“Salmo e Noyz Narcos: a prova di morte” è una delle tre cover story del nostro nuovo magazine cartaceo, che trovate disponibile online e in store selezionati a partire dal 30 novembre.
«Quanto sai di te stesso se non ti sei mai battuto?», dice Tyler Durden in Fight Club. A unire Salmo e Noyz Narcos ci sono un immaginario filmico, un suono rabbioso, una dedizione stoica e un gusto acre per lo scontro, per quella scintilla da cui sgorga l’arte più cristallina. «Approcciamo la musica in maniera aggressiva, ci piace il sound che pesta. E questo è frutto dell’essersi costruiti da soli: nessuno ci ha mai regalato qualche cosa», dice l’ex TruceKlan. Da CVLT, il loro joint album, emergono il furore incendiario del sound e la poesia di una parola tormentata. «È il disco più rap a cui abbia mai partecipato. Quello
che ci unisce? “Troviamo il fascino in ciò che è ripugnante”: siamo figli di Baudelaire», prosegue con un piccolo ghigno Salmo, citando il poeta francese. Non è certo un caso che uno dei progetti più attesi e sognati della storia del rap italiano venga pubblicato al culmine della “giornata dei morti”, nella notte: CVLT è un album sfacciatamente rap che attraverso un universo dark, cinematografico e a volte “romanticamente brutale”, come direbbe Noyz, mette i due pesi massimi della scena hip hop davanti allo specchio. Il suono della battaglia, infatti, non è un eco distante, ma risuona dentro il loro petto.
«La musica serve a esorcizzare il male che senti – sottolinea Salmo – a me è capitato di parlare di problemi personali in alcune canzoni e, dopo averlo fatto, di sentirmi meglio. Ma questo non vuol dire che si troveranno risposte in quelle barre. Alla radice del rap c’è il parlare di sé stessi e della propria storia e, quando questa diventa di tutti quelli che ascoltano, allora lì avviene qualcosa di potente. I mostri non vanno cercati chissà dove, sono dentro di noi». Noyz affonda la lama: «a me sono sempre stati sul
cazzo i rapper che se la prendono con un nemico immaginario. A volte, ascoltandoli, mi chiedo: ma di che cosa state parlando? Mi piace pensare che il rap sia terapeutico, che aiuti nell’autoanalisi. Quello che non dici a te stesso nella vita, lo puoi sputare fuori in una canzone. Un artista capisce che è diventato bravo a fare rap quando in quello spazio risicato che offre la struttura di un brano riesce a raccontare una storia, la propria storia, dall’inizio alla fine, come fosse un mini film».
In quale momento delle rispettive carriere arriva questo joint album? «Avremmo potuto farlo anche dieci anni fa, ma giunge dopo un forte processo di maturazione da parte di entrambi, sia come persone che a livello artistico», risponde il rapper sardo. «La prima volta che ne parlammo fu davvero tanto tempo fa, poi ci siamo sempre seguiti a vicenda: le nostre carriere, a livello di uscite, sono andate quasi in parallelo. Era giusto realizzare insieme qualcosa di nuovo. A livello di scrittura non c’è stato nulla di pianificato: ci siamo visti e abbiamo dato tutto», ammette Noyz.
CVLT è notturno, irruento, divertente. È infarcito di riferimenti a film horror e non solo, ha produzioni estremamente contemporanee, ma anche evidenti schegge di un sottobosco underground da cui Salmo e Noyz provengono e di cui sono rimasti profondamente innamorati. Nella foresta di brani che lo compongono si può avere anche la strana sensazione di essere pedinati e braccati come nel sorprendente pezzo Brujeria (il titolo è un omaggio al gruppo death-grind metal messicano) in cui, alla fine, sembra di essere letteralmente raggiunti da un serial killer sull’onda di barre spietate e una musica scalpitante. «L’idea di intitolarlo così è arrivata dopo la lavorazione, tutto quello che abbiamo inserito, dai riferimenti al mondo del cinema ai sample, ci portava alla definizione di “cult”», raccontano i due rapper. Un progetto dannatamente splendente nella sua autenticità e nella sua attitudine. «Abbiamo vissuto insieme, in Toscana: è stato bellissimo – svela Salmo – eravamo isolati, lontani dalle preoccupazioni e dalla quotidianità. Noyz ha una famiglia e tutti i giorni, appena si sveglia, si occupa giustamente dei suoi cari. Lì avevamo la mente libera: c’era solo la musica a guidarci». Un approccio da creature della notte, come quelle che popolano le canzoni. «Tutto iniziava a prendere forma in modo concreto nel tardo pomeriggio e alla sera, capitava anche che scrivessimo fino alle sei del mattino e, mentre noi dormivamo, i produttori andavano avanti a lavorare sulla parte musicale. È stato un flusso costante…», prosegue Noyz.
La voce di Verano Zombie stappa una birra e ripensa al processo di lavorazione: «alcuni pezzi li abbiamo fatti con una spontaneità del momento unica e irripetibile. All’alba, tutti marci, dopo una notte insonne… quell’approccio punk alla scrittura lo abbiamo difeso. Avremmo potuto rimettere mano su alcune parti, ma quella naturalezza si sarebbe persa. E per questo motivo ci siamo rifiutati di modificare quegli aspetti, non ce ne fregava un cazzo di tornare in uno studio perfettino e registrare di nuovo tutto l’album con un microfono Neumann valvolare. Adesso alcuni rapper registrano nelle stanze di alberghi di lusso, ma per me il rap è altro. Se hai le barre e la forza della spontaneità, hai tutto».
Brian Eno, che alla fine degli anni ’70 curò musicalmente la “Trilogia berlinese” di David Bowie, consigliò all’icona britannica di mantenere alcuni errori di registrazione anche nelle versioni definitive, perché è in quelle imperfezioni che si manifesta “la verità dell’arte”. «Sia a me che a lui, nella nostra carriera, è capitato di registrare nuovamente alcuni brani, rendendoci conto che, rifatti, erano meno fighi di quelli sporchi originali – puntualizza Salmo – perché la musica è in primis intenzione, non qualità. Si possono registrare pezzi incredibili, che scuotono chi ascolta, con microfoni scadenti, se alla base c’è una forte intenzione, una voglia di comunicare che supera gli ostacoli tecnici».
Il progetto si apre con una traccia epica, Anthem. «È qualche cosa di nuovo, l’idea è stata sua – Salmo indica Noyz – abbiamo preso i pezzi più celebri di uno e dell’altro e ce li siamo scambiati: io rappo sulle sue produzioni più famose, lui sulle mie, con delle barre nuove, tranne le parole iniziali che sono sempre quelle del pezzo originale». Interviene Noyz: «appena partono le basi, si riconoscono subito i brani, è una vera evocazione». Anthem è una porta d’ingresso che trasuda fratellanza, rispetto e cultura. Tra i demoni da affrontare c’è anche l’ego che, però, nel patto di sangue di CVLT, è un mostro buono. «La voglia di voler spaccare maggiormente rispetto all’altro non solo è naturale, ma è anche un motore – argomenta Salmo – perché la competizione aiuta a dare sempre di più, ad alzare la qualità. Se lui faceva una strofa che spaccava, io volevo farla ancora più figa e viceversa. Ci siamo stimolati a vicenda». Visioni e attitudine li uniscono, ma ci sono anche linee di demarcazione su cui, come dei trapezisti nel vuoto, è sempre importante trovare un equilibrio. «Io sono abituato a scrivere sulla base, poi può capitare che il produttore rivoluzioni il brano a livello di sound e allora si possa cambiare strada, ma non riesco, come fanno alcuni rapper, a scrivere senza musica – continua Noyz -, mentre a lui bastano i bpm. Ognuno ha il suo metodo. Sia io che lui abbiamo portato in studio un fido scudiero e in più abbiamo registrato delle parti strumentali. La squadra era formata principalmente da Sine, Luciennn e Verano. Siamo partiti da sample che piacessero a entrambi e abbiamo scritto tutto fianco a fianco. Sono arrivato a un punto della mia carriera in cui mi rifiuto di fare musica a distanza, con uno che manda le basi e l’altro che invia le strofe. Basta: la musica si fa insieme».
Ad aleggiare come fantasmi sulle teste dei rapper e in generale degli artisti, ci sono spesso due parole: coerenza e incoerenza. Questi termini hanno, specie nell’universo hip hop, il peso innaturale di macigni. Da una parte Noyz, come direbbero i CCCP, sempre “fedele alla linea, anche quando non c’è”, dall’altra Salmo, che continua a essere uno sperimentatore folle, capace di generare dei big-bang nella testa dei suoi fan più accaniti e radicali. «Provengo da un territorio in cui è difficile emergere (la Sardegna, ndr), sperimentare per me è stato necessario – si apre Salmo – perché se avessi potuto, avrei fatto per tutta la vita rap classico, quello che mi piace di più, ma avevo bisogno di essere originale e di differenziarmi per farmi notare, o non sarebbe successo nulla. All’inizio facevo solo rap classico e non mi considerava nessuno, poi ho iniziato a rappare sull’elettronica e ho ribaltato ogni pronostico. Inoltre, rivendico di essere nato come artista ibrido, dagli ascolti fino alla militanza nelle band: tutte le mie esperienze mi hanno aiutato a trovare una chiave personale». Salmo non fugge dai canti delle Sirene, li affronta: «la partecipazione al Festival di Sanremo 2023 e tutti i feat che ho fatto negli ultimi anni, per me, sono stati un “aprire le porte”. Alcuni mi hanno criticato, ma io volevo spingermi oltre. I featuring con Fedez e con Blanco, nello specifico, li ho fatti perché erano delle sfide in primis con me stesso. Dopo tanta strada, mi sono chiesto: “saresti in grado di farlo? O vuoi stare nella tua comfort zone e non tentare?”. Sul rap mi sono levato tutte le soddisfazioni che stavo cercando, volevo dimostrare anche altro, mosso soprattutto dalla curiosità. Mi sono infilato negli stili degli altri e credo di averlo fatto bene. Quindi alla fine, in qualche modo, ho trovato delle risposte e mi sono detto: “sì, sai fare anche quello”, non pensando al resto». Noyz incrocia le braccia e ancora una volta va sparato verso il punto focale: «io ho trovato la mia formula, per me non è una questione di “dentro o fuori” una comfort zone. Io faccio la roba mia, non me ne frega un cazzo del resto. Poi, sai, io sono molto diverso da lui: non so cantare». «Perché non vuoi provare…», si inserisce Salmo scaraventandogli addosso uno sguardo divertito. «Ma non ho mai preso una lezione di canto, dai, su… A me piacciono le barre, non i ritornelli. Non è un caso che nei miei dischi solisti i ritornelli li cantino sempre gli altri», ribatte Noyz.
Il dialogo tra i due prosegue senza briglie, è libero come un cavallo selvaggio e diventa una guida capace di condurre verso il cuore di CVLT. Ne diventiamo spettatori. «Emanuele, nel disco ti sei spinto oltre quello che hai sempre fatto. Hai cantato dei ritornelli e, anche a livello di barre, hai affrontato strade nuove, questo devi ammetterlo…». Salmo fissa Noyz. Quest’ultimo: «sì, è vero, in un mio progetto personale non l’avrei mai fatto, probabilmente non avrei neanche provato. Sei stato bravo ad apparecchiarmi qualche cosa di diverso (sorride, ndr)». «Il mix giusto, il pezzo perfetto, per me rimane Incubi. Dentro ci sono dei riferimenti alla filastrocca dei film Nightmare. C’è il tuo mondo e anche il mio, perfettamente mischiati». Alle parole di Salmo, Noyz fa “sì” con la testa e va ancora avanti, scandagliando le varie anime di CVLT: «un pezzo incredibile è Nightcrawlers, il primo che abbiamo registrato. È super sperimentale, elettronico. Un altro brano importante è La fine, dove rappiamo sul suono di una chitarra e tiriamo le somme: nessuno ci ha mai aperto le porte, siamo qui solo grazie alla nostra dedizione e avevamo voglia di dirlo in una canzone. Alcuni pischelli mi scrivono: “Noyz, dammi un consiglio per spaccare”. Non ci stanno consigli, ragazzi. Non ci stanno scuole di rap. Io, nel mio per- corso, ho realizzato dischi kamikaze, ho rifiutato proposte importanti, ma quello che ho fatto, l’ho fatto io, a mio modo». Noyz si stende sulla sedia e Salmo conferma: «per me la musica rap non la si può insegnare a nessuno, è un percorso che si costruisce personalmente passo dopo passo».
La mente riavvolge il nastro della storia, come se fosse la pellicola di un film, e torna indietro di oltre dieci anni. Un lampo: in quel primo incontro sembra già scolpirsi un destino. «Il periodo era 2011/2012, dovevo aprire il suo live a Firenze, al Viper – rammenta Salmo – io ero un suo mega fan. Stavo facendo il soundcheck quando, come in una scena da film, vedo la porta del locale aprirsi improvvisamente: entra Noyz e si piazza in mezzo al club, vuoto, a guardare che cosa stessi facendo. Si è ascoltato tutto il soundcheck. Non è stato un incontro convenzionale, non ci siamo stretti la mano dicendoci “piacere”, c’è stata subito la musica al centro».
Noyz chiude un attimo gli occhi come a visualizzare il preciso fotogramma: «quando vidi il suo video Rancho della luna nel 2011 rimasi colpito: aveva la camicia a scacchi, le Vans, la maschera, la mazza da baseball, era in Sardegna ma sembrava Los Angeles, tutto contribuiva a suscitare un immaginario hardcore in cui anche io mi rivedevo. Ho pensato che non fosse come gli altri. Ed è per questo che al Viper, contrariamente a quello che faccio di solito, mi fermai a sentire il soundcheck».
Si torna all’oggi. Le aspettative sono delle chimere? «Le formule non sembrano più funzionare – chiarisce il leader di Machete – oggi ci sono pezzi costruiti per le radio che vanno meno forte di brani più underground. Io credo che ci sia un ritorno a sonorità più classiche e rap, ma non so che cosa aspettarmi da questo album». Noyz, di certo, non si scompone. In uno dei suoi ultimi pezzi rappa: “la classifica la famo in strada, fuck Fimi”. «Non ho mai approcciato la musica pensando a che cosa volesse sentire il pubblico, alla moda del momento o a che cosa possa piacere o meno – specifica il rapper romano -, per me era importante fare qualcosa in modo naturale e sentito, un disco che ci rappresentasse. In ogni dettaglio. Non è concepibile sprecare delle barre, non riempire una riga con qualche cosa che abbia un senso, un concetto, un significato». Una cura maniacale di ogni aspetto che si riverbera anche nei live. Anche per questo, l’esaltazione più assoluta di un progetto come CVLT sarà senz’altro nella dimensione dal vivo che si realizzerà il 15 giugno a Milano al Fiera Milano Live, e il 21 giugno al Rock in Roma, nella capitale. Salmo in Grindhouse, altro riferimento al grande schermo, questa volta alle pellicole di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, rappa: “voce di chi non ha voce… ma poi playback”, attaccando i rapper che non si dimostrano forti sul palco. «Se provi a far notare che oggi molta musica viene impacchettata ad hoc in studio da turbo-produttori, ma poi dal vivo suona di merda, ti danno del boomer o del geloso – si accende l’artista sardo – ma la musica è nata dal vivo: hai fatto una hit? Bene, ma se non la sai portare con forza su un palco, rimani un perdente». Noyz subentra con parole che hanno il peso del machete di Jason Voorhees: «ci sono artisti che hanno realizzato dischi multiplatino che, tolto tutto il processo di lavoro in studio e riportati i brani all’essenziale, sono in realtà delle cagate mondiali. E questo si nota proprio nei concerti. Anche per questo io e lui abbiamo una cura del live particolare: zero playback. A me rode il culo quando vedo certi artisti americani o italiani, che magari stimo, fare live scarsi. Quello che presenti in un album, devi saperlo portare anche in concerto. Arrivo a dire che sul palco, possibilmente, devi essere anche più forte di come suoni su disco».
Il killer Stuntman Mike, interpretato da Kurt Russell, nel film Grindhouse di Tarantino spiega alla povera Pam che la sua auto crea una protezione totale a qualunque impatto solo se ci si siede al posto del guidatore, se si tiene il volante. Ovvero, ci si salva solo se si governa la strada, se la si solca, se si lasciano i segni dei pneumatici sull’asfalto. Ci si salva solo se non si è spettatori. Quell’auto è esattamente come il rap di Salmo e Noyz: a prova di morte.