È ormai sotto gli occhi di tutti quanto Virgil Abloh sia una figura capace di spaziare in innumerevoli campi del pensare, del progettare e del fare. Sempre più spesso vediamo progetti di grande scala e di carattere internazionale, come la sua mostra a Chicago del 2019 intitolata “Figures of Speech”, che ci fanno percepire una certa distanza. Ma se vi dicessimo che ha lasciato qualcosa a Milano per rendere omaggio a una delle personalità più importanti del design italiano? Se vi interessa conoscere Enzo Mari e scoprire in cosa Abloh è stato coinvolto, non dovete fare altro che mettervi comodi.
Dal 17 ottobre 2020 è in corso presso la Triennale Milano la mostra “Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli”, che rimarrà allestita fino al prossimo 18 aprile (anche se attualmente non è aperta al pubblico a causa dell’emergenza sanitaria, è possibile visitarla virtualmente seguendo le indicazioni presenti sul sito della Triennale). Si tratta di una vera e propria retrospettiva dedicata al designer italiano, per celebrare la sua carriera durata più di 60 anni e purtroppo interrottasi nello stesso mese dell’apertura, quando è venuto a mancare all’età di 88 anni. È l’occasione per avere una visione tanto approfondita, quanto completa, del grande patrimonio progettuale e artistico che Mari ci ha lasciato in eredità, contenuto nella sezione storica della mostra, congiuntamente ad un’altra sezione, in cui artisti e designer internazionali sono stati chiamati a rendergli omaggio, tramite installazioni e nuove opere da loro prodotte. All’interno di questo gruppo di creativi accuratamente selezionati, ritroviamo proprio Virgil Abloh che, scelto per disegnare il merchandising della mostra, unisce il suo mondo con uno dei grandi risultati del pensiero di Mari: l’Autoprogettazione. Per arrivare a parlare compiutamente di ciò, però, dobbiamo prima fare qualche cenno alla storia e al lavoro dell’illustre designer.
Enzo Mari nasce a Novara nel 1932, si forma artisticamente studiando all’Accademia di Brera durante gli anni ’50, per poi stabilirsi a Milano, fulcro attorno al quale si articolerà la sua intera carriera e dove verrà coinvolto nel dinamico e prezioso panorama di quello che è diventato il grande design italiano. Qui infatti, entra a far parte del gruppo dell’Arte Cinetica, grazie al quale stringe i primi rapporti con Bruno Munari, altro grande maestro e punto di riferimento. Nel frattempo si era già avviata la sua intensa e interminabile produzione, iniziando a collaborare con Danese, azienda per la quale sperimenta le sue prime opere grafiche e progettuali. Vincitore di ben 4 Compassi d’oro ADI, si è dimostrato complessivamente un professionista poliedrico, in quanto non solo fu un designer, ma anche artista, critico, teorico ed accademico. La sua carriera poi, si è ulteriormente arricchita grazie a una costante ricerca di impronta filosofica, che gli ha permesso di spaziare in campi quali l’antropologia, la psicologia e la politica. È da questa fitta rete di conoscenze, competenze ed interessi trasversali, che nasce l’Autoprogettazione.
Nel 1974 Mari pubblicò “Proposta per un’autoprogettazione”, un libro che raccoglieva numerosi progetti di complementi d’arredo e che per la prima volta metteva la persona al centro dell’attenzione nel processo produttivo (oggi è disponibile nella riedizione edita da Corraini Edizioni e intitolata “autoprogettazione?”) . Sfogliando le pagine, infatti, troviamo vere e proprie tavole che illustrano i disegni tecnici e costruttivi di sedie, tavoli, armadi, librerie e persino letti. Per ognuno di questi, Mari specifica la tipologia e il numero dei componenti, con tanto di misure e una serie di consigli pratici, affinché ognuno possa ricrearli in autonomia per la propria casa. Come consiglia il designer, essendo strutture composte esclusivamente da assi grezze di legno tenute insieme da chiodi, basta recarsi da un falegname che tagli il legno secondo le misure fornite e successivamente rimane alla persona il compito di cimentarsi nell’assemblaggio complessivo. L’oggetto quindi non si va più ad acquistare già prodotto dall’industria specializzata, ma si crea con le proprie mani, entrando in contatto con i materiali e rimanendo soddisfatti del proprio lavoro. Oltre a proporre mobili economici, di alta qualità e lunga durata, Mari con questo progetto si è fatto portatore di un forte messaggio ideologico, proprio nel periodo in cui il design d’autore stava dominando la scena, dichiarando in diverse occasioni che i mobili sono “modelli di una società diversa, di un modo di produrre diverso” e che “il bisogno di un manufatto è la qualità di chi lavora”.
La filosofia dell’Autoprogettazione è stata il punto di partenza da cui Virgil Abloh ha sviluppato il suo contributo per la Triennale, riproponendola nel 2020 e declinandola nel mondo dell’abbigliamento. Ha concepito una hoodie, prodotta da Off-White e disponibile esclusivamente presso lo shop della mostra, che viene venduta disassemblata insieme a un kit da cucito. Il cliente quindi deve approcciarsi alla felpa proprio come a una sedia di Mari, mettendosi in prima persona a comporla, utilizzando ago e filo per cucire le maniche, il cappuccio e la tasca al resto della felpa. Graficamente presenta diverse stampe tra cui, oltre al nuovo logo del brand, troviamo un letto sotto forma di disegno tecnico e un tavolo come prodotto finito, proprio come furono riportati nel libro, e altre due opere di Mari che hanno particolarmente colpito Abloh. La prima, stampata sul petto, è una fotografia del celebre vassoio Putrella (1958), forse uno degli oggetti più interessanti di Mari, che impiega un elemento industriale per creare un oggetto da tavola. Ancora oggi prodotto da Danese, viene rilasciato in una tiratura limitata di 100 pezzi all’anno. La seconda, presente sulla tasca frontale, è La Pantera (1964), una delle sue opere grafiche tratte da “La serie della natura”. In questo caso Mari cerca di sintetizzare le forme e gli elementi di frutti e animali, per riuscirli a comunicare attraverso caratteri essenziali, in una serie di serigrafie sempre prodotte da Danese.
Tutto questo però non ha fatto mancare le critiche. Molti degli amanti di Mari si sono chiesti se veramente l’opera di Abloh possa rendere omaggio allo spessore del maestro, mettendo soprattutto in dubbio la coerenza concettuale che legherebbe la hoodie all’Autoprogettazione. Se da un lato i mobili in legno erano stati ideati per essere alla portata di tutti, sicuramente pensando a Off-White, non ci viene certo in mente questo aspetto, quanto piuttosto l’esclusività del brand in termini economici.
Al di là dei contrasti, tra i disaccordi di alcuni e l’approvazione di altri – pareri che spesso si rivelano più distruttivi che costruttivi – cerchiamo di guardare quello che di più prezioso questa contaminazione di esperienze ci lascia. Quando l’opera di un pilastro del design italiano diventa materia di rielaborazione per un creativo contemporaneo di fama internazionale, non può che essere l’esempio del percorso a cui le vere e grandi idee sono soggette: si diffondono senza confini geografici e temporali e diventano patrimonio di tutti e per tutti.