Christian Mazzon è un pugile italiano di 26 anni, peso superwelter (categoria all imite dei 69 chili), considerato uno dei talenti più promettenti della boxe tricolore. Registra un record di 9 vittorie (con 3 KO) e 4 sconfitte, uno score altalenante che non gli rende giustizia. Dopo un inizio di carriera positivo con una gestione manageriale prudente, Christian chiede a gran voce match più impegnativi e decide di mettersi in proprio. Probabilmente brucia le tappe, perché comincia a combattere all’estero e tra avversari imbattuti, esperimenti in categorie di peso superiori e verdetti discutibili, Mazzon incappa in un periodo negativo, sia a livello personale che di risultati. A questo punto sceglie di cambiare team e bussa alla porta della palestra “Fight Club Fragomeni” di Giacobbe Fragomeni, ex pugile campione del mondo dei pesi massimi leggeri nel 2008. Una svolta che lo riporta alla vittoria sul ring, gli fa riacquistare fiducia e lo lancia verso una chance per il titolo italiano, l’equivalente dello scudetto calcistico nel pugilato. Il primo, vero e importantissimo traguardo della sua carriera.
Una sfida decisiva
Prima però Mazzon deve confermarsi contro il croato Dario Borosa nella cornice dell’evento “The Art of Fighting”, organizzato di sabato sera a Meda. Borosa è un giovane mestierante con 22 incontri all’attivo che ha rimpiazzato l’avversario originale di Mazzon, saltato a dieci giorni dall’appuntamento. Per Christian si tratta dunque di un test per poter ambire a obiettivi prestigiosi; in queste circostanze è
fondamentale mantenere alta la concentrazione soprattutto quando si è favoriti, perché nel pugilato basta un colpo per invertire le sorti di un match. Nei giorni precedenti alla sfida Mazzon è sereno, mi spiega come si aspetta che vada l’incontro: «Spesso Borosa riesce a portare il match ai punti perché è furbo, tiene sempre le mani su e gira per il ring, è elusivo. Spara un paio di colpi ogni tanto, tiene la guardia alta e se ne va. Non sarà semplice metterlo alle strette, è difficile da inquadrare. È il classico pugile che non ha senso cercare di colpire al volto da subito, devo prima lavorarlo al corpo, così si fiacca e diventa meno mobile. Allora lì sì che posso alzare la traiettoria dei colpi. In ogni caso in questo sport non si può sottovalutare nessuno, mai».
Il giorno prima del confronto i pugili si pesano sulla bilancia ufficiale, Christian segna 69,7 chili. Ed ecco che inizia la consueta ricarica, per riacquistare volume fisico, energie e reidratarsi, dopo la dieta ferrea che ha dovuto seguire durante la preparazione. Lo sento verso sera: «Mi sono bevuto subito un litro e mezzo di Gatorade con le proteine in polvere, sale, magnesio e creatina» dice, «e ho mangiato 300 grammi di riso più una banana. Poi tanta acqua e un gelato allo yogurt e frutti di bosco, quindi non grasso. Ho ripreso con un bicchiere di succo di frutta e creatina, 160 grammi di pasta con i pomodorini e un affettato magro. Tutto con pochissimo condimento». In meno di quattro ore Mazzon è passato da 69 a quasi 75 chili, in piena forza per salire sul ring.
Dietro le quinte. Preparativi
Arrivo al Palameda la sera dell’incontro, e apprezzo subito il palcoscenico: il palazzetto è raccolto, funzionale allo show perché non è troppo grande (ha capienza di poco più di un migliaio di spettatori) e ciò fa risaltare la presenza del ring, che troneggia al centro del parterre illuminato dai riflettori e da giochi di luce suggestivi, mentre la deejay che anima la serata spara musica da discoteca a tutto volume. Anche le persone sugli spalti sono vicine all’azione, infatti si percepisce subito che l’atmosfera si scalderà in fretta appena i fighter (pugili e kickboxer) faranno la loro comparsa in scena. Una specie di atrio spazioso congiunge un ingresso laterale del palazzetto con gli spogliatoi, che si trovano lungo un corridoio dipinto a bande bianche a arancioni. Gli atleti avversari sono divisi in due stanze, a seconda dell’angolo di appartenenza (blu o rosso). Appena entro nel backstage vedo Mazzon: lui è lì dalle 17.30 circa, il suo match è previsto per le 21.40.
È sorridente, rilassato ma deciso, si intuisce che sta fremendo e cerca di placare l’impeto che dovrà sfogare sul ring. Chiacchieriamo, mi spiega che nella notte ha riposato bene e che durante la mattina ha fatto un po’ di attivazione muscolare, ora si sente pieno di energie. Il suo maestro Fragomeni mi confida: «Dirò a Christian di portare il match sulla distanza, di mettere giù l’avversario verso la fine, altrimenti andrebbe bene anche fare tutti e sei i round e arrivare ai punti. Così possiamo valutare la performance in modo più completo per capire cosa funziona e cosa no, e correggere il tiro per i prossimi incontri, che saranno decisivi». A due ore e mezza dall’incontro Mazzon entra in spogliatoio, in quel momento popolato da altri tre pugili. Si cosparge d’olio massaggiandosi i muscoli, per scaldarli e rilassarli.
Poi arrivano i guantoni, li maneggia valutandone l’imbottitura e come calzano sulla sua mano, e si dice soddisfatto. Allora si siede, arriva Fragomeni e comincia a bendargli le mani, una pratica che fa scattare una scintilla nella mente di un fighter.
Davanti alle mosse studiate e ripetute del suo maestro nell’avvolgergli nocche, dita e polso con la garza elastica, Mazzon sente che il momento clou si sta avvicinando. L’aria nello spogliatoio si fa più tesa, ma torna rilassata poco dopo, tra un via vai di atleti che salgono e scendono dal ring, maestri che si conoscono da anni e colgono l’occasione per salutarsi e scherzare tra loro, personale dello staff dell’organizzazione, fotografi e membri vari del team dei pugili. Christian si mette i pantaloncini con cui combatterà, sono neri con degli inserti in oro, spiccano i loghi degli sponsor e della sua palestra, e indossa anche l’accappatoio da togliersi sul quadrato. Si siede, parla con me, scambia due parole
con i colleghi, scherza con il team, che a un certo punto lo richiama perché sta iniziando il riscaldamento finale troppo presto: «No Chri, manca ancora un’ora, stai buono». Quando riceve l’ok, Mazzon beve da una borraccia in cui ha mischiato un energy drink con altri preworkout, spiega che gli serve per aumentare la concentrazione e migliorare le performance. Poi si dedica alla mobilità e passa alla
parte di attivazione muscolare sotto la supervisione del suo preparatore atletico. A circa mezz’ora dal gong indossa i guantoni e fa qualche combinazione ai colpitori, rapida ed esplosiva.
In azione, si combatte
E finalmente ecco che deve lasciare lo spogliatoio, percorrere parte del tunnel e uscire dal backstage, comparendo in scena lungo la passerella che brilla di luce e fuochi d’artificio simulati, mentre lo speaker lo annuncia. Il pubblico è caldo e lo acclama. Si parte, e Mazzon non delude le aspettative: incalza l’avversario fin dall’inizio, lavorandolo al corpo con colpi ben assestati, alla ricerca di fegato e milza, che Borosa a tratti accusa ma incassa sempre, stoicamente.
Il croato rinuncia ad attaccare per restare chiuso in guardia, e questo rende difficile l’azione di Christian, che trova poco spazio per arrivare pulito a bersaglio. Mazzon mantiene costante il pressing su Borosa, lo insegue per il ring, gli sbarra la strada, poi dal corpo passa a colpirlo al volto, ma l’avversario tiene le braccia alte ed evita il peggio attutendo i pugni ricevuti. Il match si conclude ai punti con una netta vittoria di Mazzon, e Borosa gli dice: «You hit really hard», colpisci davvero forte.
Torno in spogliatoio con Christian, il suo team è soddisfatto e anche lui: «Ho fatto
quello che dovevo, Borosa ha una resistenza fuori dal comune. Ma me lo aspettavo, è uno che sa stare sul ring, ha combattuto tanto all’estero e ha perso pochissime volte prima del limite». Mi chiede se le combinazioni che ha sferrato sono state belle da vedere, se si è notato che ha tenuto un ritmo alto per tutto il combattimento. «Adesso mi faccio una doccia veloce e andiamo a cena, non vedo
l’ora di mangiarmi una pizza», conclude. Lo saluto poco dopo, congratulandomi un’ultima volta.
Christian è approdato al pugilato dopo un’adolescenza difficile, tra dipendenze e cattive compagnie, fino allo scoppio di un amore viscerale per il combattimento. Il suo percorso è stato in salita tra infortuni, ingiustizie sportive, questioni personali, veri e propri colpi di sfortuna. A volte si è abbattuto, ma non ha mai mollato, mostrando una tenacia esemplare. Oggi quando combatte lo fa non solo per la sua
carriera, ma anche per invertire un destino troppo spesso avverso. Ora è il momento di una svolta. Grazie al suo talento, all’intelligenza, alla perseveranza. E al grande cuore che a Christian non è mai mancato.