, è tutto alla luce del sole. Non c’è bisogno di note a margine, parafrasi, commento: davanti a noi c’è un artista che non si nasconde dietro il filtro della poesia e delle figure retoriche, ma anzi le usa per amplificare il concetto e dargli forza. Tutto ciò che aveva da dire lo ha detto, in tredici brani coraggiosi come pochi altri. A maggior ragione in un periodo storico in cui nessuno si espone più per paura delle conseguenze.
A colpire non è solo la sua schiettezza, ma soprattutto i temi su cui sceglie di esercitarla. Sul fatto che la nostra classe politica non brilli per lungimiranza e competenza siamo tutti d’accordo, ad esempio, ma in generale gli artisti che affrontano l’argomento (specie quelli che arrivano dal rap) spesso tendono a mettere tutti nello stesso calderone. Il che è un modo molto comodo per non crearsi veri nemici: se non c’è differenza tra destra e sinistra, tra governo e opposizione, tra populisti e rigoristi, si potrà sempre dire che non ce l’avevano con nessuno in particolare, ma solo col sistema. Marra, invece, punta il dito contro il “governo di fasci che dice frasi preistoriche / Pensano che basti riempire il vuoto con l’ordine” (da Crash). E non ha paura di infrangere tabù ancora più grandi, a rischio di incorrere direttamente nelle ire del(la) Presidente del Consiglio: “Gente di potere sa il potere della gente / Sa che chi ha un potere e non lo esercita lo perde / Uomo sotto scrivania di donna presidente / perché è una questione di potere e non di gender” (sempre da Crash). E a proposito delle dinamiche tra sessi, osa perfino infrangere un tabù ancora più grande, intitolando un brano Troi* non per parlare di una donna, ma per parlare di sé: “Perché ogni donna che becco / Non riesco a non pensare a come sarebbe a letto? / Sospetto ogni uomo fa questo / Forse sono solo l’unico qui a essere onesto / Dire playboy non sarebbe lo stesso / Casanova, Dongiovanni… troi* lo rende meglio”.
A volte, però, ci vuole ben più coraggio a parlare di ciò che non funziona in casa propria, e cioè nell’industria musicale. E Marracash non si tira indietro neanche su questo. Vi sembra che ultimamente le canzoni siano tutte uguali? Anche a lui: “Carriati dai feat / Fitti fitti, stessi nomi / Carriati dai rit. scritti dagli stessi autori / E ogni anno si abbassa l’asticella / Provo a farci il limbo, con la testa tocco terra / Ti ricordo, bimbo, chi saresti con ‘sta sberla / Senza Sanremo, senza l’estivo, senza Petrella” (da Power Slap; il riferimento è a Davide Petrella, l’autore hitmaker italiano per eccellenza, richiestissimo da tutti). Perché per Marra, si sa, “Con la musica è seria la storia / Ma per te è una troia da mettere a battere” (da Happy End). Corre senza problemi il rischio di inimicarsi i suoi fan fotografando l’ovvio, cioè che gli artisti non sono lì a loro disposizione, perché hanno anche altro a cui pensare: “Rollo mentre scorro nei DM / Suppliche e richieste / Non rispondo mai, come un dio indifferente / Troppa merda mi occupa la mente” (da Detox / Rehab). E alcune barre, come quelle di Vittima, sembrano una lettera aperta ai colleghi più giovani e turbolenti, che forse non saranno contenti di essere apostrofati così: “Che farai adesso? A chi darai la colpa? / Alla tua zona, agli istituti, a una famiglia storta? Tu vuoi raccontarti che sei stato vittima / Che rispetto agli altri la tua rabbia è più legittima / Quante volte hai pensato di farla pagare a tutti / Sei solo riuscito a farti pagare, non li hai distrutti”.
Si potrebbe andare avanti a citare barre iconiche e temerarie ancora per molto: il paragone tra stato e crimine organizzato in Happy End, la sistematica demolizione del mercato del lavoro in Factotum, lo scetticismo nei confronti della tecnologia di Mi sono innamorato di un AI. Ma è nel capitolo politica estera che Marracash dà il suo meglio La Palestina è diventata un argomento intoccabile in molti circuiti, tanto che molti suoi colleghi si lanciano in epici giri di parole pur di non prendere posizione. Nella title track È finita la pace, invece, lui si chiede “Chi finanzia il genocidio a Gaza? / Chi comanda? / Siamo solo una colonia e basta”. E il semplice uso del termine “genocidio” pesa come un macigno, perché l’ultimo artista che ha provato a utilizzarlo su un palco che contava davvero (Ghali a Sanremo) si è visto crollare addosso una valanga di polemiche. Ma è proprio questo che distingue i veri artisti: utilizzano il prodotto della loro creatività per lanciare un messaggio. Anche quando il messaggio è scomodo.