“Kiss of death” è una delle tre cover story del nostro nuovo magazine cartaceo, che trovate disponibile online e in store selezionati a partire dal 30 novembre.
Ivano Atzori, creativo poliedrico, è il writer più rilevante della storia italiana, l’autore della tag più famosa di sempre: Dumbo. Angelo Flaccavento è un critico e curatore di moda, oltre che una tra le penne più autorevoli del fashion system. Ivano e Angelo sono due nomi che provengono da mondi diversi, seppur accomunati da una grande forza comunicativa e una lunga esperienza di vita a Milano, partita però da un’origine comune: un’isola. La Sardegna per Ivano, la Sicilia per Angelo.
Angelo e Ivano ci hanno parlato di moda e controcultura, in uno scambio epistolare che li ha visti raccontare e raccontarsi. Comincia così:
Da: Ivano Atzori
A: Angelo Flaccavento
Angelo buongiorno, ti scrivo per un invito. La mia idea era quella di una conversazione con te. Il tuo punto di vista trasparente e a tratti ruvido nei confronti di specifiche estetiche l’ho sempre visto come grande opportunità di dibattito e di crescita. Pensaci, io ne sarei onorato. Attendo tue, Ivano.
Da: Angelo Flaccavento
A: Ivano Atzori
Buongiorno Ivano, e innanzitutto grazie. Ti ringrazio per l’idea di una conversazione con me. La verità è che in una rivista come Outpump io proprio non mi ci sento, in quanto non ho nemmeno un passato come il tuo che possa farmi sentire un legame con un determinato mondo, specie in una conversazione come questa. Ciò mi renderebbe solo l’accademico brontolone che emette giudizi, non credi? Tu a cosa avevi pensato? Spero di non offenderti con la mia franchezza, ma più invecchio, meno voglio esserci… Un abbraccio, Angelo.
Da: Ivano Atzori
A: Angelo Flaccavento
La tua risposta è perfetta perché è proprio questo che si vuole cre- are. È nel mio essere cercare opposti pensieri e metterli a confronto. Se lo proponessi a qualcuna/o con il mio stesso o simile background, non darebbe gli stessi risultati. Detto questo, se non sei comodo capisco, figurati. Ma se pensi che possa esserci una possibilità, farò di tutto per far sì che accada nel modo più snello e piacevole per entrambi noi. Un ping pong di domande e risposte. I temi sono infiniti ma quello che secondo me può essere un focus è la relazione onesta (se di onestà si tratta) tra counterculture e moda. Oggi più che mai bisogna affrontarla, mettendo in relazione testimonianze, pensieri e spiriti che ancora parlano diversi linguaggi, in luoghi ancora distanti tra loro, ma che, allo stesso tempo, lavorano per comprendere e trasmettere un’idea di bellezza. Questa potrebbe essere un’importante opportunità. Libero di valutare, ed io capirò. Attendo tue, Ivano.
Da: Angelo Flaccavento
A: Ivano Atzori
Ivano, buongiorno. La conversazione che tu mi proponi è certamente interessante, anzi necessaria, ma da pessimista cosmico trovo che ci sia il rischio che vada un po’ persa nel vuoto, un po’ messa in un guscio di noce e abbandonata ai flutti tempestosi. Non trovi? Negli anni ho imparato a non disperdere sapere e idee. O meglio, disperdere sape- re è una magnifica utopia, che rovina davanti alla realtà. Ciò detto, già questo è l’inizio di una conversazione che potrebbe proseguire in ulteriori email. Un abbraccio, Angelo.
Da: Ivano Atzori
A: Angelo Flaccavento
Felice che tu voglia proseguire. Sono certo che le persone apprezzeranno la nostra attitudine e capiran- no la nostra natura. Tornando a noi. Milano Imperfecta, la mia collezione con IUTER, mi ha dimostrato che disperdere e seminare possono essere più vicini di quanto si possa immaginare. Disperdere è un atto legato alla disperazione e io mi riconosco molto in questo. Credo di aver urlato per anni. Quelle urla hanno toccato molte persone; in quelle urla, prive di senso apparente, molti giovani si sono ritrovati. Oggi, a distanza di un decennio o poco più, hanno acquisito un valore, un significato. Credo che la forza delle sottoculture sia proprio questa, progettare ed essere, senza che il concetto dell’azione venga semplificato, fottendosene dell’effetto che avrà sul pubblico. In passato, spesso la moda riusciva a catturare quell’energia e trasferirla su capi d’abbigliamento senza assolutamente comprenderne significati e motivazioni, creando nei migliori casi patchwork discutibili. Nei casi peggiori, appropriazione culturale. Oggi, invece, vediamo direttori creativi che ben conoscono quell’energia, la comprendono e la generano. Cosa è successo? Ma soprattutto, perché la moda è così attraente per noi, antagonisti e antagoniste dell’omologazione stilistica? Grazie, Ivano.
Da: Angelo Flaccavento
A: Ivano Atzori
La moda, Ivano, è una grande seduttrice. Irretisce, ma ahimè corrompe. Irretisce perché è un linguaggio visivo, dall’infinito potere comunicativo. Corrompe perché è un sistema basato sul ciclo inesauribile del nuovo, che ha la capacità di mutare in convezione tutto ciò che, d’acchito, era ribellione, e di superficializzare in un look anche le spinte più profonde. Per questo trovo la vicinanza attuale tra moda e counterculture un periglioso kiss of death. Chi intendi tu per gli “stilisti che quella energia la conoscono”? E non trovi che il rischio di glamourizzare quello che alla base era eversivo possa portare alla definitiva diluizione di ogni istanza contro? Angelo.
Da: Ivano Atzori
A: Angelo Flaccavento
Angelo, la seduzione, così come essere sedotti, non è forse parte della nostra esistenza, esattamente come il tentativo di allontanare il sonno eterno? Personalmente amo farmi sedurre; non sempre ho avuto il coraggio di dirlo. Appartenere al mondo “underground” mi imponeva una posizione rigida, refrattaria. Contro appunto, rispetto a determinati codici o posizioni. Arte, politica, cosa indossare, consumare una bibita o molto semplicemente dove e chi frequentare, non sempre era una scelta libera. Oggi, a distanza di anni, essermi precluso esperienze non è più una sensazione, ma parte del mio percorso formativo. La tua domanda mi ha portato ad una vera e grande difficoltà, lo ammetto. Avevo una lista di nomi pronta ad essere condivisa. Ma una riflessione più profonda mi suggerisce di fermarmi. Torno quindi al passato: Martin Margiela ha dimostrato che appartenere, essere, e creare è una formula che influenza, cattura. Ti accompagna. Persuade. Ecco, lui ha generato. L’effimero, la bellezza precaria, ha ancora un grande fascino su di me. Trovo che le narrazioni più elettrizzanti siano sempre quelle che vacillano a cavallo tra resilienza e sparizione. Quando questa narrazione diventa sacra, leggendaria, allora il “rischio” diventa conduttore su cui dibattere. Tutto questo può durare a lungo. Purtroppo, questa condizione non è più risultato di una pratica, di un concetto, come nel caso di Margiela, ma è diventata una formula applicabile anche quando il contenuto è scarno, debole. Questo ha attivato il reclutamento di direttori creativi-star, concentrando forze e focus sulla loro individualità ed aurea. Ovvio che attorno hai una sensazione di vuoto, di sospensione. Possiamo definirla una strategia immorale questa? Forse si tratta di un ribaltamento, da guardare con meno sospetto. D’altronde tu mi parli, con enfasi, della potenza corruttiva della moda. Ti sei mai sentito corrotto? Ivano.
Da: Angelo Flaccavento
A: Ivano Atzori
Non frenarti, Ivano: quei nomi mi interessa sentirli e commentarli. Io mi sento corrotto e sedotto ogni santo giorno, e nonostante abbia creato di me questa immagine altera e sdignusa (quindi arrogante, come si direbbe in Sicilia), vagamente talare o clericale, alle tentazioni cedo spesso. C’è qualcosa nella proiezione di opulenza e dovizia emanata dalla moda che mi risulta inevitabile, che mi attrae, e che contrasta con un gusto, il mio, che tende invece alla sparizione e alla privazione. Questa tensione costante mi mantiene all’erta, vivo. La seduzione più pericolosa della moda, però, è la convenzione, il “così fan tutti”, impersonare invece di essere. Ecco, a questa resisto con ogni forza, scalciando ed elargendo fendenti in forma di articoli e riflessioni varie. Nella moda di oggi trovo non ci sia spazio per una visione come quella che fu di Margiela, per quella autenticità così scabra. Oggi si gioca tutto sul marketing, sulla comunicazione, ma è dalla materialità del far vestito che scaturiscono le estetiche dirompenti: pensa a Rick Owens, a Rei Kawakubo, a Yohji Yamamoto. Non trovi anche tu che maniere diverse di fare le cose determinino nuovi modi di usarle e dunque di apparire? Angelo.
Da: Ivano Atzori
A: Angelo Flaccavento
Sono felice, perdonami per questo, che tu oggi non veda spazio per una visione e sensibilità alla Margiela. Vorrà dire che vivremo una grande celebrazione a un’eventuale irruzione improvvisa. La materialità di cui parli, per anni ha innescato processi di esclusione. Sono nato e cresciuto a Milano: la presenza di Giorgio Armani, come linguaggio, era una costante. Attrazione e avversione. Da una parte ci
regalava immaginari seducenti; dall’altra, non eravamo idonei a viverli. Negli anni, la moda, soprattutto a Milano, non ha abbracciato quella necessità da parte di molti di essere ascoltati, accolti, coinvolti. Questa condizione, a parer mio conforme ai tempi e alla cultura nostrana, ha fatto sì che un fronte “antagonista” in cerca di ossigeno crescesse, si conquistasse quindi questo ossigeno. Non credo che il suddetto fronte sia stato conseguentemente in grado di fare sistema e offrire una reale alternativa. Posso sbagliarmi, ma ad oggi non lo vedo. Tornando ai nomi, sono assolutamente d’accordo con te: Rei Kawakubo e l’intensità del nero ha sicuramente catturato le mie attenzioni. Silhouette architettoniche decise ma allo stesso tempo ricche di una nuova femminilità. Paradossalmente COMME des GARÇONS mi riporta ai ricordi di mia nonna in abiti da lutto, un ponte immaginario tra Sardegna e Giappone. E poi Virgil. Purtroppo non l’ho mai incontrato, anche se avrei tanto voluto. Credo avesse la capacità e la magia di visualizzare prima, e valorizzare poi, le potenzialità di ogni persona che incontrava. Questo può accadere solo ascoltando le persone con cui ti relazioni. Tutti, indistintamente. Non proprio un approccio milanese. Francamente non so quanto quella capacità/intuizione/umanità si manifestasse anche sulle collezioni con la stessa potenza e risultato. P.A.M. Perks and Mini è un progetto che presentai circa nel 2002 al King Kong, il mio store. Tuttora sono molto attivi. Mi innamorai della loro estetica e della loro capacità espressiva poliedrica. Musica, arte, abbigliamento. Alcuni lavori più concettuali e strutturati, altri più liberi e pratici. Mai ordinari, sempre pronti a trasmetterti il loro immaginario magico e psichedelico. Per tornare alla tua domanda, pensi che questi innumerevoli tentativi di relazione tra moda e counterculture debbano immediatamente finire? Credi che queste relazioni stiano danneggiando entrambe le carreggiate? Io e te siamo compatibili? Ivano.
Da: Angelo Flaccavento
A: Ivano Atzori
No Ivano, non penso assolutamente che questi innumerevoli tentativi di relazione tra moda e controcultura debbano finire. Anzi, devono continuare perché possono essere fruttuosi in termini di estetica, simbologia e penetrazione da entrambi i lati. Quel che auspico, però, è che le due parti mantengano un rapporto scettico, che si osservino a fondo e a distanza per non fondersi in un solo Moloch mostruoso, mantenendo l’alterità. Insomma, spero sempre che non sia l’urgenza di vendere e svendersi a prevalere. Moda e counterculture sono strange bedfellows, ma è proprio la strangeness che mantiene viva la relazione. Allo stesso modo, io e te siamo compatibili, in primis perché entrambi sospesi come corpi estranei nel liquido dei nostri mondi di riferimento: io uso la moda per leggere il mondo, tu hai fatto della controcultura una ricerca che definirei esistenziale, quindi ci incontriamo in un territorio di pura introspezione, con l’aggravante dell’insularità a fare da detonatore. Cosa rappresenta per te la moda? Cosa guardi e come lo fai? Angelo.
Da: Ivano Atzori
A: Angelo Flaccavento
La moda è innanzitutto un luogo. Un luogo dove io possa trasferire e trasferirmi. Un luogo dove il folklore non ha mai avuto il tempo di comprendere e arrestare la propria cultura, perché nulla è proprio. Cultura costantemente sfuggevole e ingannevole, camaleontica. Un luogo che detesta le caricature, che combatte con determinazione il ridicolo. Un luogo dove gli esseri viventi, esseri umani inclusi, vivono nel presente continuo. Di lei mi affascina il suo essere senza età. Mi affascina la sua fragilità, utilizzata con veemenza. Ne apprezzo il suo essere negletta, la sua colta arroganza. Il suo essere consapevole di non essere per tutti; non perché sia complessa e raffinata, ma per la sua disponibilità ad essere abbracciata, che spaventa e allontana. Ecco la interpreto così. Quello che detesto è la sua paura ad essere arte. Il suo raccontarsi solo in luoghi sicuri, protetti, inattaccabili. Quello di circondarsi di figure, chiamate professionali, spaventate, che mai si manifesterebbero avversi. Spesso adepti devoti che vivono solo ed esclusivamente camminando e pensando a senso unico. Anime ipnotizzate. Un pubblico che rimarrà pubblico. In questo momento voglio riprendere in mano la mia storia. Costruire nuove relazioni, soprattutto con creative e creativi più giovani. Dimostrare loro che le cose accadono perché qualcuno le fa accadere, ascoltare chi si impegna. Solo ora capisco quanto io abbia costruito a Milano, solo ora capisco l’impatto delle retroattività. Solo ora capisco che allontanarsi per un decennio è stato fondamentale. Milano ti ha mai fatto soffrire, Angelo? Hai mai sentito l’irrazionale necessità di strattonare Milano? Io sento ancora il desiderio di poter e voler aggiungere a quella città. Questo mi fa sentire un ottuso, a tratti. Raccontami del tuo rapporto con lei. Ivano.
Da: Angelo Flaccavento
A: Ivano Atzori
Il mio rapporto con Milano è irrisolto e conflittuale. La guardo con meno sospetto di un tempo, ma non mi sento inserito nel suo tessuto, in nessun modo, anche se ormai a Milano ci abito e ho messo su famiglia. Nonostante tutto, il richiamo dell’isola è forte: non come ricongiungimento al luogo natìo, ma come idea di fuga costante. Pertanto, Milano la abito rimanendo come in sospensione. La tensione simbolica tra centro e periferia è ricorrente nel mio modo di approcciare la vita e il lavoro; mi sento un corpo estraneo, ovunque io sia. Milano per me è la possibilità di realizzare cose e pensieri, ma è anche un sistema, quello della moda, che trovo spesso governato da regole piccine, da un’angustia mentale e intellettuale che mi fa fuggire in direzione opposta, da un classismo che è sempre più evidente, deflagrante e repellente. Da “terrone di provincia”, è proprio il classismo che mi offende a Milano, la divisione così netta dei comparti sociali, il dominio assoluto del dio denaro. Non che questa dinamica non esista altrove, sia chiaro, ma a Milano è solo più evidente: il problema è generale della nostra epoca. Ogni tanto sì, mi piacerebbe strattonare la città. Vorrei una Milano più radicale, meno leccata e perbene, meno borghesuccia. Per te, Ivano, è ancora possibile essere radicali, oggi? Angelo.
Da: Ivano Atzori
A: Angelo Flaccavento
Per me, ragazzo cresciuto in periferia, è importante sentirti dire tutto questo. E aggiungo, mi ha sorpreso. Se per radicale intendi andare alla radice di un tema, sì. Cerco, a modo mio, di comprendere ciò che mi appassiona e mi interroga. Declino le semplificazioni, a costo di perdere opportunità. Di fatto, nella vita ho fatto scelte intense, sempre. Ho la costante necessità di unire mondi diversi tra loro e vedere cosa genera questa pratica sperimentale. Oggi mi ritrovo a costruire muretti a secco, insegno a farli e a prendersene cura. Mi piace pesare fisicamente il significato della fatica e della gratificazione. Con Kyre, mia moglie, lavoriamo per smantellare un’idea di tradizione tossica in un territorio vittima della sua stessa narrazione. Con la moda ho un dialogo aperto estremamente franco dal 2001, grazie a King Kong. Un dialogo che pochi hanno ascoltato e capito con maturità, ma che in molti hanno preso e riproposto artificialmente. Sono un padre che ammette di sbagliare, chiede scusa. Che non si vergogna di farsi vedere stanco emotivamente, ma al contrario ne parla. Mi guardano mentre lavo il loro bagno, mi guardano mentre sconosciuti mi fermano per strada per una stretta di mano. Mentre ascolto agricoltori visionari o colti architetti. Sono così, non ho un itinerario prestabilito. Progetto in base alle necessità, non necessariamente personali, senza farmi condizionare da ciò che “funziona” in quel determinato momento. Angelo, questo scambio di riflessioni mi ha sorpreso. Ci conosciamo ma non ci conosciamo. È stata una grande opportunità per me, un esercizio per migliorare davanti a pregiudizi sempre pronti a trarmi in inganno. Questi tuoi ingressi nella mia vita, così decisi, sicuri e così rari, mi hanno trasferito una sensazione leggera di inferiorità nei tuoi confronti, lo ammetto. La tua capacità di accorgerti del futile, dell’errore, della banalità, l’ho sempre temuta. Come ho sempre ammirato la tua forza nel descrivere con rettitudine. A tratti dura ma pur sempre tua. Grazie davvero. Ti ringrazio di cuore, Ivano.
Da: Angelo Flaccavento
A: Ivano Atzori
Sono io che ringrazio te, Ivano, di questo confronto, per me avvenuto tra pari con disarmante franchezza e onestà. Non ho in verità molto da aggiungere. Pratico la sparizione sistematica: vorrei che la mia sola presenza in questo mondo fossero le parole che scrivo e i disegni che traccio. Il resto, di me, ha davvero poca importanza. Grazie ancora, Angelo.