In occasione dell’uscita di “Nati Diversi“, il suo ultimo album in uscita il 27 marzo, abbiamo chiacchierato con Gianni Bismark, soffermandoci sul disco, sulla musica e sul suo percorso, finendo a parlare di calcio. Anzi, abbiamo dilagato nel calcio prima di subito, ancora prima di cominciare. Ne è nato un parallelo tra calcio e pezzi del disco, senza però tralasciare l’aspetto umano e musicale di Tiziano (aka Gianni Bismark), o altri argomenti, come la moda.
Partiamo dal video di Gianni Nazionale. Hai tirato fuori dei tocchi di palla niente male. Giochi ancora a calcio?
Ho giocato per una vita qui a Roma ma ormai saranno quattro anni che non gioco più. L’ultima volta che ho giocato, pensa, ci siamo fatti una squadra noi qui alla Garbatella. Abbiamo proprio messo noi i soldi e abbiamo fatto un campionato con le squadre del quartiere.
In che ruolo giocavi?
Sempre dietro le punte, numero dieci. Senza il dieci sulla maglia davo il 50%!
Trasportiamo questo discorso ai pezzi del tuo album. Quale canzone è la numero dieci, il fantasista del disco?
Il numero dieci è senza dubbio “Nati Diversi”, la title track. Non ci sono dubbi, numero dieci sulle spalle e fascia da capitano al braccio.
A questo punto facciamo la formazione. Partiamo dal portiere. Una canzone del disco che ti mette sicurezza, come solo un leader della difesa può fare.
Difficile. Ti dico “Ne Hai Fatti 100”, quella con Tedua. Poi c’è anche il beat di Chris Nolan, quindi più sicuri di così è impossibile. Prima punta invece metto “La Strada è Nostra”, quella con Geolier, perché è una bomba. A tirare le fila della squadra, a centrocampo, ci metto “Quello Vero”, che a mio avviso è una delle tracce più belle ma credo farà fatica ad arrivare al pubblico. La metto in quel ruolo appunto per questo.
Come mai dici che una traccia come “Quello Vero” non verrà apprezzata quanto le altre?
Non lo so in realtà, è un sentimento. Di solito le tracce che mi appartengono troppo sono quelle che passano meno al pubblico. Forse perché alla fine le capisco solo io.
Alla fine tutto il disco arriva come un racconto personale, ma declinabile all’esperienza di ogni ascoltatore. “Nati Diversi” ne è un esempio, giusto?
Esatto, “Nati Diversi” è il simbolo dell’album, come dicevamo. Io parlo sempre di esperienze mie personali. Parto da fatti estremamente intimi che poi però generalizzo, così che ognuno possa rapportare quelle immagini, quelle parole, a esperienze o scene della propria vita.
Ti riferisci a qualcuno in particolare nel testo? Anche a livello di sonorità mi sembra un pezzo diverso rispetto alla gran parte della tua discografia.
La persona a cui mi riferisco nel testo è qualcuno di impersonale, appunto perché ognuno possa identificarlo con chi vuole. Per quanto riguarda il sound, devo dire che non sono partito dicendo “oddio, devo fare una canzone differente”. Poi è vero, è uscita una canzone un po’ diversa rispetto a mie altre, ma è stato qualcosa di naturale.
Parlando di cambiamenti, mi è parso che anche i beat fossero diversi dal solito. C’è il tuo sound, c’è la romanità e alcuni campioni particolari come quello di Piazza del Popolo, ma in generale mi sono parsi meno cupi. Si tratta di un viaggio mio o effettivamente è così?
Sì, è vero. Perché il mio è un percorso. In “Re Senza Corona” ho iniziato un po’ a capire cosa voglia dire provare alcune particolarità, prima però rappavo molto chiuso, restavo molto sulle mie. Non volevo fare ritornelli, non volevo cantare. La mia è stata un’evoluzione che è partita dai beat fino alla voce. Diciamo che è una transizione che capisce chi ha ascoltato “Re Senza Corona”, perché lì avevo già iniziato a provare qualcosa di diverso. Avrei avuto paura a far uscire canzoni come sono alcune di “Nati Diversi” così, di punto in bianco, ma con l’album precedente la transizione è naturale. In questo album ho sperimentato ulteriormente perché non mi piace fossilizzarmi su qualcosa. Penso che ci si debba sempre evolvere. Non c’era nessun bisogno di fare “Re Senza Corona Parte 2”, quell’album esiste già, c’era bisogno di “Nati Diversi”. Alla fine che tu canti, rappi, suoni o canti un’ottava sopra non è importante. Se quello che dici è forte, il pezzo arriva.
Ritornando ai paralleli calcistici, tra i tuoi temi c’è sempre quello della squadra. Non parlo di AS Roma ma del tuo gruppo di amici, di persone fidate, che sono poche ma molto unite.
Sicuramente. Questo si sente particolarmente nella traccia “Poche Persone”. Il motivo è semplice. Da quando sono iniziate a girare le carte in questa cosa del rap, vedo un sacco di gente che ha iniziato a salutarmi come fossimo fratelli, la stessa gente che prima non mi si era mai inculato nemmeno per sbaglio. Mai una chiamata, mai un messaggio. Ora invece il ferro è caldo quindi quando dico “intorno poche persone, che te vonno tutti salì sopra” intendo quello. Poi, come abbiamo detto, ciò che scrivo lo trasformo un po’ nei testi ma sono tutte cose che ho vissuto, che di conseguenza sento mie.
Restando proprio sulle esperienze tue da rapportare a chi ascolta. Alla fine di “Nse Vedemo Mai” dici “ho fatto i soldi in un appartamento, soltanto per comprà un appartamento”.
In questo caso si parla del classico vissuto del ragazzetto che ha fatto strada. Poi ognuno ha il suo percorso. Io sono arrivato alla musica ma ho sempre lavorato in cucina. Non avendo un lavoro fisso, uno pensa a faticare, a mettere da parte e la prima cosa che si prende è la casa.
Parlando di cibo e di cucina. Prima dello stadio dove si mangia?
Prima dello stadio si prende del pane, della buona mortadella, lo si mette in saccoccia e si mangia allo stadio.
Il calcio è anche un grande connettore con i tuoi fan, con cui giochi molto a FIFA.
Giocare a FIFA con i fan è un’attività nata per caso. Ogni tanto gioco e mi capitava di pubblicare delle Instagram Stories riguardanti le partite online. I fan hanno incominciato a scrivermi dicendo di giocare. Un giorno pioveva, non sapevo che fare, e ho messo il nome del mio account PSN nelle storie, così ho iniziato a giocare. Tra l’altro c’è una cosa che mi fa troppo ridere. Devi sapere che il 90% dei fan che sfido sono fenomeni, e ogni volta che mi segnano scelgono l’esultanza in cui mi chiedono scusa. Capito? Come quando un giocatore segna contro la sua ex squadra. Questa cosa me fa sballà.
Outpump tratta anche moda, ti faccio una domanda. Chi ti segue da un po’ non può non identificarti con Stone Island. Hai cambiato stile o è ancora il marchio preferito? Vedo che ti piace molto Versace.
Questi due sono i preferiti, però devo essere sincero, non sono così in fissa con la moda. Magari ora che c’è qualche soldo in più mi prendo qualcosa di Versace, mi levo lo sfizio. Però sì, cappellini Stone Island, quanti ne avevo. Ne ho persi un sacco, porca troia. A ogni concerto che facevo, a fine concerto tiravo il cappello, o lo mettevo su un fan. I concerti poi si sono fatti sempre di più e i cappelli sempre di meno. Ne avevo parecchi, ormai me ne saranno rimasti due.
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