Walter “Kraken” Pugliesi è un fighter italiano di MMA (le Mixed Martial Arts, lo sport da combattimento più popolare al mondo) che prima di quello che vi sto per raccontare vantava un record di otto vittorie e tre sconfitte. Peso medio da ottantaquattro chili, l’ho conosciuto tempo fa: Pugliesi viene da Arcore, un paese vicino a Milano, e ha avuto un passato difficile dovuto a una situazione familiare complessa, a problemi di droga e con la giustizia da cui si è ripreso anche grazie alla scoperta delle arti marziali miste, che hanno contribuito a salvarlo. Una volta mi ha detto: «Più che rinato, mi sento resuscitato». Un personaggio unico anche grazie al look estremo che lo caratterizza: Pugliesi è completamente ricoperto di tatuaggi, viso compreso. Per tutti questi motivi, quando ho saputo che sabato avrebbe combattuto al “Milano in the Cage”, storico evento delle MMA italiane, ho deciso di seguirlo da molto vicino, dal backstage fino alla gabbia.
Al mio arrivo al palazzetto incontro subito Walter nel tunnel che porta agli spogliatoi. È vestito in modo sportivo e sta parlando al telefono, mi saluta con un cenno. Proseguo ed entro nella spaziosa stanza che ospita gli atleti, separati dai loro avversari. Le pareti sono di un giallo acceso, ci sono due file di panche e appendini che lascia no comunque buon agio per potersi muovere e in fondo troviamo il bagno e le docce. Il soffitto è alto, il pavimento piastrellato. Saluto anche Lorenzo Borgomeo, il coach di Pugliesi del team Aurora MMA, il più importante d’Italia nelle arti marziali miste. Gli chiedo che impressioni ha sull’incontro che attende il “Kraken”: «L’avversario è insidioso, ha una fisicità importante, ma Walter è più completo», mi risponde. «Deve ragionare, fare un match intelligente e non farsi coinvolgere in scazzottate a viso aperto, che sono sempre pericolose, perché con i guantini da MMA basta un colpo per mandare knockout un fighter». Intanto arriva il cutman, che si occupa di bendare le mani degli atleti per tutelarle ed evitare fratture quando colpiscono e che tra un round e l’altro medica le loro ferite. Walter si accomoda su una sedia e il cutman comincia a lavorare sulle sue mani, con perizia e dedizione.
Nel frattempo, lo sguardo di Pugliesi, fisso sulle bende che gli avvolgono le nocche fino ai polsi, cambia, diventando a tratti determinato, ma di una determinazione assoluta, a tratti feroce, spietata. Mancano ancora un paio d’ore al suo incontro, e raramente ho visto un fighter entrare in trance agonistica così presto, ma è proprio in quel momento che il “Kraken” comincia a vivere il match. Finiti i bendaggi, si cambia, indossando un paio di pantaloncini elastici bianchi con sopra i loghi degli sponsor che lo sostengono (tra cui spicca la Curva Nord dei tifosi dell’Inter) e si mette i guantini da MMA, testandone l’aderenza e la comodità. Una volta in tenuta da combattimento, esplode in un urlo liberatorio. Sente sempre più vicina l’occasione per cui si è preparato per mesi.
Walter prima fa un rapido stretching e poi inizia a muoversi per lo spogliatoio, molleggiando, sciogliendo i muscoli, provando qualche mossa di lotta con coach Borgomeo e menando qualche colpo per aria per scaldarsi. Noto quanto sia solido, massiccio, muscolare. Emana un’aura di potenza percepibile. A un certo punto un suo amico entra nella stanza con un bambino. É il figlio di Pugliesi, che chiede di lui. Il contrasto risalta immediatamente ai miei occhi: quello tra un uomo che sta per combattere e l’innocenza di un bambino. Il “Kraken” sembra aver pensato la stessa cosa: lo allontana dolcemente ma con risolutezza.
Intanto la serata prosegue, gli incontri si susseguono e la tensione nello spogliatoio sale. Walter è sempre mobile, non si ferma mai mentre si guarda intorno con un’espressione che crepa i muri da quanto è intensa. Un suo compagno di team gli sussurra, riferito all’avversario: «Non può essersi ammazzato là dentro, in gabbia, tanto quanto noi durante la preparazione», e Pugliesi risponde: «Non ho dimenticato niente degli allenamenti, delle volte che mi sono trovato sotto, in cui ho sofferto». Perché il training camp che precede i match spesso è più duro degli incontri. A quel punto Borgomeo, silenzioso ma presente dall’inizio alla fine, prende i colpitori e fa provare a Walter diverse combinazioni di pugni, calci, gomitate e ginocchiate, lo fa recuperare e poi cominciano di nuovo. In questo modo Pugliesi inizia a sudare senza affaticarsi, rompe il fiato per essere subito reattivo una volta entrato nell’ottagono.
Manca sempre meno all’incontro quando il “Kraken” si spruzza in bocca del miele, scambia qualche parola con il coach indicandosi le tempie per intendere che userà la testa nel combattimento e non si farà prendere dall’istinto, cammina in cerchio scalpitando. Nella stanza intanto l’aria è sempre più viziata, fa parecchio caldo, l’attesa è papabile. E allora le porte dello spogliatoio vengono spalancate e il rumore, il boato del pubblico che sta seguendo gli incontri entrano dentro, lo invadono, finalmente ci siamo, ed è una liberazione. Pugliesi fa qualche esercizio di respirazione, poi imbocca il tunnel insieme al suo team, pronto a entrare nell’arena appena verrà annunciato. Non è mai stato così carico: urla, si schiaffeggia, si ricompone, sente il suo nome pronunciato dallo speaker e fa l’ingresso sul palcoscenico, accompagnato dalla musica sparata dall’impianto e acclamato dalle persone sugli spalti.
Dopo un inizio in salita, ma dove ha saputo restare lucido e portare il combattimento su un piano a lui più congeniale Walter sottomette l’avversario al secondo round, vincendo.
Nel post match, mentre viene travolto dai festeggiamenti e dall’affetto di chi lo sostiene, dichiara che per alcuni problemi legali non potrà lasciare l’Italia per diverso tempo, un ostacolo notevole per un fighter, perché le MMA che contano si disputano a livello internazionale. Ma Pugliesi non si arrende, non si è mai arreso in vita sua.