Incastonato a metà fra le spiagge della riviera romagnola e le colline dell’Alta Valmarecchia, a una dozzina di kilometri da Rimini, sorge un piccolo borgo noto soprattutto per la buona cucina, la poesia e il teatro. Santarcangelo di Romagna conta poco più di ventimila abitanti ed è, fra le altre cose, la città natale del poeta Tonino Guerra. Chi sceglie di raggiungerlo a piedi o in bicicletta, percorrendo la pista ciclabile che costeggia la sponda del fiume Marecchia, troverà, nascosto fra la fitta vegetazione, un villaggio singolare, popolato da sculture e installazioni bizzarre. Alcune di queste creazioni assumono le sembianze di inquietanti cyborg, un po’ surreali, altre di giganteschi insetti, altre ancora richiamano forme indefinite. Ci sono camion d’altri tempi e vecchi autobus a due piani, calati in uno scenario postapocalittico. Visto da fuori, il suo aspetto non è troppo diverso da quello di una discarica.



Cercando sul web il nome del villaggio, Mutonia, le definizioni che si leggono sono parecchie e piuttosto singolari: “utopia punk”, “comunità di ribelli”, “parco artistico libero”, “eco-villaggio”. Si trovano addirittura espressioni come “oasi artistica postapocalittica” e “zona franca dell’immaginazione”. Probabilmente però Mutonia non è altro che una comunità di artisti – la Mutoid Waste Company – che in nessun altro modo si sarebbero mai incontrati. Esperti saldatori, meccanici, designer, musicisti, performer, scenografi.
Il nome Mutonia viene dall’azione del mutare. La mutazione intesa come possibile cambiamento per le sorti della vita dell’individuo ma – soprattutto – dell’oggetto, la cui vita non è mai del tutto finita. La Mutoid Waste Company è una comunità basata sulla mutazione dello spreco, degli scarti (principalmente meccanici), riconvertiti attraverso un artigianato visionario in oggetti, totem, case, robot e macchine da scenario cyberpunk.
Come collettivo nasce artisticamente e politicamente nella Londra di fine anni Ottanta, raccogliendo energie ed esperienze di persone provenienti dagli ambienti punk, forgiati dalla cultura rave e ispirati dall’immaginario distopico dei film di Mad Max e dei fumetti di fantascienza. Il gruppo, che condivide l’esigenza di vivere al di fuori della società dei consumi e dei suoi dogmi, con particolare rispetto per l’ambiente, è nomade per natura. A seguito del provvedimento di Margaret Thatcher contro i rave party e i travellers, attraversano mezza Europa con furgoni, van e camper, portando ovviamente con sé le loro costruzioni giganti e realizzandone altre in ogni luogo oltrepassato. Transitano per Amsterdam, Parigi, Barcellona e Berlino, per poi ritrovarsi, un po’ per caso, a Santarcangelo di Romagna.
È l’estate del 1990 quando la compagnia viene invitata al Festival Internazionale dei Teatri di Santarcangelo, il più antico tra quelli dedicati in Italia alle arti della scena contemporanea. A Santarcangelo i Mutoid si insediano vicino al fiume, in prossimità di una vecchia cava abbandonata e piena di ferraglia arrugginita, che era un po’ terra di nessuno. Colpiti dalla cordialità della gente, decisero di restare, trasformando quella che doveva essere soltanto la sistemazione occasionale di un gruppo di artisti eccentrici in un villaggio, e trovando a Santarcangelo quella dimensione che per anni avevano inseguito in giro per il mondo. Di permesso in permesso, passando per concessioni e delibere, anche grazie al sostegno del comune, Mutonia ha oggi oltre trent’anni di vita. Non ospite, bensì parte integrante del paese, con i cui abitanti ha creato una dimensione pressoché simbiotica. Vicendevolmente autoalimentata. Andy, chitarrista scozzese che a Mutonia è arrivato nel 1993, confessa di sentirsi santarcangiolese “come il formaggio di fossa” – un formaggio molto caratteristico, ottenuto tramite fermentazione e prodotto solo in alcuni specifici borghi della Romagna.






Il villaggio copre circa 22 metri quadrati di superficie, sorge a fianco al fiume Marecchia e si alimenta con energia solare. È dotato dei servizi essenziali e di una sua rete fognaria: può ospitare un massimo di trenta abitanti, tra artisti e familiari. Un numero fisso dunque, predisposto a partire dalla metratura quadrata massima su cui gli è stato concesso “costruire”. Non si occupano di riciclo, ci tiene a sottolineare Andy, bensì di riuso: se una cosa non è più utilizzabile per lo scopo con cui è stata creata può comunque diventare altro. Si realizzano opere sia collettive che individuali e ciascun artista lavora il proprio medium preferito, che siano rottami o carcasse di veicoli di ogni tipo, ma anche legno, plastica, gomma, lamiere.
Gli ultimi arrivati si sono stabiliti a Mutonia da un paio di anni, altri vivono qui dai primi anni Novanta. Altri ancora sono diventati addirittura nonni. Anche se qualcuno se ne è andato, non bisogna commettere l’errore di scambiare Mutonia per un villaggio vacanze. Viverci non è scelta per tutti. Non si ha un’etichetta di Mutoid e non esiste un tesseramento. La vita all’interno del villaggio è molto organica e spontanea, anarchica per certi versi: non ci sono capi, gerarchie o ruoli di potere, la gente si organizza in base alle esigenze. Chi potrebbe essere il più competente sulla singola questione del giorno, sarà capo per quel giorno. Solitamente, prima di accettare un nuovo abitante all’interno della comunità c’è una sorta di periodo di prova, a cui segue un piccolo consiglio e un voto fra gli abitanti.
Tra gli ultimi a essere arrivati, ad esempio, c’è Davide, trasferitosi insieme alla sua compagna e alle loro due figlie. Accanto alla loro abitazione si trova un camion con un imponente rimorchio verde, sul quale spicca in giallo la scritta “Cinéma du Désert”. Si tratta di un cinema itinerante alimentato da energia solare, concepito per portare in giro proiezioni cinematografiche, spesso in quei luoghi esclusi dai circuiti tradizionali. Durante la bella stagione, la famiglia parte per lunghi viaggi e il loro mezzo si trasforma in una piccola sala cinematografica ambulante. La prima proiezione è stata a Timbuktu.
Poco più in là, si trova la casa di Lyle, 61 anni, canadese e ancora indubbiamente punk, tra i primi ad essersi insediato a Mutonia. Era il 1995. Ha costruito la sua abitazione negli anni, utilizzando esclusivamente materiali di recupero, principalmente oggetti meccanici ed elettrici abbandonati, trovati qua e là. Per le porte ha utilizzato cabine telefoniche inglesi. La cucina era un vecchio vagone del circo. Armadi e cassetti sono stati ricavati a partire dalle cabine dentro cui passavano i cavi elettronici di Telecom. L’intera casa è scaldata da una stufa a legna, anch’essa ottenuta dal motore di un camion degli anni Novanta. Andy va da anni a recuperare i materiali alla stazione ecologica di Gambettola, un paese poco distante, anche se ammette che oggi, a causa delle norme sui depositi, è molto più difficile di un tempo. Lyle non ha figli. Però ha dato alla luce Daisy, un rinoceronte meccanico che sputa fuoco e che ha costruito con un motore Volkswagen Golf diesel 1600, ispirandosi ai giocattoli zoids in voga negli anni Ottanta.



Probabilmente nessun Mutoid potrebbe fare una vita “normale”. Qualcuno ci ha provato per qualche tempo – chi facendo il falegname, chi insegnando a scuola, chi cucinando in ristoranti della zona -, ma firmare il cartellino e ripetere la stessa routine ogni giorno si è rivelato troppo lontano dai loro ideali. Hanno preferito essere i datori di lavoro di se stessi. Negli anni sono cambiati, adattandosi come il territorio che abitano. Approdati a Santarcangelo ventenni, ora la maggior parte degli abitanti del villaggio ha superato i cinquanta. «Non siamo più quelli di una volta, ma manteniamo la stessa idea di vita. Non organizziamo più rave e non siamo più sbruffoni come quando eravamo appena arrivati. È necessario adattarsi al tempo che si vive, altrimenti la storia prende il sopravvento su di te. La voglia di cambiare il mondo c’è ancora, ma magari ora più che fuoco cerchiamo di essere acqua, spargendo semi qua e là»
Ci sono persone che si limitano a considerare l’arte un semplice sguardo sul mondo. E va benissimo così. Altre scelgono invece di farne la propria casa, il proprio modo di intendere la vita, trasformandola persino in un paese in cui abitare. Oltre a ferro e plastica, a Mutonia da oltre trent’anni si saldano soprattutto nuovi modi di abitare il mondo: meno comodi e abituali certo, ma anche più liberi e solidali. Un esperimento unico nel suo genere, perlomeno in Italia, un modo di vivere in cui l’arte e l’autoproduzione diventano strumenti di resistenza alla società degli agi e dell’omologazione di massa. Questo è il mondo dei Mutoid.