Per quanto sia democratico, universale, resistente ad ogni trend ed eternamente versatile, il denim purtroppo rappresenta un grosso problema per la sostenibilità. Basti pensare che per produrre un singolo paio di jeans ci vogliono circa 7.500 litri d’acqua e un elevato impiego di sostanze chimiche inquinanti. Tuttavia, negli ultimi anni l’industria della moda ha messo a punto nuove tecniche di fabbricazione meno impattanti.
Un ulteriore passo avanti in questo percorso è stato per esempio fatto da PANGAIA, che di recente ha rilasciato la sua prima linea in denim con uno studio altamente innovativo e all’avanguardia.
I jeans sono il capo d’abbigliamento più democratico, inclusivo, resistente, duraturo e culturalmente influente della storia. Il nostro lavoro è stato come “dalla fattoria alla tavola”, iniziando dalle materie prime per realizzare un denim ancora migliore e unico.
Jonathan Cheung, Denim Designer di PANGAIA
Proprio come gli altri articoli del brand, anche questa nuova proposta vanta un approccio etico e sostenibile in tutto e per tutto, che parte dalla scelta di materiali inediti e arriva alla progettazione di tecniche lavorative rispettose per l’ambiente. Le trucker jacket d’ispirazione vintage anni ’90 e i jeans, proposti sia in taglio regular che a vita alta, sono stati infatti fabbricati utilizzando per la prima volta in assoluto l’ortica selvatica dell’Himalaya, assieme a cotone biologico proveniente dall’India e cuciture a base di cellulosa biodegradabile. Mentre il lavaggio selfedge dà un aspetto visivo grezzo e autentico, questa combinazione di tessuti rende invece la tela estremamente morbida, confortevole, traspirante e allo stesso tempo resistente.
Inoltre, nel nome di nuove pratiche di acquisto responsabili, ogni capo sarà dotato di una sorta di passaporto digitale che consente ai clienti di accedere ai rapporti sull’impatto ambientale registrati durante il processo di produzione.
La collezione è disponibile online.