Perché la musica di Profondo Rosso è rivoluzionaria

Come si traduce in musica il terrore più nascosto? Per molti anni il tema di Profondo Rosso, che torna al cinema nella sua versione in 4K dal 1 luglio al 3 luglio grazie a Cat People Film (in collaborazione con Mediaset Infinity e Cine34 Mediaset, con il supporto di Nocturno) ha rappresentato l’esempio perfetto di come la ripetizione di semplicissime note potesse incutere nello spettatore gli orrori più primordiali. La mano con il guanto che si avvicina, il coltello che squarcia il corpo. Si può dire che era dai tempi di Psyco che un tema musicale non era riuscito a emulare così perfettamente l’esegesi artistica di un regista, a saperne incanalare il terrore e l’animo più profondo della paura.

Per analizzare come nacque questo iconico tema nel 1975, abbiamo avuto il piacere di parlarne con Claudio Simonetti, ideatore dei Goblin e vero maestro della musica per il cinema horror. Stimato dai più grandi come John Carpenter e George Romero, Simonetti ha unito il suo nome a quello di Dario Argento accompagnandolo in ben 14 film tra cui anche l’iconico Suspiria.

Partendo dalla nascita di questo idillio artistico abbiamo attraversato intere decadi della musica per il cinema, spiegandone la fondamentale importanza che forse oggi è stata erroneamente dimenticata, soprattutto per il cinema di genere. Simonetti è stato l’ideatore di un nuovo modo di intendere la musica per il cinema spingendo le sue composizioni verso l’elettronica più pura che furono fondamentali per pioniere come Wendy Carlos e lo stesso John Carpenter. Oggi ricordiamo un artista che il nostro paese non ha saputo valorizzare a pieno ma che nel mondo è ancora un vero esempio di master of horror.

Profondo Rosso ritorna in sala a quasi cinquantanni dalla sua uscita. In che modo arrivaste a lavorare a questo film da totali esordienti nel campo della musica per il cinema? E come ti spieghi la sua perenne centralità nel genere horror?

Quando siamo entrati in contatto per la prima volta con Dario Argento, aveva già finito di girare Profondo Rosso, affidando la composizione della musica originale a Giorgio Gaslini con cui aveva già collaborato nel film Le cinque giornate, ma non era molto soddisfatto delle sonorità che si erano venuta a creare; per il suo nuovo film voleva un suono più al passo con i tempi, che fosse decisamente rock. Per questo, dopo le difficoltà riscontrate nel cercare di coinvolgere band come i Deep Purple, Pink Floyd, Emerson, Lake and Palmer, il nostro produttore, Carlo Bixio, che era allo stesso tempo anche l’editore dei film di Dario, lo invitò in sala di registrazione mentre stavamo lavorando al nostro nuovo album, che già al suo interno aveva sonorità rock prog gotiche. Gli piacque molto ciò che facevamo e ci propose di iniziare a lavorare sul materiale che in parte Gaslini aveva già composto. Infatti inizialmente dovevamo semplicemente eseguire la musica ideata da Gaslini ma successivamente, dopo che decise di lasciare il progetto, componemmo tutta la colonna sonora che divenne successivamente iconica come lo stesso film.

La figura del protagonista di Profondo Rosso, il jazzista Marc Dailey, fu un elemento fondamentale per comporre la vostra visione musicale?

Probabilmente lo fu più per Gaslini che per noi, in quanto lui stesso era un jazzista. Ma Dario non voleva che ci concentrassimo su questo aspetto ma che l’accompagnamento musicale fosse violento, duro, con un suono sporco che niente doveva avere in comune con la musica di Marc Dailey e soprattutto con il suo ruolo di insegnante di jazz al conservatorio. In realtà, al contrario del film Quattro mosche di velluto grigio del 1971, con la composizione originale di Ennio Morricone, dove il protagonista era proprio un musicista rock e la composizione ne enfatizzava il ruolo, in Profondo Rosso la musica doveva essere in antitesi con il suo protagonista. La nostra musica doveva seguire la violenza, il macabro susseguirsi dei delitti. Se ci pensi, tolti rarissimi casi, in Profondo Rosso non si parla quasi mai di musica. Solo nella sequenza in cui Marc suona il pianoforte e l’assassinio cerca di ucciderlo viene accompagnata da uno strumento in scena, ma per il resto si può dire che il suo ruolo di pianista, narrativamente parlando, non sia così centrale. In generale Profondo Rosso è un film molto strano anche geograficamente parlando. È ambientato a Roma ma tutte le scene sono state girate a Torino. È come se ci fosse un continuo districarsi dalla realtà e in questo la musica diventa fondamentale.

Il tema di Profondo Rosso è entrato nell’immaginario culturale collettivo aldilà del fine che ebbe nel film tanto da avere una sua vita quasi a sé stante dal film. Come nacque e quali furono le influenze per arrivare a una composizione così iconica?

In realtà noi andammo a casa di Dario Argento e ricordo che in quell’occasione non c’era neanche la corrente perché aveva cambiato casa da poco e lì ci fece ascoltare tramite alcune cassette ciò che lui aveva in mente per la composizione del tema di Profondo Rosso. Successivamente ci recammo nel mio studio, in una cantina dell’Eur, e durante la notte componemmo il tema tanto da presentarglielo già il giorno successivo per inciderlo. Tutta la colonna sonora la registrammo in una settimana e quello che ci chiese Argento fu proprio di creare un collante tra la composizione di Gaslini e ciò che noi potevamo rappresentare musicalmente, ideando sia il tema centrale ma soprattutto andando a sonorizzare tutte quelle scene di violenza che determinavano la narrazione centrale del film.

Per la composizione del tema vi fu d’ispirazione anche la musica operistica? Ascoltandolo recentemente ho notato alcune inflessioni anche appartenenti all’opera del Fantasma dell’Opera.

Il tema di Profondo Rosso è stato composto veramente basandoci solo su quattro strumenti. L’unico elemento sicuramente imponente della composizione era l’organo da chiesa perché dove registrammo, negli storici Studi Forum che all’epoca si chiamavano Ortophonic, era presente un organo appartenente all’adiacente Basilica di Piazza Euclide e potendone sfruttare l’impianto decisi di sfruttarne tutta la gamma armonica. Ma per il resto tutto è stato realizzato con batteria, chitarra e moog.

Dopo il successo di Profondo Rosso avete legato indissolubilmente il vostro nome al cinema di Dario Argento rappresentandolo in pieno. Era qualcosa che vi aspettavate anche rispetto alla forte collaborazione che avvenne durante la lavorazione del film?

No, assolutamente. Nel 1975 la musica che imperversava in Italia era fortemente commerciale, come i Cugini di campagna, Baglioni. Noi rispetto a questo contesto eravamo delle mosche bianche anche perché avere successo con il genere di musica che facevamo era veramente un terno a lotto. A quel tempo andavano di moda gli Alunni del sole con A Canzuncella, Bella senz’anima di Riccardo Cocciante, quindi quando siamo arrivati noi con Profondo Rosso abbiamo stravolto tutto il panorama musicale italiano. Se calcoli che abbiamo venduto 1.000.000 di copie nei primi dieci mesi comprendi la portata dell’evento. Oggi 1.000.000 di album non li vende neanche tutta la discografia italiana messa insieme, considerando che alla fine arrivammo a vendere quasi 4.000.000 di copie in tutta Italia. È stata un fenomeno unico. Anche se il vero successo mondiale l’abbiamo avuto poi con Suspiria. Suspiria è il film per eccellenza di Dario Argento nel mondo. Pensa che in Giappone uscì prima Suspiria e successivamente Profondo Rosso e lo chiamarono Suspiria parte II e ancora è conosciuto così. Suspiria è veramente il film che ha fatto diventare i Goblin quello che sono oggi, perché mentre in Profondo Rosso ci rifacevamo a un certo prog rock dell’epoca, Suspiria fu veramente innovativo. Eravamo veramente all’avanguardia. Abbiamo creato un genere che poi è stato successivamente imitato da tutti.

Infatti proprio sotto questo punto di vista notavo come le vostre composizioni abbiano anticipato di gran lunga la strutturazione del cinema d’autore horror come l’opera di Wendy Carlos per Shining così come le stesse composizioni di John Carpenter per la sua filmografia.

Assolutamente. Qualche giorno fa ho avuto una grandissima soddisfazione in merito a quanto dici. C’è un giornale inglese che realizza delle conversazioni tra compositori in merito a determinate tematiche che hanno scritto la storia della musica nel cinema e contattando John Carpenter gli hanno chiesto: “qual è il compositore con cui vorresti confrontarti?” e lui ha detto Claudio Simonetti. Io già conoscevo Carpenter, ci eravamo presentati a Los Angeles undici anni fa, e durante la call che abbiamo fatto in questi giorni, che verrà pubblicata a settembre, ci siamo confrontati veramente come fossimo due amici di lunga data. Lui mi ha raccontato come ha cominciato la sua carriera e mi ha confidato che ha sempre cercato di copiarmi.

Infatti il tema di Halloween, ad esempio, ricorda molto ciò che componevi con i Goblin.

Infatti, e questo lui lo ha ammesso chiaramente, e posso dire che anche io in altri film ho cercato di emularlo perché ha composto veramente delle cose bellissime e lo reputo un grande sotto ogni aspetto. Pensa che lui nasce prima come musicista e successivamente come regista e un altro aspetto che ci lega strettamente è che siamo entrambi figli d’arte. Erano cose di cui non ero affatto a conoscenza. È stato molto bello e soprattutto per me è stato un grande onore confrontarmi con uno dei più grandi registi del cinema horror.

Credo che con i Globin siate riusciti in quegli anni anche a sdoganare il mito per cui le colonne
sonore dovessero essere unicamente orchestrali.

Pensa che noi siamo stati il primo gruppo rock a realizzare una colonna sonora originale per un film. Anche se in precedenza c’erano stati dei casi analoghi, le band coinvolte avevano solo dovuto eseguire dei brani già composti senza poter mettere effettivamente mano alla composizione della musica originale. Forse gli unici che ci hanno preceduto furono i Pink Floyd che composero la musica originale di Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni nel 1970, ma fino ad allora nessun musicista che non fosse allo stesso tempo un compositore si era mai avvicinato al mondo della musica per immagini, soprattutto per un film horror. Quasi tutti i film di genere avevano la stessa musica che si basava sull’immaginario tensivo ideato da Bernard Herrmann, fortemente orchestrale, mentre proprio grazie a Dario Argento, che voleva sposare un sound letteralmente differente dal passato, ci diede la possibilità così come ai tutti gli artisti che sono venuti dopo di noi di poter fare qualcosa di differente. È un genere che tutt’ora in tutto il mondo è ancora molto seguito. Dario Argento è senza dubbio uno dei registi italiani più famosi nel mondo.

Nel libro Superonda (Storia segreta della musica italiana) di Valerio Mattioli, lui stesso dice che
quello che riusciste e fare con Dario Argento emulò senza dubbio il connubio artistico tra Ennio Morricone e Sergio Leone sia nel mondo della musica per il cinema ma soprattutto per la filmografia italiana. Sei d’accordo con questo paragone?

Sì, assolutamente. Nonostante i primi tre film di Dario Argento furono firmati dallo stesso Ennio
Morricone successivamente si è creato questo connubio con i Goblin per poi proseguire solo con me. Ho realizzato ben quattordici film con Dario Argento, di cui tre da produttore e undici da regista. Solo tre di questi li realizzai ancora in formazione con i Goblin. Quindi questo connubio Simonetti (Goblin) e Dario Argento si può paragonare senza dubbio all’unione artistica tra Ennio Morricone e Sergio Leone, o per azzardare anche a John Williams e Steven Spielberg.

Anche in un’intervista di Nicholas Winding Refn che, a proposito ha ammesso anche lui di averti ì preso ad esempio per la musica dei suoi film, in merito a Tenebrae lo stesso regista danese definisce la tua musica come il primo esempio di album horror della storia del cinema. Ti definisci un precursore in questo senso?

Io nasco come produttore discografico quindi quando mi approcciavo alla composizione di una colonna sonora ho sempre ragionato nel creare una musica che esistesse anche a sé stante dal film, che fosse un album a tutti gli effetti. Se ascolti il tema di Profondo Rosso, così come di Suspiria, Tenebrae, Opera, Demoni, ognuno di essi ha un tema ben preciso che esiste a prescindere dal film per cui è stato composto. Ho ragionato sempre così, non ho mai pensato alla colonna sonora come qualcosa che fosse fine a sé stessa. È qualcosa che deve rimanere nell’immaginario comune delle persone che unicamente ascoltando determinate note possano ricordare quel determinato film.

Com’era lavorare in quel momento storico, considerando che stava finendo l’epoca dei grandi compositori di musica da film e ci si approcciava a un nuovo modo di intendere la musica per
immagini con la nascita delle library? Era più anarchico rispetto ad oggi soprattutto nel campo
della sperimentazione?

Credo che nel cinema italiano si sia veramente sperimentato molto in quegli anni. Perché se ad esempio osservi i film americani, soprattutto i più recenti, ci sono dei film horror in cui la musica non rimane fortemente impressa. È il sistema hollywoodiano di fare musica che accompagna unicamente il film e così raramente ricordi un tema, oppure un leitmotiv. C’è sicuramente della bellissima musica ma è raro trovare qualcosa che rimanga veramente impressa. Invece coloro che compresero l’importanza della musica per immagini si formarono proprio in quegli anni, come John Carpenter, William Friedkin che ne l’Esorcista utilizzò il brano Tubular Bells del compositore britannico Mike Oldfield che già prima del film era stato un successo internazionale e proprio per questo motivo creò ancora più terrore verso gli spettatori. Oggi per i film horror basta inserire una musica che (mimando con la bocca) ti spaventi nell’immediato ma che in fin dei conti non ti lascia nulla. Non ci sono più i temi che ti legano così tanto ad un film e non parlo solo del genere horror ma soprattutto di tutta quella decade che tra gli anni 70 e 80 ha segnato l’epoca d’oro della musica per il cinema da John Williams, James Horner, Ennio Morricone, Stelvio Cipriani che scrisse il bellissimo tema per Anonimo Veneziano. Noi ragionavamo sempre sulla centralità del tema che doveva essere bello, funzionale, e che accompagnasse il film non solo a livello narrativo ma soprattutto uditivo e sensoriale. Difatti la musica di Profondo Rosso così come di Suspiria è conosciuta da molti ragazzi più dei film stessi. È diventata iconica aldilà del film.

Penso che quello che siete riusciti a creare sia stato proprio questo. Conoscere un tema aldilà
del film stesso e riconoscerlo grazie alla riproduzione di una singola nota.

Se ci pensi questo può diventare anche una condanna per il film stesso (ride). Ricordo ad esempio che Harrison Ford durante gli Oscar venne annunciato con la composizione di John Williams di Indiana Jones e ridendo disse che questo tema lo aveva segnato per tutta la sua carriera. Ma a parte gli scherzi questi sono stati dei temi fantastici. Pensa ad esempio a James Bond, alla peculiarità della singola composizione, di creatività, oppure di Mission Impossibile, ma chi scrive più certe cose.

Quindi pensi che c’era molta più libertà di potersi esprimere?

Non penso che ci fosse più libertà, perché forse c’era anche più un lavoro di collaborazione tra regista, produzione, che volevano che la musica fosse una parte molto importante all’interno del film. Ma oggi credo non gliene freghi più niente, basta che scrivi una musica che funziona all’interno del film e poi dopo sei abbandonato a te stesso. Quello che c’era di diverso in passato, ne parlavo proprio con John Carpenter, era la differente concezione che c’era del cinema e dell’arte in generale. Oggi con l’intelligenza artificiale, con l’introduzione delle piattaforme si ha molta meno voglia di fruire di determinate cose. Quando ad esempio usciva un film di John Carpenter o di Dario Argento tu uscivi di casa e dicevi: “cazzo” vado a vedere il nuovo film di Dario Argento. Mi ricordo che la platea urlava quando entrava Dario in sala, ma sono tutti ricordi di un’epoca che non esiste più. Oggi escono cinquanta film al giorno e nessuno è veramente interessato a cosa ci sia in sala. Lo stesso discorso si potrebbe fare anche per la musica; chi è che oggi esce fisicamente da casa e va a comprare un album?

Non credi che grazie al ritorno al cinema di determinati film come Profondo Rosso o Suspiria
possa essere anche un modo per far conoscere un mondo di grande sperimentazione che
potrebbe essere ad esempio anche per oggi?

Certo, assolutamente. Devo dire che quando certi film ritornano in sala ho sempre una grande soddisfazione, soprattutto durante i miei tour in America, Australia e Giappone dove sonorizzo dal vivo i film a cui ho lavorato. Ad esempio recentemente ho fatto un tour proprio in America riportando al cinema Zombie (Dawn of the Dead) di George Romero. E tutte le volte le sale sono piene, in pochi minuti vanno sold out e questo perché aldilà dell’età anagrafica del pubblico c’è un culto verso questi film che hanno fatto la storia. Per me è veramente una grande soddisfazione e lo noto anche con altri film di registi italiani come Demoni di Mario Bava che ho sonorizzato dal vivo sempre in America e che porterò prossimamente anche in Giappone. C’è un seguito enorme. Ma devo anche ammettere che questo culto esiste molto al di fuori dell’Italia. Da noi non esiste questa grande cultura per certi film di genere. Sinceramente non ti saprei spiegare il perché ma credo che differentemente dall’Italia in America ci sia effettivamente spazio per tutti. Così come avviene nel cinema lo stesso discorso avviene anche nella musica, ognuno ha il suo spazio, mentre in Italia un giorno va di moda una cosa, un giorno un’altra, mentre tutto ciò che è stato fatto in passato non viene tramandato attraverso una cultura ed una conoscenza specifica e questo mi dispiace molto perché il mio paese dovrebbe riconoscerci in primis per quello che abbiamo fatto nel mondo della musica per il cinema, l’importanza che abbiamo rappresentato.

Rispetto a quanto dici mi ha sorpreso che solo recentemente sia stato riconosciuta a Giorgio
Moroder il David di Donatello alla carriera, che sembra non considerare le grandissime
onorificenze attribuitegli negli anni per il suo grande apporto non solo al mondo della musica,
ma soprattutto alle grandissime canzoni e colonne sonore composte per il cinema.

Bravo, hai fatto l’esempio perfetto. Moroder è stato senza dubbio un genio. Stiamo parlando veramente di musicisti di un’altra categoria. La cosa che mi da più fastidio è che in Italia ti viene riconosciuto il merito solo in due semplici occasioni; se vinci un premio internazionale, come ad esempio un oscar, e diventi un eroe nazionale, oppure se muori (ride). Io preferisco non essere ricordato il più a lungo possibile (ride). A parte gli scherzi proprio recentemente ho avuto una bellissima soddisfazione. Il Sitges Film Festival di Barcellona, il più grande festival di genere che esista al mondo, mi ha conferito il premio alla carriera, che per noi compositori horror rappresenta quasi come vincere un Oscar. Ti giuro che quando sono salito sul palco e hanno fatto vedere tutti i film a cui ho lavorato, mi sono veramente commosso, perché non ci credevo. Qui in Italia, al contrario, non ho mai ricevuto un premio importante. Lo stesso Dario Argento vinse solamente il David alla carriera e salendo sul palco disse, anche molto incazzato, adesso ve ne siete accorti? Questa è l’Italia. Anche l’ambiente artistico è influenzato fortemente dalla politica, dalle amicizie ai nepotismi, e i David se li scambiano tra di loro. È una combriccola. Io, ad esempio, non ho alcun tipo di rapporto con il festival di Sitges, ma loro liberamente hanno scelto di conferirmi il Premio Méliès alla carriera per meriti speciali; invece in Italia se probabilmente fai parte di una certa cricca allora riesci ad ottenere qualcosa e infatti se noti vincono sempre gli stessi. Da un lato meglio così, nemo profeta in patria. E lo dico con forte dispiacere.

Secondo te c’è futuro per i giovani compositori che si approcciano al mondo della musica per il
cinema in Italia?

A malincuore devo dirti di no. Nonostante vengano rilasciati quasi cinquanta film al giorno molti di questi hanno difficoltà ad essere distribuiti, non hanno partner commerciali e conseguentemente anche le persone non ne sono così interessate. Se ad esempio vengono distribuiti su Netflix o Sky non ricevi un equo compenso. E quindi alla fine non vedo un grande futuro per la musica applicata al cinema in Italia. Secondo me non esiste più una grande possibilità così come per i musicisti anche per i registi. Molto spesso mi chiedono dei consigli su come poter iniziare a lavorare in questo mondo, ma se pensassi a com’è oggi l’industria avrei difficoltà anche io ad iniziare, perché ho vissuto un’epoca in cui era letteralmente un campo aperto, c’erano tante possibilità, le case discografiche ti accompagnavano e ti aiutavano, oggi sarebbe impensabile. Oggi vai avanti solo se fai X-Factor, Amici, questa roba qui. Ma non si può vivere così. Anche in America ci sono i talent ma c’è spazio per tutti. Si riesce a diversificare.

Credi che anche per questi motivi non ci siano più film di genere in Italia?

In realtà, e devo dirlo con il più grande rammarico, che ce ne sono tanti di film horror in Italia, ma sono molto caserecci. Sono imitazioni di quello che è stato. Non c’è più un vero talento nuovo che faccia realmente qualcosa di diverso. Non ho visto niente di così eclatante. Forse l’unico che ha portato un nuovo linguaggio nel genere è stato senza dubbio Federico Zampaglione che stimo molto.

Credo sia forse l’unico in Italia che cerca di esplorare nuove tematiche e proprio per questo motivo riesce ad arrivare in tutto il mondo. Anche se con molte difficoltà proprio perché le case di produzioni non credono molto al genere horror.

Per concludere quando Thom Yorke compose la musica originale per il remake di Suspiria di Luca
Guadagnino si consultò prima con voi oppure agì in totale autonomia?

No assolutamente, sinceramente non avrei voluto mettermi nei suoi panni. Thom Yorke e in generale i Radiohead mi piacciono molto però credo che il film sia stato veramente molto brutto, grottesco, e Dario anche lo odia. Secondo me Guadagnino se lo poteva risparmiare. Anche per quanto riguarda la musica hanno scelto di cambiare tutto, hanno stravolto il senso del film. Certo confrontarsi con la nostra composizione per Suspiria non era affatto semplice. Pensa che ho visto un video su Youtube dove un utente aveva montato la nostra musica sul trailer del remake di Guadagnino, e cambiava completamente il senso del film. Non per vantarmi però era oggettivo che quella musica non funzionava. Credo che anche lo stesso Guadagnino abbia sentito il peso di scomodare un’opera così iconica per tutti gli amanti del genere. Devo dire che l’ho anche comprata la colonna sonora di Thom Yorke e presa da sola è un disco veramente molto bello, ma come direbbe Di Pietro non ci azzecca nulla. Penso che in generale il film sia in primis troppo lungo e oltretutto ha stravolto la storia. Il finale è veramente grottesco sembra un film di Maciste degli anni 70. Infatti devo dire con molto dispiacere che è stato veramente un flop pazzesco. Oltretutto penso che oggi fare un remake sia veramente un atto eroico. Solo due remake mi sono piaciuti degli ultimi anni e sono Zombie di Zack Snyder e Non aprite quella porta. Ci vuole coraggio a riportare in scena certi film così iconici. La cosa che mi dispiace di più è che anche lo stesso Guadagnino non si sia confrontato con Dario Argento. Lui stesso mi disse di non essere stato affatto interpellato. Il film è andato in sala senza neanche l’approvazione del regista. Dario mi disse di essere stato proprio ignorato. Chi mi raccontò una cosa del genere fu anche George Romero che in occasione del videoclip di Michel Jackson Thriller, in cui la sequenza in cui gli zombie ballano è presa quasi totalmente dal suo film, non fu affatto citato dal regista John Lending e neanche inserito nei ringraziamenti come capostipite del genere. Penso sia brutto vedere che un artista internazionale utilizzi il tuo linguaggio e neanche te ne riconosca il merito. Al contrario Eli Roth che è un mio grande amico quando ha realizzato The Green Inferno, ispirandosi fortemente a Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, ci ha tenuto ad invitarci alla presentazione del suo film a Roma e nei titoli di coda ringraziava chiaramente Ruggero per averlo ispirato e per essere stato uno dei nomi più importanti per questo genere cinematografico.

Sinceramente Suspiria di Luca Guadagnino non l’avrei chiamato così, al massimo avrei inserito come sottotitolo che si ispirava all’originale di Dario Argento, anche perché non c’entra assolutamente niente con l’originale. È un film artefatto, penso che sia pericoloso fare remake in questo senso perché si va incontro a molteplici rischi. Anche Ridley Scott che è un grandissimo regista quando rifece I dieci comandamenti non riuscì nell’intento neanche di emulare l’opera di Cecil B. DeMille e lo stesso discorso si potrebbe fare anche Ben Hur. Forse si dovrebbero portare avanti nuove idee sicuramente più funzionali.