Nel corso della storia del cinema molteplici registi si sono interrogati sullo scorrere del tempo e sull’inesorabile fine della civiltà per come l’abbiamo sempre conosciuta. Dall’utopia di Metropolis di Fritz Lang, sino alle più moderne manifestazioni come Blade Runner di Ridley Scott o l’iconico Brazil di Terry Gilliam, ognuno di questi film ha sempre avuto un unico comun denominatore: riprogettare il presente per intravedere un nuovo futuro.
Ma cosa succede se a realizzare un film di questo portata è un regista di 85 anni che vede nel suo stesso compimento il fine testamentario di una gloriosa carriera cinematografica? Per Francis Ford Coppola, Megalopolis, è sempre stata l’utopia perfetta. Ideato durante le riprese di Apocalypse Now e definito dallo stesso Coppola come il copione dei sogni, Megalopolis è stata fin dal principio un’opera senza precedenti.
Come raccontato al Guardian da uno dei suoi più fidi collaboratori, il sound designer premio Oscar Richard Beggs, inizialmente l’opera era stata progettata per essere proiettata solamente per quattro serate all’interno di un anfiteatro ideato appositamente per l’esperienza cinematografica di Megalopolis, ma già nel 1989 si vociferava che il film avesse preso una strada completamente differente trasportando tutta la troupe negli studi di Cinecittà. Ma anche in quel caso Megalopolis rimase solo un bel sogno dentro un cassetto.
Nel tempo, così come molti film dopo, Coppola ha sentito nuovamente l’esigenza di ritornare sui suoi passi, di mettere finalmente in scena la sua opera più personale e autentica alla soglia finale della sua carriera, ed oggi grazie una grandissima opera di auto-finanziamento abbiamo la possibilità e l’onore di godere di qualcosa che rimarrà per sempre impresso nella storia del cinema.
Ma cosa vuole rivelare effettivamente la nuova opera mastodontica di Coppola? Nonostante le molteplici critiche che hanno avvolto il film durante la sua prima proiezione al Festival di Cannes, reo di essere eccessivamente pomposo, sconnesso e poco incline al linguaggio cinematografico contemporaneo, Megalopolis è un film straordinariamente caotico e rivoluzionario.
Ambientato in un futuro prossimo nella nuova capitale mondiale della civiltà moderna, New Rome, il potere è stato suddiviso su tre aree d’interesse: Franklyn Cicero, sindaco della città, Hamilton Crasso III, detentore del potere economico e infine Cesare Catilina, direttore della Design Authority e luminare architetto, intenzionato a creare la città perfetta che possa evolversi insieme ai suoi stessi abitanti.
La favola, così denominata dallo stesso regista, raccoglie svariati elementi e grandi temi come la politica, l’architettura, la filosofia, il sesso, l’amore e la lealtà; il tutto si manifesta nell’autentica dimostrazione che l’evoluzione della civiltà stessa sia la più grande nemica dell’umanità.
Tra intrighi di corte, un nuovo Madison Square Garden adibito alla corsa delle bighe (meravigliosa la citazione a Ben-Hur), la dea Vesta costruita come una pop-star ante litteram, il terrore dell’olocausto nucleare, in Megalopolis si assiste all’utopia di una nuova civiltà scandita dallo scontro perenne tra chi vorrebbe mantenerne l’ordine attraverso idiomi passati e a chi vede nel futuro la possibilità di riscriverne la forma: “non lasciare che il presente distrugga il per sempre”.
Come analizza Bilge Ebiri su Vulture, Coppola, che si ritrova perfettamente nel suo protagonista sempre intento a risorgere dalle sue stesse ceneri, costruisce Cesare come un vaso imperfetto. “Possiede enormi poteri — nella sequenza di apertura del film, lo vediamo fermare il tempo mentre si appoggia precariamente al Chrysler Building — ma è anche un egocentrico, assorbito dalla sua genialità e incapace di scendere a compromessi o di prendersi cura di coloro che stanno sotto di lui. La vita di Cesare inizia a cambiare con l’arrivo della figlia festaiola di Cicerone, Julia, l’unica altra persona che vede la sua capacità di fermare il tempo, e che sembra avere lei stessa lo stesso potere. È attratta dalla sua genialità, ma ovviamente tra loro sboccia anche una storia d’amore che sembra più metaforica che reale”.
In questo estremo turbinio di elementi che alle volte si fa quasi fatica a comprendere, un suono rimane sempre costante, lo scorrere inesorabile del tempo. Sin dalla prima sequenza in cui assistiamo a come Cesare Catilina riesca quasi magicamente a fermare il tempo e a modellarlo secondo le sue leggi, un continuo e risuonante ticchettio invade la scena. L’universo comunica perennemente con Cesare e questo non fa altro che accrescere la sensazione che il tempo sia insito nel suo stesso personaggio tanto da far si che il suono diventi dimensionale rispetto alla sua stessa esistenza.
Per Coppola la configurazione sonora è sempre stata al centro della sua cinematografia, tanto da definirla la propria amica speciale. Ideatore del suono per come lo conosciamo oggi, insieme ad uno dei più grandi sound designer della storia del cinema, Walter Murch, il regista creò insieme a George Lucas, alla fine degli anni 70, gli studi American Zoetrope dove per la prima volta vennero coniate le prime tecniche di registrazione che permisero effettivamente di far diventare la colonna sonora parte integrante di un film tanto da renderla un elemento cruciale alla sua riuscita.
Infatti come racconta lo stesso Christian Cooke, re-recording mixer di Megalopolis, la lavorazione sonora del film si è basata su una forte ricerca incentrata sulla psicoacustica e sull’architettura degli elementi in modo da raffigurare perfettamente ciò che avveniva nella mente di Cesare Catalina così come nella morfologia architettonica della New Rome, in procinto di essere trasformato in una nuova Megalopolis.
La musica e l’architettura sono state intimamente unite da una connessione cosmica, dall’idea che entrambe siano generate da un codice sottostante e la loro fusione psicoacustica fa si che ogni elemento, come lo stesso tempo che le racchiude insieme, ne costruisca le fondamenta. Ad esempio le colonne dei palazzi di New Rome che trasudano inizialmente antichità sono viste più obliquamente, e la scanalatura ornamentale diventa come un solido muro di ritmi verticali, che accelerano ancora di più con un angolo più stretto. Come proferisce lo stesso Cesare Catilina: “l’architettura non è nient’altro che musica congelata” e il suono ne controlla ciò che molto spesso la narrazione non riesce effettivamente a fare, mostrando l’inizio di un nuovo modo di concepire il flusso vitale e acustico.
Conseguentemente al suono che ne delinea l’evoluzione temporale e architettonica verso una nuova civiltà, uno degli aspetti più interessanti della colonna sonora originale di Megalopolis è come la musica, commissionata già negli anni 80 e composta da Osvaldo Golijov, ne mantenga intatta l’imponenza storica ispirandosi ai grandi classici Hollywoodiani dei film storici in costume — di cui i maggiori rappresentanti furono il tre volte Premio Oscar Miklós Rózsa e lo stesso Alex North.
Attingendo dalla stessa tavolozza sonora di Rózsa, Golijov ridefinisce la musica dell’antichità, grata ai grandi colossal come Ben-Hur e Spartacus, arricchendola di nuovi e sgargianti elementi che fanno si che la sua musica sembri provenire da ogni epoca, proprio come lo stesso film. Ma mentre nella colonna sonora sono presenti moltissimi suoni contemporanei e una costante sensibilità pop, il veicolo travolgente che sostiene l’azione e l’emozione è l’orchestra; una linea sonora che persiste nel cinema in un’epoca in cui tutto ciò che riguarda la cultura attorno ad esso è cambiato. La sua composizione è sognante, libera di ogni schema, fondendosi apertamente con l’obbiettivo di Coppola nel costruire una favola senza tempo in cui futuro, presente e passato ridefiniscono le sorti della civiltà.
L’opera di Coppola si inserisce in uno spazio sospeso che non può affatto essere compreso dall’industria cinematografica contemporanea, dove tutto sembra già scritto ed ogni linea artistica ampiamente programmata a monte. Il cinema deve sconvolgere e Coppola lo fa con tutte le armi a sua disposizione e con gli elementi che da sempre ne hanno scandito il tempo del suo cinema.
Come dice Cesare Catilina: “per comprendere il tempo devi conoscere te stesso” e sembra quasi che lo stesso regista, scherzando con il pubblico così come con la critica che lo ha ferocemente attaccato, voglia forse ammettere che il suo tempo sia effettivamente finito — ma non prima di regalarci la sua ultima perla utopistica, Megalopolis, un trattato sull’umanità e sul proprio universo in continuo mutamento.