Per Guè e Rasty Kilo ha ancora senso fare i mixtape

Appena qualche giorno fa, in una chiacchierata nel podcast Street Mindset, Gué ha parlato della scelta di svincolarsi dalla major. Come aveva annunciato in occasione dell’uscita di Tropico del Capricorno, il padrino del rap italiano ha deciso di mettersi in proprio e creare una nuova etichetta, Oyster Music.

Gué è sempre stato un rapper con le mani in pasta dappertutto, capace di soddisfare le fasce più eterogenee di pubblico e, come ha detto lui stesso, aveva bisogno di più risorse per curare tutti i volti della sua musica: per quanto il filo conduttore rimanga la cultura hip hop, esistono un Gué più classico e un Gué più melodico, un Gué da album e un Gué da mixtape. Diventare indipendente serviva proprio a dare spazio a quelle versioni del Guercio che sarebbe riduttivo definire side projects, ma che nelle dinamiche di una major non potevano avere la priorità: «In questo modo sono ancora più libero. Nella mia label ho Fastlife, il joint album con “x”, il joint album con “y”», ha detto.

Non è un caso, allora, che la prima uscita targata Oyster Music sia un album scritto a quattro mani con Rasty Kilo. Il rapper di Ostia opera nella scena da quindici anni, ha collaborato con un sacco di big, ma non ha di certo risonanza mainstream. Aprire l’esperienza della nuova etichetta con una collaborazione del genere, è un po’ una dichiarazione d’intenti.

Che i due potessero stare bene insieme lo avevamo già intuito quattro anni fa, quando in maniera inaspettata il Guercio aveva invitato Rasty nel quarto capitolo della saga Fastlife. In una raccolta che ancora oggi è un gioiellino, Italian Hustler era stato uno dei pezzi più riusciti, che in un certo senso aveva segnato il ritorno di Kilo sulla scena dopo la fine dei domiciliari: Gué gli aveva sempre dimostrato stima; i mixtape, per lui, erano sempre stati l’occasione per sperimentare e aprirsi alle collaborazioni più varie, e per questo Rasty era un’ospite ideale per Fastlife 4.

Va da sé, allora, che KG sia impregnato dello stesso spirito da mixtape con cui i due protagonisti avevano collaborato la prima volta. È un disco che trasmette leggerezza, scritto per intrattenere un certo tipo di ascoltatore, amante di un certo tipo di rap, che se su Spotify va a cercare una collaborazione di Gué e Rasty Kilo vuole quella determinata cosa, senza aspettarsi niente di diverso: barre, coca rap, beat senza troppi fronzoli, riferimenti cinematografici e alla tradizione hip hop. Ciò che lega, insomma, due artisti del genere. 

Gué e Rasty, di base, sono due impallinati di questa cultura, è questo il loro tratto comune. E così, con KG hanno deciso di giocare in casa, non c’era bisogno di inventarsi nulla: si capisce che è stato davvero registrato con disinvoltura. Non sono solo due professionisti del microfono, che un disco di questo tipo riescono a scriverlo ad occhi chiusi, ma sono anche i mobster che possono permettersi di entrare nel ristorante stellato direttamente dal retro, passando dalla cucina, un po’ come la scena di Goodfellas in cui Henry Hill porta per la prima volta a cena Karen, e che magari al ristorante ci vanno solo per lo sfizio di mangiare una normale caprese, come nel video di Crime pays: del resto, chi sa il fatto suo mantiene una certa semplicità, perché come dice Rasty in Bulletproof i poveri ostentano Prada, i ricchi indossano Nike (che è un po’ un richiamo al “Ricchi in Air Max poveri in Balenciaga” di Italian Hustler).

Così, KG si apre con Rasty che paragona la sua partnership con Gué a quella di due pilastri della scena di Memphis come il compianto Young Dolph e il suo protetto Key Glock, e poi scorre liscio tra punchline (divertente quella dove Kilo prende in prestito “no soy marinero soy capitan” da “Para bailar la bamba”) e richiami vari al mondo mafioso o a figure come Connor McGregor. Il tutto accompagnato da collaborazioni coerenti con il taglio del progetto: Papa e Nerissima, ma anche Noyz, che compare nella traccia più autobiografica del disco, Dedicated, prodotta da Bassi Maestro guarda caso con lo stesso titolo di un suo pezzo del 2005 scritto anch’esso sotto forma di memoria e contenuto nell’album Hate.

Si arriva così all’episodio cardine del disco, intorno a cui gira tutto il viaggio: KG Anthem. Qualche giorno fa, i nostalgici della Dogo Gang non possono non essersi emozionati all’entrata in scena di Caneda al fianco di Gué sul palco del Forum, dove si sono esibiti in quello che forse resta il pezzo più iconico della loro carriera, Il ragazzo d’oro.

Allo stesso modo, questa notte i fan più scafati hanno sicuramente provato un brividino nell’intuire che KG Anthem altro non era che una riedizione di Zona Uno Anthem, l’altra grande collaborazione tra Gué e Neda. In un certo senso, come all’epoca Zona Uno Anthem era un po’ un inno per Tanta Roba, la prima etichetta di Gué, allo stesso modo KG Anthem apre il sipario su Oyster Music. Zona Uno Anthem era una trappata pura e cruda, scritta sul beat di B.M.F di Rick Ross e Styles P, al quale è ispirato anche KG Anthem, come si percepisce dal flow e dal ritornello: solo che al posto di Big Meech e Larry Hoover, ci sono De Pedis e Vallanzasca, Turatello e Califano, in una suggestiva alternanza di malavitosi romani e milanesi. 

KG Anthem chiude la prima parte del disco e introduce la seconda, che cambia leggermente la forma ma non il contenuto. Gué e Rasty si concedono delle variazioni sul tema e osano qualcosa di diverso in termini di musicalità, rimanendo però sempre fedeli al proposito che muove il disco, e cioè rimanere ancorati al proprio retroterra. Per cui niente vere sperimentazioni, quando si esce dal solco del rap più grezzo, lo si fa per ritornare a formule familiari, che magari i due avevano già provato in passato: l’occhiolino alla versione più glitterata del rap dei primi 2000 in un pezzo dal titolo didascalico come Duemilatre, il passaggio emo con Tony Boy, la traccia con Tony Effe che sembra quasi un pezzo di Jul, l’attitudine da rude boy, per dirla con le sue parole, del Guercio nel singolo con Terron Fabio, un feat arrivato a sugello di un anno in cui Gué si è cimentato più volte in pezzi dai richiami giamaicani – Top Notch con Dero e una leggenda della Dancehall come Stylo G, TQP con i Sud Sound System e Nei Tuoi Skinny in Tropico del Capricorno – che peraltro si respirano anche nel ritornello di Bulletproof, l’ultima traccia dell’album.

Bulletproof segna la fine del viaggio, ci accompagna all’uscita senza troppi complimenti, e ci conferma che alla fine da KG abbiamo avuto ciò che cercavamo: un disco che diverte, senza pretesa di cambiare la vita di nessuno, che in un periodo in cui di mixtape veri e propri non possono esisterne più, riesce comunque a preservarne lo spirito.