Nella giornata di ieri, 14 febbraio, Louis Vuitton e LVMH hanno reso ufficiale la decisione di affidare la direzione creativa della sezione uomo a Pharrell Williams: una scelta che ha prodotto nel pubblico due schieramenti. Se da una parte c’è chi lo ritiene il successore perfetto di Virgil Abloh, dell’altra c’è chi sembra ormai stufo dei cosiddetti “celebrity designer”. Le voci di un probabile approdo di Wales Bonner, Marine Serre o Colm Dillane sono state messe a tacere da un annuncio che per molti ha reso la giornata di San Valentino un incubo, ma c’è anche chi ritiene la mossa del colosso del fashion più che comprensibile.
Ma procediamo per step cercando di far chiarezza su una scelta che a molti sembra scellerata e poco meritocratica. In primis, l’arrivo di Pharrell da LV acuisce ancora di più le differenze tra il modus operandi dei due maggiori gruppi del lusso, Kering e LVMH: i primi con il recente annuncio di Sabato De Sarno da Gucci per l’era post Michele, di Demna Gvasalia da Balenciaga in quel lontano 7 ottobre del 2015 e di Alessandro Michele stesso (che prima di iniziare la sua scalata al successo era un esperto designer solamente per i cosiddetti “addetti ai lavori” e non di certo per il pubblico generalista) continuano a dimostrare come nella loro pianificazione strategica, la pazienza sia una componente di vitale importanza. Non importa assumere un direttore creativo “già affermato” nel fashion system, da Kering c’è la tendenza a pescare talenti in base a scelte oculate, facendoli crescere di pari passo con il brand. Le scelte da LVMH, sono anch’esse oculate, ma di certo molto più chiassose. Bernard Arnault, o chi per lui opera, non ha tempo da investire per coccolare e formare profili che non sono mai stati sotto le luci della ribalta. E allora eccoci qui, con Pharrell pronto a ricomparire nei piani altissimi della moda, ambito in cui, grazie a Humanrace, Billionaire Boys Club, G-Star RAW, Tiffany & Co., Moncler, l’amicizia con Nigo e altro ancora è riuscito a non essere considerato “solo” come un produttore musicale (nel 2003 il 43% della musica che passava nelle radio americane era nata dalla sua mente).
Pharrell è sotto molti punti di vista quanto di più simile a Virgil Abloh, una figura in grado di inserirsi in una realtà contaminata da diverse influenze, e soprattutto, grazie al suo eclettismo e la sua credibilità affermata in un ambito o nell’altro, in grado di VENDERE. Pharrell è il marketing più mero e funzionale su cui il brand potesse scomettere, è una scelta per fare chiasso e resettare tutto e iniziare di nuovo un altro percorso, daccapo, senza però rinnegare quanto fatto da Virgil. E tutto questo era prevedibile, perché Louis Vuitton è un brand che dell’hype non ha mai voluto fare a meno.
Pharrell is a massive talent, in music. Pharrell being in charge of LV will be a rotation of collaborators imo ala Dior Mens. It’s not exciting, it’s not interesting, it’s marketing, it makes noise, it gets us talking. That’s the purpose of LV collections, so I guess it works.
— Joseph Keefer (@josephkeefer) February 14, 2023
Che non ce ne vogliano gli studiosi degli istituti di moda italiani che ogni giorno apprendono fondamentali tecniche di disegno, confezionamento e modellistica: Pharrell come creative director di Louis Vuitton è una scelta comprensibile, e non è vero che non c’è più spazio per i giovani designer (o meglio, disegnatori), sia perché non tutti i direttori creativi disegnano (o meglio, sono sempre in meno a farlo) e si limitano a condividere la loro visione e programmazione di un progetto, sia perché proprio per l’assenza di una formazione tecnica, Pharrell Williams sarà assecondato da un team di creativi certamente non ridotto, ma soprattutto, forte della sua esperienza con Genius, potrà sapere come valorizzare giovani creativi.