Venditori di pelli hanno provato a vestirmi, non trovando mai le sfumature. È questa una delle frasi dello skit che Nerissima Serpe ha scritto per poi affidare l’interpretazione alla voce e alla figura di Achille Lauro. Una scelta inaspettata ma presto compresa all’ascolto del disco: è la stessa poesia di strada che Achille faceva anni fa. Le sue sfumature Nerissima le fa notare a pochissimi «le conto sulle dita di una mano le persone con cui scherzo, rido, piango». Di queste persone ne ho conosciute alcune sul set del trailer che annunciava l’uscita del disco. Non proprio un set, in realtà: casa sua e della sua famiglia – e dei suoi nonni, nonne, zii, zie, cugini – a Siziano, a metà tra la città di Pavia e di Milano. Circa 50 persone sedute intorno a una tavola arrangiata all’interno di una grossa sala rustica. A cucinare per tutti è sua nonna: lo fa ogni fine settimana da generazioni; sua mamma tiene le fila, suo padre griglia la carne in giardino.
Mi rendo subito conto che quella in cui è cresciuto non è una situazione solita, anzi, è tutto ciò che non ci si aspetta. Nerissima è una persona che si lascia poco andare alle emozioni, la poesia che si legge nei pezzi si nasconde tra le righe, si incarna nei denti d’oro che – quando lo incontro per la prima volta – si è appena fatto fare da Bijules, ed è strano inizialmente – almeno per me – collocarlo in un contesto familiare così ampio. Quando me ne parla comprendo che è consapevole di ciò che quel luogo ha dato alla sua personalità. «L’altro giorno parlavo con mia cugina e dicevamo che alla fine, vuoi o non vuoi, la tua infanzia ti rappresenta, fa parte di te», mi dice. «Se devo fare qualcosa da solo lo faccio, non ho bisogno delle altre persone come appoggio, però mi rendo conto che ho uno spirito da leader, mi piace avere persone affianco e spronarle, ed essere ispirato da loro». Questo, forse, è anche perché tra fratelli e cugini è uno dei più grandi.
Gli faccio notare che in “Range Castagno” parla proprio di questo, c’è una barra in cui dice che anche se è il più grande non si sente tale e mi risponde che sì, la responsabilità nei loro confronti c’è sempre stata e l’ha sempre sentita, «con i miei fratelli in particolare».
Oggi, sai, non posso, mia sorella compie gli anni / Le do la benedizione, anche se piove nel mio cuore / Gli anni passano e spesso non mi sento io il maggiore.
Nerissima Serpe in “Range Castagno”
«In quella barra dico “le do la benedizione”, perché sarà sempre una parte di me, “anche se piove nel mio cuore”, perché a volte capita che perdo le staffe, mi arrabbio», dice Nerissima sincero mentre nei suoi occhi scorrono ricordi, ma questo non è il tempo né il luogo per raccontarli. Sono tre anni che non vive più dove è cresciuto. Le cose intorno a lui sono cambiate, ma è stato comunque capace di ricostruire quel contesto aperto e familiare anche nel suo ambiente di lavoro, gli amici che lo seguono sono quelli di una vita, nella perfetta situazione di chi si arrangia per contribuire a qualcosa di più grande. «Non ti nego che non è facile. È un argomento molto ampio, ognuno di noi ha la sua personalità. Con Ale facciamo passeggiate in campagna almeno una volta a settimana, ci domandiamo che cosa va e che cosa non va. Con Kla anche. Prima era molto più facile perché era un gioco ed era una presa a bene», ma quando firmi un contratto le cose cambiano.
«Tutto nasce che io avevo un bunker, loro avevano questo spirito manageriale di guardare le cose da un altro punto di vista e tutto è andato bene. Ci sono stati alti e bassi, ma ora ho una certa maturità – anche se non sono arrivato, assolutamente – per dire che devi cadere e romperti la faccia per capire le cose». Gli chiedo se gli è mai successo, di cadere di faccia, e mi dice che no, non del tutto, ma ci sono state divergenze tra loro dettate dal fatto che nessuno gli ha mai insegnato come fare, «abbiamo sempre dovuto imparare da soli», afferma. «E credo sia un punto di forza. Sappiamo lavorare, è vero, ma credo semplicemente che questo nasca dal fatto che ognuno sia capace di mettere il suo in maniera identificativa». Identità, appunto. «Siamo una famiglia, siamo noi che soffriamo, ed è questo che conta per me. C’è gente che sputa il sangue per me, e io sono disposto a darti la mia vita in mano».
Nerissima dà e riceve, vive in un perfetto sistema di scambio che è ormai in equilibrio da anni, può traballare, cambiare, modificarsi, ma il perno centrale resta saldo. La famiglia, qualunque forma si voglia dare al termine. È questa forse la chiave che gli ha permesso di fare il salto, di trasformare in lavoro quello che prima era solo un gioco. «La prima firma ci ha destabilizzato, loro facevano mille lavori e poi si sono ritrovati a gestire a 360 questa roba. Non è facile, ma adesso la situazione è molto più solida, ci saranno problemi dieci volte maggiori ma sappiamo come affrontarli». Con loro condivide il prodotto del suo essere. Non si muove mai da solo, è sempre circondato di persone. «Devo imparare a stare più da solo, me lo dice sempre anche Giulia (la sua ragazza, ndr). Perché è un pregio saper stare da soli e serve, ma essendo cresciuto in quel contesto non è semplice». È questo l’effetto che fanno i riflettori?
Gli occhi degli altri Matteo se li sente addosso già dalla nascita. Da ogni direzione, dall’alto come dal basso. Essendo il maggiore di quattro fratelli e sorelle, nonché di cugini e cugine, Nerissima ha dovuto rispondere non solo alle aspettative di genitori e parenti, ma anche ai bisogni dei più piccoli che, in un contesto così ampio e vario, lo hanno preso come punto di riferimento. Nerissima lo sa e lo accetta: «se ti esponi avrai sempre i riflettori addosso; se hai un tipo di personalità e di ruolo, anche se non li cerchi ce li hai», mi dice consapevole.
Ed è forse da questo che ha cercato di spogliarsi per trovare la sua identità. Non tanto dai riflettori, quanto dall’ego che questi hanno accresciuto nel suo corpo e nell’anima. Rousseau diceva che è l’ingresso all’interno di una società che corrompe l’uomo e il suo essere puro nello stato di natura. La stima, il valore, l’orgoglio, sono tutte cose che conosciamo solo in relazione con gli altri e per ritrovare noi stessi e toccare con mano la nostra identità è necessario spogliarsi del riconoscimento e della sua ricerca.
«Io sono molto sicuro di me stesso, non ho bisogno di riconoscimenti veri. Arrivano momenti in cui vedi tutto più lucido e ti rendi conto che ti sei spogliato di qualcosa. Io probabilmente l’ho fatto con l’ego», mi dice. «Era cresciuto a livelli spropositati, ma è un ego che poi creai tu, appunto, solo perché sei in una società. E io non ci stavo bene».
Nerissima Serpe ha iniziato a spogliarsi, lo ha fatto due anni fa quando ha cominciato a scrivere i brani per un disco che poi avrebbe preso questo titolo, “Identità”, arrivato un giorno dal nome di un libro che Giulia leggeva, e lo fa oggi, posando sul tavolo le armi ormai scariche. «Credo sia fondamentale – per ogni persona di successo, ogni persona profonda o che ha qualcosa da dire – vivere momenti difficili, fanno bene. Non dentro, ma fanno bene». Per chi ha conosciuto il male. Amen.