Quando escono documentari di artisti così giovani spesso ci chiediamo se ce n’era davvero bisogno. Possibile che abbiano già così tanto da raccontare?
“Untrapped: the story of Lil Baby” ci dimostra che sì, è possibile, perché la storia di Dominique – questo il suo vero nome – inizia molto prima di ciò che abbiamo visto noi. Il documentario, uscito venerdì su Amazon Prime Video, non parla solo della vita di Lil Baby, parla di tutto quello c’era prima e intorno, di Atlanta nel ’96, del pessimo quartiere in cui è cresciuto.
Nella vita di Lil Baby non è stato tutto causale, il successo è arrivato a un certo punto con sorpresa, ma il percorso è stato scritto passo dopo passo, aiutato e sostenuto, perché lui il rapper non lo voleva neanche fare. Lo hanno convinto, perché era bravo e la strada che aveva preso – e che in realtà è la stessa di molti cresciuti ad Atlanta – era decisamente pericolosa: sarebbe finita. Prima o poi, in qualche modo.
Prima della musica Lil Baby era già famoso, conosciuto e rispettato come spacciatore della sua zona. Era ai piani alti, faceva dei bei soldi, soldi veloci. Si trovava in quella situazione in cui, da un giorno all’altro, o muori o vai in galera ed è difficile trovare una via d’uscita. Una frase che colpisce, all’interno del documentario, è quella pronunciata da uno dei residenti: “Non ho visto nessuno andare via, li ho visti morire”.
È paradossalmente questo ciò di cui si parla di più: il contesto, povero e degradante. Il documentario non è un elogio alla vita dell’artista come spesso succede; non vuole, seppur mostrandoli, puntare i riflettori sui successi. “Untrapped: the story of Lil Baby” racconta la vita di Dominique ma lo fa da una prospettiva diversa e genuina inserendolo nell’ottica del proprio quartiere. Vuole raccontare Atlanta per raccontare lui, parlare della strada per far capire la difficoltà del percorso e lo sviluppo del pensiero che ha plasmato poi l’artista.
Il titolo, da questo punto di vista, poteva essere fuorviante. “The story of Lil Baby” non poteva che farci pensare al racconto della vita di Dominique, ma in realtà è più profondo di così. È quasi una denuncia, in cui Lil Baby non è protagonista, bensì partecipe. Dominique diventa quindi uno come gli altri, sarebbe potuto morire in strada come molti di coloro con cui è cresciuto ed è un concetto, questo, che viene proposto e sottolineato più volte.
Niente documentari frivoli e vuoti, quindi, nessun particolare elogio a una carriera che è appena sbocciata, solo vita vera, perché attraverso la sua Lil Baby può raccontare quella di molti. Un passo naturalmente successivo al suo scendere in strada al fianco di gente comune durante le manifestazioni per George Floyd. Non sappiamo per certo quale sia stata l’origine di questo documentario, ma sembra che Lil Baby si sia di fatto chiesto: “perché non denunciare la storia di molti attraverso il mio nome?“