Perché si parla del latte d’avena

La Oat milk Élite è la nuova tendenza dei giovani benestanti della Gen Z per mostrare il proprio status di benessere economico. Consumo, dunque sono; direbbe Zygmunt Bauman. In passato l’identità delle persone era definita principalmente dal lavoro che svolgevano. Oggi l’identità è definita non più da cosa facciamo ma da cosa consumiamo: gli oggetti acquistati, i brand scelti e gli stili di vita esibiti diventano il modo in cui si presenta sé stessi al mondo. Noi siamo le nostre abitudini, o meglio il nostro habitus come lo definirebbe il sociologo francese Pierre Bourdieu. L’habitus è il filtro attraverso cui le persone interpretano e interagiscono con il mondo sociale. Bourdieu colloca l’habitus all’interno di un sistema più ampio, che comprende il campo ovvero uno spazio sociale con regole e dinamiche proprie e il capitale ovvero le risorse che gli individui accumulano e utilizzano per avere successo in un dato campo. Quindi non siamo solo ciò che consumiamo, ma cosa consumiamo in un determinato spazio sociale e culturale. Ma cosa c’entra il cappuccino d’avena? 

Nel 2020, il giornalista olandese Jonas Kooyman ha coniato il concetto di  ‘De havermelkelite’, ovvero Oat Milk Élite. Tramite l’account Instagram @havermelkelite ha iniziato a condividere le sue riflessioni e meme sulle tendenze culturali locali. Ispirato dal concetto di ‘classe aspirazionale’ di Elizabeth Currid-Halkett (ovvero un gruppo demografico che utilizza abitudini di consumo non tradizionali per definire la propria identità), Kooyman si è messo alla ricerca di un’etichetta che potesse definire le tendenze i giovani professionisti di Amsterdam. Qui è venuto in soccorso a Kooyman il latte d’avena, come racconta al The New Yorker: «Forse il settanta o l’ottanta per cento delle persone che mi precedevano nella fila, – nella sua caffetteria di fiducia in un’area in via di sviluppo di Amsterdam – ordinavano il latte d’avena invece del latte normale. La scelta, era un modo per proiettare una certa immagine al mondo esterno». Oat Milk Élite descrive un’estetica culturale e sociale associata ai giovani adulti tra i 20 e i 30 anni, residenti nelle grandi città, progressisti e attenti alla sostenibilità ambientale.

Non c’è solo il cappuccino d’avena quindi, gli appartenenti a questa élite vengono identificati attraverso una serie di simboli di consumo specifici: i vini naturali, lo yoga, brand di nicchia e oggetti di design di semi-lusso. Attraverso De havermelkelite, Kooyman crea meme che rappresentano una sorta di evoluzione degli “starter pack” o “starter kit”, nati ormai nel lontano 2014 tra Twitter e Reddit come rappresentazione visiva ironica e stereotipata di una persona, un gruppo sociale o uno stile di vita. Kooyman dietro a questa etichetta nasconde una critica più profonda al fenomeno della gentrificazione e l’omogeneizzazione culturale che sta spogliando i quartieri di Amsterdam (e di molte altre città) della loro identità autentica, come approfondisce nel libro omonimo De havermelkelite.  Il paradosso della Oat Milk Élite risiede nel fatto che l’adozione di stili di vita eco-consapevoli e progressisti viene associata a un’estetica di consumo che spesso contrasta con l’autentica accessibilità economica. L’influenza di De havermelkelite si è estesa, trovando eco in altre città. Socks House Meeting, è la versione londinese del fenomeno che utilizza meme satirici per esplorare la connessione tra consumo, identità e classe sociale. Simili a quelli di Kooyman, i meme di Socks House Meeting mettono in evidenza la tensione tra l’aspirazione a uno stile di vita perfetto e la realtà economica di molti giovani cittadini.

La critica si estende alla cultura dei social media, dove i beni di consumo diventano simboli di status e ricchezza. Un tempo i simboli di status economico a cui si ambiva lavorando erano la casa, la macchina, un orologio costoso magari, e la qualità di vita che si poteva garantire alla propria famiglia. Oggi in un momento storico in cui i giovani si vedono prospettare un futuro di insicurezza economica e crisi abitativa, e visto il poco potere di acquisto che hanno pur lavorando, una candela profumata costosa o un brunch instagrammabile nel posto di tendenza di turno, sono diventati strumenti di espressione visiva della propria posizione sociale. L’Oat Milk Élite rappresenta solo una delle molte nicchie culturali e subculture estetiche del panorama contemporaneo, spesso in opposizione tra loro. In controtendenza con l’ossessione al consumismo troviamo il Deconsumption Core. Un movimento che promuove la riduzione dei consumi e l’adozione di uno stile di vita minimalista. A differenza dell’Oat Milk Élite, qui si punta a staccarsi dalla logica del consumo come status symbol. Simile è il Normal Consumption Core che celebra la normalità quotidiana e la semplicità, resistendo all’ossessione per il design o per i prodotti esclusivi. Trend in cui i creator mostrano le scarpe consumate da anni di camminate, skincare routine minimal, trucchi consumati fino all’osso, cucine datate ed elettrodomestici vecchi ma funzionanti. Queste nicchie vanno a braccetto con il Cottage Core, che si collega alla crescente tendenza dei giovani ad abbandonare le città per la campagna per avere uno stile di vita più autentico, semplice e meno dispendioso. Il Clutter Core è invece una risposta ironica al minimalismo. Gli amanti del Clutter Core abbracciano il disordine e il comfort personale, senza preoccupazioni per l’estetica. Una casa arredata secondo l’estetica Clutter Core ricorda le case delle nonne, affollate di ninnoli e gingilli inutili ma piene di ricordi.

Queste tendenze estetiche possono essere collocate in una mappa socioculturale che riflette la tensione contemporanee tra consumo e identità: se da un lato i giovani cercano di distinguersi attraverso scelte di consumo sostenibile, dall’altro ripiegano in piccoli treat perché lo stile di vita a cui ambirebbero non se lo possono permettere. Questa tensione è particolarmente evidente in un contesto in cui la stabilità economica e abitativa è sempre più difficile da raggiungere. La cultura dell’Oat Milk Élite e delle sue estetiche associate solleva questioni sulle dinamiche di classe e sulle conseguenze psicologiche di un mondo dominato dal consumo come forma di narrazione personale e strumento per mostrare il proprio posizionamento sociale e politico. C’è il rischio di alimentare un classismo soft, in cui coloro che non possono permettersi di partecipare a questo stile di vita vengono esclusi dagli spazi culturali e sociali. Inoltre l’ansia performativa si manifesta nella pressione costante a presentarsi in un determinato modo, sia online che offline, per mantenere una certa immagine di successo. Queste nicchie rappresentano uno specchio del nostro bisogno di appartenenza e identità in un mondo sempre più frammentato e caratterizzato da incertezze economiche e sociali. Questi fenomeni ci invitano a riflettere su come il consumo — anche quello che si presenta come etico e sostenibile — possa diventare un terreno di scontro culturale e un riflesso delle disuguaglianze strutturali.  Se i nuovi ricchi della Gen Z sono quelli che possono permettersi il cappuccino all’avena «i poveri di oggi – citando Bauman – sono prima di tutto e soprattutto dei “non consumatori”, più che dei “disoccupati”. Essi vengono definiti innanzi tutto dal fatto di essere consumatori difettosi: infatti, il più basilare dei doveri sociali cui vengono meno è il dovere di essere acquirenti attivi ed efficaci dei beni e servizi offerti dal mercato».