Ossessionati come siamo dai numeri, dagli stream, dalle view, dai cuori instagrammosi, dalle certificazioni a colpi di platini, argenti e ori, ecco, abbiamo ormai completamente perso di vista una delle caratteristiche fondamentali che il rap dovrebbe avere: la persistenza nel tempo. E nel non considerare questa persistenza nel tempo ma solo un “eterno immediato”, ci siamo dimenticati che si guadagna soprattutto quando riesci a sviscerare non solo un ritornello convincente, ma anche una narrazione che racchiuda il senso dei tempi e, soprattutto, lo faccia vibrare, lo spieghi, facendolo in una maniera che sia valida sempre, anche al di là del qui e ora. Una spiegazione e un’espressione artistico-creativa che vada a cogliere sia il lato estetico che quello emotivo che quello sociale e politico. Riuscendo a parlare a tutti. Indistintamente.
Sicuramente “Rockstar” di Sfera è stato un terremoto che ha segnato un’era e cambiato equilibri; sicuramente “Sirio” di Lazza ha una capacità di restare negli ascolti di tutti che è quasi innaturale; sicuramente di dischi clamorosamente popolari e virali ne sono usciti in questi anni, anni ricchi come non mai; sicuramente il ritorno dei Dogo (ma se n’erano mai andati?) è stato epocale anche molto più del previsto e prevedibile; ma dovendo eleggere un nome del decennio nella musica di casa nostra, la scelta cade sicura: Marracash.
Non esiste infatti altro artista in Italia che sia riuscito a piazzare un uno-due del livello di “Persona” e “Noi, loro, gli altri”, dal 2015 ad oggi (nel rap, e non solo nel rap): e tutto questo non da artista all’esordio, quando hai la freschezza, hai il fattore-sorpresa e magari hai accumulato tutta una serie di idee che butti giù tutto d’un fiato e stupisci tutti, ma dopo una carriera che già era più che decennale. Ecco, a proposito di persistenza nel tempo: anche questo conta. Saper durare, avere sempre delle cose da dire, restare rilevante, addirittura crescere, salire di livello: Marracash l’ha fatto. In quanti altri in Italia possono dire – o potranno dire – di avere una carriera in crescendo a più di un decennio dall’esordio? In quanti mostreranno che la fiamma della loro ispirazione è stata ferocemente consistente, e non è bruciata via al cambiare delle mode e dei tempi?
Ma non è solo quello. Molti, dovendo proprio scegliere un disco marracashiano, voterebbero per “Persona”: che in effetti è il lavoro dove Fabio Bartolo Rizzo alza spaventosamente il livello (già alto da prima, peraltro), ed è soprattutto quello dove è baciato da un’intensità di ispirazione e d’introspezione più unica che rara. Un lyricist in stato di grazia assoluta. Ma sinceramente viene voglia di andare un po’ controcorrente, e andare sulla scelta meno facile: “Noi, loro, gli altri”. Ci sono dei motivi per farlo.
Uno dei problemi dell’Italia, da sempre, è la mancanza di coscienza civile. Impossibile negarlo. Una nazione di individualisti, che si unisce solo quando la Nazionale di calcio vince o quando la situazione economica è realmente disperata. Una nazione di poeti e di gente attenta (solo) al proprio particolare. Una nazione, e questo nel rap è stato rappresentato benissimo, che quando deve affrontare questioni fondamentali nel sociale preferisce descrivere piuttosto che schierarsi, preferisce restare ambiguamente nel mezzo in attesa di capire chi vince, preferisce galleggiare tra gli opposti – perché polarizzarsi è bello, ed è divertente, ed è uno sfogo – piuttosto che considerare le questioni e i problemi davvero nella loro interezza e nella loro complessità, andando al loro cuore, mettendosi in gioco per davvero.
Marracash in “Noi, loro, gli altri” affronta i problemi della società italiana di questo decennio con una maturità e una gelida rabbia che solo il grande cantautorato anni ’70 aveva cercato e voluto (De Andrè in primis, lui più di altri, lui più di chi si rifugiava negli slogan da corteo). Non solo: ha il coraggio di schierarsi contro lo stesso sistema che può renderlo “imperatore”. E no, non è il lamento un po’ sterile e ingenuo di chi ci resta male e s’imparanoia perché il successo alla fine non dà tutta ‘sta felicità e i soldi nemmeno (ma dai, chi l’avrebbe mai detto…), bensì una critica molto più profonda e strutturale sulla società dello spettacolo, sui canali attraverso cui viaggiano oggi l’informazione, la politica e l’orientamento delle coscienze. Insomma: siamo un livello completamente diverso. Molto più alto. Molto più profondo. Molto più mirato alle radici della nostra visione del mondo, e dei problemi che essa comporta. Anche quando si parla di amori, di legami sentimentali, di amici fraterni. Sono discorsi che non sono mai slegati dal proprio posto politico nel mondo: e politico nel senso più alto e nobile del termine, non come gazzarra partitica e di sterile opinionismo.
Il rap dei primi anni ’90 si basava tutto sulla critica alla società, ma ripetendo troppo spesso a pappagallo slogan e concetti elaborati dieci o vent’anni prima; quello della seconda metà degli anni ’90 scopriva la tecnica e la purezza della cultura hip hop, e va bene, ma restando nicchia; quello d’inizio millennio dopo aver rischiato di scomparire dimostrava che da noi c’era invece talento e c’era spessore e c’era la capacità di essere ascoltati trasversalmente; la parabola dei Dogo e in parte di Salmo portava questa trasversalità all’eccesso, con un lavoro di mimesi dove dall’ironia al sarcasmo si passava all’ambiguità, ma sempre mantenendo stile e realness; l’ondata del 2016 ha cambiato gli stilemi in modo così radicale esattamente come fu radicale il passaggio dal rock classico al punk e al post punk. Ma nessuno ha avuto il coraggio e la maturità di affrontare la società nei gangli e nei funzionamenti più vitali e vincenti come Marracash in “Noi, loro, gli altri”. Nessuno.
In “Persona” forse è più ispirato, forse il rap scorre più fluido e creativo. Vero. Ma in “Noi, loro, gli altri” si prende una serie di rischi: quello di fare un album maledettamente difficile, di passare per sfigato moralista, per saccente predicatore leggermente fuori tempo massimo. Invece, vince. E sforna un album che se vorremo sapere tra mezzo secolo come erano stati davvero ‘sti anni ’20, beh, cercando l’essenza e non il gossip, la sostenza e non la fuffa, è a lui che dovremo guardare. Non ad altri. La cronaca perfetta. Senza fare sconti a nessuno. Nemmeno a sé stessi, e al sistema che oggi come allora sa renderti ricco, vincente e famoso a colpi di ospitate in discoteca, accordi coi brand, paraculate sui social, dissing finti e Sanremi veri.