PAPmusic parla di tutto tranne che di moda

Tra i tanti film in uscita ce n’è uno che non andrò a vedere, ma di cui vale la pena parlare. Non è forse questa la migliore pubblicità?

Un lungometraggio animato, realizzato interamente con la tecnica CGI, che dovrebbe raccontare in modo ironico e frizzante il mondo della moda visto dall’interno di una giovane azienda italiana.
Prodotto dalla casa di produzione indipendente Not Just Music, “PAP music – Animation for Fashion” (sì, questo è il titolo) è in sala dal 26 settembre ma è già un caso cinematografico italiano. Non per i premi vinti o la critica positiva, ma per la domanda che si stanno ponendo tutti quelli che (disgraziatamente) sono incappati nel trailer: com’è possibile che questa cosa venga proiettata al cinema?

La storia si apre con il lancio dell’effervescente casa di moda milanese “Pap Music” (il cui nome dovrebbe essere un acronimo di prêt-à-porter), “Una realtà parallela, misteriosa, che vive di sentimenti attraverso la musica, i racconti e le immagini” recita la profonda voce di Luca Ward.

Pochi secondi dopo si capisce che il focus non è l’imprenditoria ma la relazione tra Lei e Lui, la designer e il direttore commerciale del brand che hanno condiviso una notte di passione caduta nel più banale dei ghosting.


Se avete la forza di resistere ai 2.29 minuti di trailer (che avete di meglio da fare?), capirete che più che di problemi creativi si parla di pruriti amorosi tra colleghi. Il che ci certifica subito che si tratta di un’azienda italiana dove tutto è possibile, anche slinguazzarsi in un ufficio che riesce ad avere contemporaneamente un affaccio su Piazza del Duomo e uno su Torre Velasca.

Lei e Lui sono stati amanti, ma anche gli altri personaggi potrebbero riservare delle sorprese scottanti, come la segretaria che fa i tarocchi in ufficio o il giovane Max a cui escono gli occhi a cuore alla vista della collega formosa.

Nonostante il moltiplicarsi di serie e biopic su i grandi couturier, raccontare la moda in tv o al cinema è ancora un rischio che nessuno ha davvero raggirato (basta leggere le critiche al nostro “Made in Italy” prodotto per Amazon Prime o a “Becoming Karl Lagerfeld” di Disney+), ma con questo progetto siamo andati oltre ogni possibile visione.

Secondo la scrittrice e regista Leikiè (che Ansa.it definisce cantautrice e artista nota alle giovani generazioni sui social, ma io vedo solo un profilo IG con meno di 500 follower) l’intento di “Pap Music” è quello di “celebrare la moda come forma d’arte e espressione personale, promuovendo al contempo un messaggio di inclusività e innovazione”, ma qui non c’è nessuna traccia della parola moda. I personaggi animati non solo sono caratterizzati da un’estetica folle e anacronistica, che posso accettare solo se mi confermate che a capo del team di animazione c’è Prezzemolo di Gardaland sotto effetto di LSD, ma anche i vestiti proposti dalla giovane casa di moda rimangono sospesi in un mondo di fantasia. Difatti nel trailer si parla di zero vendite e zero euro”. Forse il momento più lucido dell’intero film.

Non so se a ferirmi di più sono più i corpetti della protagonista o la sfilata in slow motion delle modelle con indosso dei baby doll da fatina porno.

Vorrei potervi dire che dove perdiamo adesione al mondo del fashion guadagniamo nella trama, ma purtroppo ci troviamo davanti a una copia sbiadita di The Lady con un’animazione degna di The Sims 2.
Nei primi 20 secondi di trailer abbiamo già una ripresa con zoom sul seno bombastico della protagonista. Come fanno ad esserci delle riprese di tette rimbalzanti in un cartone animato, direte voi? La tecnologia fa miracoli, vi risponderei io.

Ma parliamo di questa tecnologia. “Un lavoro durato più di 10 anni dall’ideazione – ci tiene a sottolineare la regista – allo sviluppo dello storyboard fino alla produzione di oltre 50 personaggi, centinaia di comparse, ricerca di look stravaganti ispirati ai colori e ai mood della Pop Art”
Ora, nessuno si aspetta che una piccola casa di produzione indipendente se ne esca con un prodotto simile a “Inside Out” della Pixar, ma questo stile d’animazione ci riporta indietro di oltre vent’anni. I critici social più clementi hanno invocato un parallelismo con i giochi della Playstation 2, ma io voglio spingermi là dove il vostro inconscio pulsa al buio: la pubblicità della suoneria del gattino Virgola.
Tra i colori fluo e i dettagli grafici sconcertanti (spero vi sarete accorti dei grafici di crescita aziendale presenti nell’ufficio della “Pap Music”) va riservato un posto speciale anche al doppiaggio della pellicola.


Abbiamo già citato il mitico Luca Ward, una colonna portante del doppiaggio italiano, un uomo la cui voce ha giocato un ruolo fondamentale nel farmi amare prima Russell Crowe (questo amore è già finito) e poi Hugh Grant (questo amore durerà per sempre). A lui si accompagnano Rudy Zerbi, Jake La Furia dei Club Dogo, Marco Mazzoli dello Zoo di 105 e la stessa regista Leikiè.
Che squadra è questa? Come e quando hanno deciso di far parte del progetto? Battete gli occhi due volte se volete essere salvati.

Sarebbe tutto da prendere con grande leggerezza e ironia, addirittura potremmo organizzarci con dei pulmini per andare al cinema più vicino per godere di quest’ora e mezza di sessismo benevolo (nel trailer il protagonista maschile sbotta “Troppe donne in questa azienda!”), se non fosse che è saltato fuori che l’intero cortometraggio è patrocinato dal Ministero della Cultura.

Lo suggerisce un bollino sul poster ufficiale.

In un articolo di Dagospia si parla di 4 milioni di euro di finanziamento arrivati direttamente dal governo. Con un cinema italiano che fa sempre più fatica a stare in piedi e a lanciare nuovi talenti, com’è possibile che un progetto mediocre come “Pap Music” si sia portato a casa un finanziamento tanto goloso?
La casa di produzione risponde alle critiche con un comunicato in cui spiega che grazie a un bando pubblicato dal Ministero della Cultura hanno potuto usufruire del credito di imposta derivato dalla legge Tax Credit Cinema, citando le loro parole un prelievo alla fonte del gettito iva generato dall’attività produttiva del settore cinema.
Il comunicato chiude ricordando che questo cortometraggio promuove il Made in Italy attraverso un sorriso.
Staranno sicuramente sorridendo quelli della casa di produzione Not Just Music che sono riusciti a chiudere un accordo con The Space e UCI Cinema per la distribuzione del film.

Ma io sono qui non per risanare i debiti del settore cinema italiano, io sono qui per parlare di un mondo fatto di speranza e fantasia dove – sono certa- “Pap Music” potrà ergersi come capolavoro. Sto parlando di TikTok. Negli anni la piattaforma cinese è stata la macchina dietro al successo di artisti indie (basta guardare al successo tardivo di Chappell Roan), di terribili disgraziati di provincia e di commedie di serie B. Ammetto già di passare uno sconsiderato numero di ore a seguire le drammatiche vicende dei pupazzi dell’account @sylvaniandrama o le discussioni (tutte relatable) a velocità x2 dell’account @giuseppa_and_adelina, posso sicuramente trovare il tempo per inserire nel mio palinsesto qualche spezzone di “Pap Music”

Come un padre benevole deluso dai propri figli, TikTok non richiede sceneggiatura, non richiede coerenza o qualità. Vuole solo che tu dia un senso alla mia vita per i prossimi 30 secondi. È il posto perfetto dove riciclare un film sbagliato e trasformarlo in una serie di clip nonsense memorabili. Perché cercare l’arco narrativo di questa storia quando posso mettere un cuore allo spogliarello senza senso di un personaggio animato? “Pap Music” il tuo pubblico esiste, solo che non è dove pensavi tu. Io mi dichiaro disposta a repubblicare.