Apparentemente, è una domanda di buon senso. Ovvero: perché diavolo dovrei pagare già oggi il biglietto di un concerto che avverrà solo fra un anno e passa? Perché diavolo mi stanno costringendo già a impegnarmi economicamente e logisticamente in modo anche notevole oggi per il 2025, quando non ho la più pallida idea di come sarò messo tra un anno? Perché, accidenti? Non potrebbero aspettare?
Risposta: potrebbero. E un tempo, aspettavano. Oggi però non lo fanno più: questo perché non vogliono farlo, di aspettare, ma un po’ anche perché non possono. Perché manco è più una scelta, ormai. Ci crediate o no, siamo quasi tutti schiavi di una deriva fuori controllo. Si è creato infatti un sistema micidiale e velenoso, nell’industria dei live, che ora proveremo a raccontarvi in modo un po’ scanzonato ma al tempo stesso cinico e senza sconti. Un sistema dove tanto per cambiare il cerino rimane in mano all’ultima ruota del carro: noi, noi spettatori, noi fan. Tutte le difficoltà del “rischio di impresa” (e tutta l’ingordigia dell’ideologia della “crescita infinita”, di cui troppi sottovalutano gli effetti collaterali tossici…) si sono riversate in ultima analisi su chi ai concerti ci va: che oggi deve pagare biglietti sempre più cari, sottostare a costi aggiuntivi sempre più inventivi, ipotecare la propria vita e i propri soldi con anticipi sempre più surreali. La situazione è sotto gli occhi di tutti, la vivete ad ogni grande concerto, sempre di più. Ma nessuno vuole fare niente per fermarla, questa deriva, tra quelli che potrebbero farlo. Nessuno. Ma perché siamo arrivati a tanto?
Nasce tutto da un grande spavento. Ovvero, dalla paura ad inizio nuovo millennio che l’industria discografica e quella in generale della musica potesse crollare tutta, sotto i colpi della “musica liquida”. Un tempo la struttura economica del comparto si basava prima di tutto sulla vendita dei dischi, tutto il resto veniva dopo: i live venivano dopo (…infatti fino a due decenni fa le major addirittura finanziavano a fondo perduto i live di alcuni musicisti, per poter ottenere maggiori vendite di dischi; oggi invece si fanno dischi e repack ed edizioni speciali essenzialmente per avere la scusa di fare altri live, non certo per l’illusione di gudagnarci con gli streaming), la sincronizzazione e le edizioni venivano dopo (ovvero, cedere la propria pubblicità a film e tv, detto grossolanamente). L’importante era vendere dischi, punto. Il resto arrivava dopo.
Con Napster prima e coi grandi accordi sugli streaming poi questo caposaldo è crollato fragorosamente. Da lì in poi, solo sparuti manipoli di fissati e mattoidi spendeva ancora dieci, venti, trenta euro (o dollari) per un singolo album. Gli altri, la stragrandissima maggioranza, è già tanto se accettano di spendere sì dieci euro al mese, ma per avere tutto. Tutto, o quasi.
Dallo streaming però le grandi casi discografiche – quelle che hanno molto catalogo, e che quindi guadagnano in modo inerziale senza muovere un dito avendo milioni e milioni di dischi di cui detengono i diritti – hanno imparato a guadagnarci, e i bilanci (…così come gli sprechi, ma non divaghiamo) sono tornati a regnare. Gli altri, i musicisti più famosi, i media, i management, hanno battuto a lungo su un tasto solo: quello del fatto che la “vera” esperienza è solo e unicamente quella della musica dal vivo. Possibilmente quella dei festival, soprattutto, o dei grandi tour mondiali: dove in un colpo solo raggruppi più artisti e riesci a fare ammortamenti ed economie di scala sulle spese di produzione. Un tempo erano solo i musicisti underground o comunque “viscerali” nel modo di porsi a insistere sull’importanza della componente live; oggi, lo fanno tutti.
Ad ogni modo: la grande paura è passata. Dal 2010 in poi, sospiro di sollievo. I soldi c’erano ancora, la gente aveva ancora voglia di pagare per la musica. Solo che non lo faceva più per i dischi. Eh no. Quelli, aveva preteso di averli gratis; quindi c’era bisogno di trovare qualcos’altro su cui monetizzare molto pesantemente come mai prima e voilà, ecco i live, i concerti, la musica dal vivo.
Ha funzionato. Funziona. Il comparto della musica dal vivo ormai da un decennio e passa miete record su record, nel mondo come in Italia. Pazienza se a farne le spese sono le venue più piccole (che continuano a chiudere), gli artisti meno grossi (che fanno sempre più fatica a suonare in giro: non sono abbastanza grandi da riempire i grandi club, quelli piccoli hanno appunto chiuso in tanti). Tra il 2015 e il 2023, quindi in soli otto anni, i proventi dei 100 tour mondiali più grandi sono praticamente triplicati. Avete letto bene: triplicati. Una pioggia di soldi extra. Bilanci in continua, euforica crescita. E, quindi, accesso al credito (le banche ti prestano facilmente soldi solo quando ne hai già, mica quando ti servirebbero davvero), oltre a un ottimo cash flow. Sia per le discografiche (grazie allo streaming: dove i musicisti guadagnano pochissimo, perché sono in miliardi a spartisti una fetta di torta, mentre la stessa fetta se non oltre se la pappano quelle poche multinazionali che oggi tiranneggiano sul mercato), sia per le grandi multinazionali che controllano l’industria della musica live da un lato e il management degli artisti dall’altro (due realtà distinte ma ormai sempre più il gatto & la volpe, detta in modo collodiano).
Ma appunto: le major fanno già i soldi con gli streaming oggi, non gliene importa granché di cosa succede nell’industria del live. Non è mica come un tempo, che i live servivano a vendere più dischi, quindi un’industria dei concerti stabile, sostenibile e duratura era un imperativo; così come le major non hanno paura della concorrenza a livello di portafogli dei consumatori, visto che anche con costi dello streaming risibili i guadagni loro sono enormi. Tradotto: se altri vogliono sfruttare a sangue economicamente i consumatori, per i loro appetiti, facciano pure. Le major non muoveranno un dito. Non è un problema loro. Loro stanno già bene così.
I grandi comparti dell’industria live, carichi di boria e di bilanci in continua crescita, hanno deciso di uscire dalla fase pionieristica un po’ dilettantesca e di giocare, invece, ai giochi della grande finanza, ora che un po’ di soldi da parte li avevano. Perché hanno capito che lì, se fai le cose per bene, fai i soldi veri. Come del resto insegnano mille altri settori della nostra economia, quelli capaci di intercettare economie di scala e grande liquidità nelle mani di poche persone: i soldi veri si fanno quando inizi ad aggregare capitali, a finanziarizzare l’impresa. Lì si annida la vera svolta, il vero potere.
Cosa succede? Succede che un tempo un concerto costava a spanne tot (costo concordato col management dell’artista, più o meno in misura della fama dell’artista in questione); il promoter dell’evento pagava un tot più un ricarico, “acquistando” una data dell’artista, e metteva in vendita i biglietti per l’evento suddetto; quei biglietti dovevano essere abbastanza per ripagare questo “acquisto” e per consentire, superata una certa soglia di biglietti venduti, anche un guadagno. Un “ciclo di vita” industriale non troppo esteso temporalmente, questo. Chiaro, semplice, lineare. Logico. Quindi sì: potevi mettere in vendita i biglietti anche sei mesi prima, ma mai un anno e passa, non ce n’era bisogno, suonava ridicolo, pretestuoso, una tamarrata da compatire. Anzi: spesso manco sapevi con un anno di anticipo se l’artista x avrebbe alzato il culo da casa o meno per andare in giro a suonare. Figurati se mettevi così in anticipo in vendita i biglietti di un tour.
Ma nel frattempo cos’è successo?
Le grosse realtà dei live e i management degli artisti – il gatto e la volpe, ricordate? – hanno complottato per titillare l’ego degli artisti (gli artisti, mediamente, hanno un ego sviluppatissimo: sennò non sarebbero artisti, e non ne saremmo così sedotti). Agli artisti hanno detto: “Devi fare le cose sempre più grandi, sempre più belle, sempre più spettacolari, solo così la gente capisce che sei un artista sempre più bravo”. Gli artisti, gente semplice, a cui in fondo interessa in primis fare arte ma anche guardarsi un po’ allo specchio e farsi i complimenti, sentirsi soddisfatti e apprezzati, è piaciuta molto questa cosa. Ci tengono, a dimostrare di essere sempre i più bravi. “E ci tengono anche i miei fan”, mormorano fra sé e sé, convinti di dare così una giustificazione al tutto. Quindi: via alla crescita impetuosa di tutto ciò che, nei live, sta “attorno” alla musica: luci, fuochi, tecnici, rigger, palchi semoventi, laser pazzeschi, coriandoli, gara a chi ce l’ha più grosso (il videowall).
Più però un concerto è grosso e spettacolare, più è una macchina difficile da avviare e da muovere. Ha bisogno di tanto tempo, di incrociare le disponibilità di tanti professionisti richiestissimi, soprattutto di avere delle spese altissime iniziali. Quando vedete quei super-led giganteschi e quelle luci e quei fuochi d’artificio, sappiate che dietro ci sono di solito mesi e mesi di lavoro: lavoro che va pagato subito (e bene), così come subito vanno pagati i fornitori delle strutture (luci, americane, effetti speciali…) per avere la garanzia che certa merce sarà disponibile in tempo per la partenza del tour e poi per tutta la sua durata. Risultato? Prima ancora di fare una data, un artista e il suo team di lavoro per i live – che comprende anche management e grandi agenzie – ha già speso quello che avrebbe incassato come guadagno netto di biglietteria dopo almeno una decina di date andate bene del tour in questione. Qualche volta a “decina” potete sostituire “trentina”, e oltre: ecco, così vi fate un’idea. Immaginatevi qualcuno che arriva da voi e vi offre tre anni di stipendio anticipati, in un colpo solo, chiedendovi solo “Ti va di lavorare con me, facendo comunque sempre quello che ti piace?”.
Chi mette in anticipo questi soldi? Facile: le grandi agenzie dell’industria dei live. Quelle che nell’ultimo decennio hanno aumentato i guadagni in modo spettacolare. Sì, loro! Tutto torna! Hanno i soldi che gli spuntano dalla tasche. E ce li mettono. Ma non lo fanno per mecenatismo. Lo fanno con un fine ben preciso. Ti dicono: “Hai bisogno di una montagna di soldi subito, sull’unghia, per dare vita a questo tuoi tour bellissimissimo? Non ti preoccupare amore, ci pensiamo noi! Ti diamo un enorme anticipo su quello che guadagnerai andando in tour per due anni, stai sereno: così con questo anticipo puoi pagare tutte le spese di avviamento e massì, anche vivere un po’ tranquillo, preparando in santa pace questo tuo tour tanto bello e tanto importante… Te lo meriti, te lo meriti”. Artisti abituati a guadagnare 5000 euro da una data (ma anche 2000, eh), iniziano a vedersi proporre anticipi di cento, duecento, cinquecentomila euro. In casi un po’ più grossi, anche di milioni. Presentati lì davanti a te, sembrano tanti soldi. Tanti, tanti, tanti soldi.
…vedi tutti quegli zeri, e non capisci che molti di essi se ne vanno nelle spese di produzione di avviamento tour. Non sai che più è grande quella cifra, più alta sarà la percentuale che si metterà subito in tasca il tuo management, vada come vada. Non sai che sì, ti stanno anticipando una cifra enorme, ma alla fine della fiera ti obbligheranno a suonare così tanto – nei posti che vogliono loro, con la frequenza che vogliono loro, ai costi al pubblico che impongono più o meno direttamente loro – che tu sarai solo una pedina; e se per caso ti faranno suonare in posti dove farai pochi paganti perché il prezzo del biglietto è davvero troppo alto (in quanto il promoter locale ha dovuto sborsare una cifra enorme per organizzare un tuo live, e quindi ha dovuto alzare le cifre al pubblico), alla fine daranno la colpa a te, l’artista bollito sarai tu, la colpa sarà tua, non di chi ha gonfiato a dismisura i costi “attorno” al concerto di un artista fino a rendere scontento chi organizza il concerto (che ci perde dei soldi) e chi ai concerti ci va (che affronta prezzi dei biglietti sempre più alti, birre sempre più rancide per marginare i guadagni accessori, token sempre più assurdi e scorretti per lucrare sui proventi da bar, parcheggi, merchandise).
Bello, vero?
Il meccanismo in atto oggi è questo. In tutto il mondo. Ma anche nella sola Italia. Tutti i grandi artisti che vedete riempire stadi e palasport, ma talora anche semplici club, dalle agenzie che li rappresentano non prendono i soldi data per data ma hanno prima ricevuto un consistente, consistentissimo anticipo.
Le grandi agenzie dei live ormai sono, prima di tutto, delle banche. Delle entità finanziarie. E più tu cliente delle banche sogni in grande, più loro sono contente: perché possono gonfiare tutte le voci di spesa collegate alla realizzazione dei tuoi sogni. Per quanto ricche, però, anche queste agenzia hanno bisogno di una iniezione di liquidità continua. La nostra. I soldi che utilizziamo per comprare i biglietti. Soldi che vanno chiesti sempre più in anticipo, perché sempre più in anticipo ai grandi artisti viene offerta una somma fuori scala per avviare un tour (con tanto di aste: gli artisti migliori le agenzie se li contendono offrendo sempre più soldi, qualche volta ne offrono così tanto che sanno che ci perderanno, ma nella finanza conta spesso più il “prestigio”, il profilo, il sentiment che emani, degli effetti ricavi e perdite).
Il risultato? A noialtri pubblico, chiedono soldi con un anno, un anno e mezzo di anticipo. A noialtri pubblico, tocca pagare dieci, venti euro per un parcheggio, otto euro una birra orribile, dodici euro un panino rinsecchito confezionato otto mesi fa Moldavia. Ma spesso questo succede perché coi soli soldi dei biglietti il promoter finale, quello che organizza il concerto e quindi sceglie parcheggi, panini e token, va in perdita, quindi deve inventarsi mille spese accessorie a grande marginalità con cui arrivare a guadagnare da una data. Il management tutto questo lo sa, ma non lo dice all’artista; se l’artista viene a saperlo tramite i suoi fan, prova a fare un cazziatone al management ma dopo cinque minuti torna a pensare solo alla sua musica, e alla sua vita.
Da quanto tempo non sentite dire a un artista “I miei concerti non devono costare più di trenta euro”? Da quanto tempo non sentite dire ad un artista “I token sono un furto, non suonerò in luoghi dove questo sistema è adottato in modo palese per spennare oltre modo le persone”? Da quanto tempo non sentite dire a un artista “È ridicolo che i biglietti per un mio concerto si debbano comprare a scatola chiusa a un anno e mezzo dal loro svolgersi”? Questo sistema o lo fermano gli artisti, o non lo ferma nessun altro: perché ci stanno, per ora, guadagnando in troppi. È la finanza, baby: qual è il problema se trentamila persone perdono il lavoro, se dopo questo piano di licenziamenti la mia società guadagna trecento milioni in borsa? I lavoratori, si arrangino. Comanda davvero solo chi ha i soldi. Tanti.
La musica live sta diventando soprattutto questo.