Pubblicità nello spazio: i satelliti saranno i nuovi cartelloni pubblicitari?

Times Square è senza ombra di dubbio il tempio della pubblicità, il luogo dove la promozione di prodotti e servizi raggiunge il suo apice, l’iperbole massima del tentativo di insinuarsi nella testa delle persone attraverso slogan e immagini persuasive. Con i suoi 330.000 visitatori giornalieri, la più nota piazza di New York City si è radicata nell’immaginario collettivo proprio grazie all’esagerazione dei costosi manifesti e pannelli luminosi che vi si affacciano, saturando così il panorama della città di loghi, loghi e ancora loghi. Non c’è altro posto al mondo che meglio rappresenti il grado di invadenza che l’industria pubblicitaria ha raggiunto nel corso degli anni, e ciò è avvenuto attraverso un processo che l’ha vista diffondersi gradualmente su ogni superficie adatta a essere venduta a caro prezzo. E ovviamente non si parla solo di luoghi fisici, poiché navigando sulla stragrande maggioranza dei siti web, tra banner, pop-up e inserzioni in ogni angolo disponibile, sembra di entrare in una piccola Times Square bidimensionale a misura di schermo. Dire che siamo costantemente bombardati di adv è diventata ormai una banalità e, nonostante siamo portati a pensare che più in là di così non ci si possa spingere, in realtà c’è ancora uno spazio che la pubblicità brama di riuscire a conquistare: uno spazio che si chiama proprio spazio.

Se un tempo le uniche pubblicità che solcavano i cieli erano quelle stampate su stendardi fatti volare da piccoli aeroplani sulle coste attrezzate da stabilimenti balneari, ciò che si prospetta fattibile oggi non vi è minimamente paragonabile. La sorpresa di vedere passare un aereo da sotto l’ombrellone, infatti, si potrebbe ben presto tramutare nello sbigottimento provocato dal notare un gigantesco logo luminoso orbitare attorno al nostro pianeta. Space advertising – così si chiama la più futuristica frontiera della pubblicità – sembra non porsi limiti nella conquista di ogni possibile occasione di promuovere l’immagine dei brand e, per farlo, punta ambiziosamente alla conquista dello spazio. Secondo la logica pubblicitaria, dunque, sulle nostre teste esiste un’enorme e sterminata tela che può mostrare messaggi promozionali e sottoporli a un’audience estremamente ampia. Certo che, tra abbassare lo sguardo sullo smartphone o alzare il naso al cielo, poco cambia quando si tratta dell’onnipresenza che caratterizza le pubblicità al giorno d’oggi, anche se non si può dire lo stesso dal punto di vista ecologico.

Abbiamo affermato che la space advertising potrebbe rappresentare il prossimo step evolutivo del settore pubblicitario, ma la sua storia non è così recente come si possa immaginare. Dobbiamo tornare indietro di qualche decina di anni per incontrate i primi casi di “sponsorizzazione extraterrestre”. Nel 1966, per esempio, il marchio di bevande Tang Drinks si affiancò alla NASA per la realizzazione di alcune campagne pubblicitarie a sfondo spaziale. Vennero così realizzati una serie di manifesti e un breve spot che ritraeva un astronauta sorseggiare il drink gassoso del brand americano. Da quel momento molti grandi brand come Kodak, CocaCola e Pepsi, solo per citarne alcuni, iniziarono a sfruttare intensamente lo spazio come nuovo elemento allo stesso tempo spettacolare e futuristico, evidenziando quella tendenza alla costruzione di un immaginario spaziale, che a posteriori possiamo considerare del tutto coerente con l’epoca che si stava vivendo, quella delle prime esplorazioni al di fuori dell’atmosfera terrestre.

Tornando alla contemporaneità, invece, ciò che possiamo osservare non è altro che l’inizio del processo che mira a sfruttare lo spazio come medium pubblicitario e non come attore protagonista di foto e video in stile anni ’60. Complici l’esponenziale progresso tecnologico e realtà come quella di Elon Musk, che dimostrano come lo spazio possa essere praticabile anche da attività non guidate esclusivamente dai governi, la possibilità di realizzare messaggi pubblicitari direttamente al di fuori del pianeta Terra sta diventando sempre più concreta. Già nel 2019 la startup russa Startrocket ha mosso i primi passi in questo campo lanciando il progetto Orbital Display. L’intento di Vlad Sitnikov, il fondatore dell’agenzia, riguardava la possibilità di collocare dei satelliti in orbita attorno al nostro pianeta capaci di generare loghi di brand e brevi messaggi visibili da terra. Lo stesso anno cominciarono i primi test di questo sorprendente, e allo stesso tempo un po’ spaventoso, progetto spaziale e Pepsi fu la prima ed unica grande azienda ad appoggiarlo. Inutile dire che l’unico risultato ottenuto fu una valanga di polemiche che si scagliarono sia contro Startrocket, che contro Pepsi, la quale decise subito di tirarsi fuori dalla vicenda. È vero, Orbital Display fa sognare tutti e ci proietta direttamente in un futuro popolato da tecnologie decisamente avanzate, ma dal punto di vista pratico porta con sé non pochi problemi tra cui l’inquinamento luminoso e la gestione di quella che potremmo definire una grande discarica di satelliti formatasi nel corso degli ultimi decenni attorno alla Terra.

Sebbene Startrocket abbia messo momentaneamente in pausa Orbital Display per dedicarsi alla risoluzione delle problematiche appena citate dando l’avvio, per esempio, al progetto Securing Space, volto a gestire gli oltre 500.000 pezzi di oggetti che orbitano attorno alla Terra, il tema della pubblicità nello spazio è riemerso di recente in seguito alla pubblicazione su Aerospace di uno studio condotto da un team di ricercatori russi. Stando al lavoro di Shamil Biktimirov e dei suoi collaboratori, l’idea di condurre campagne pubblicitarie sfruttando appositi satelliti fatti orbitare attorno al nostro pianeta sarebbe del tutto fattibile in termini economici. Con tanto di calcoli fisici e previsioni di costi, i ricercatori russi illustrano ogni dettaglio di quelle che potrebbero rivelarsi le campagne pubblicitarie del futuro. Più nello specifico, prevedono l’utilizzo di 50 satelliti cubici dotati di un dispositivo riflettente capace di proiettare la luce proveniente dal sole sulla Terra. I satelliti, inoltre, si muoverebbero in maniera coordinata seguendo un’orbita in sincronia con la rotazione della Terra, riuscendo così a creare una griglia luminosa paragonabile a uno sciame di enormi pixel sempre colpito dalla luce del sole.

Lo studio, successivamente, vira sull’analisi economica del progetto e dimostra che, nonostante possa sembrare assurdo, delle campagne pubblicitarie spaziali non costerebbero tanto di più di quelle già trasmesse sui media tradizionali. Gli studiosi stimano che il costo di una singola “missione” ammonterebbe a 65 milioni di dollari, una cifra che, considerando i 7 milioni di dollari per 30 secondi di video mandato in onda durante il Super Bowl, non è una cifra così astronomica quando si pensa che intere città potrebbero vedere passare in cielo un logo o un claim. Come si può immaginare, però, non è tutto oro ciò che luccica: dimostrare la fattibilità di questo progetto, non implica necessariamente che sia buona idea attuarlo. Una delle prime voci a mettere in discussione tutto ciò è quella dell’astrofisico Jonathan McDowell, che evidenzia con chiarezza il problema ecologico che questi satelliti rappresentano. Secondo McDowell, infatti, viste le attuali criticità dell’inquinamento luminoso a cui sono soggette le grandi città, proiettare ulteriore luce dal cielo aggraverebbe solamente la situazione, non solo sui territori target della pubblicità, ma anche su quelli limitrofi.

Per concludere, provate anche a pensare al risvolto che una pratica come la space advertising potrebbe avere nei confronti della società. Le pubblicità ci raggiungono in ogni dove in maniera insistente, ma siamo ancora in grado di operare una scelta entro certi limiti: possiamo spegnere la tv o cambiare canale e possiamo saltare quell’annuncio che compare nel bel mezzo di un video su YouTube. Ma con una pubblicità sopra le nostre teste, ci sarà la possibilità di scegliere se fruirne o meno? Possiamo comunque dire che quella che sembrerebbe essere a tutti gli effetti una prospettiva degna di un romanzo dispotico, per ora rimarrà solamente una possibilità e, di conseguenza, un’incognita che sarà destinata a chiarirsi negli anni a venire. Nel frattempo, non possiamo fare altro che ragionare sul tema, alimentando quel dibattito che si è venuto a creare. Una sola considerazione, per ora, sorge spontanea: il fatto di riuscire a conquistare lo spazio con le pubblicità prima di essere noi umani i primi capaci a muoversi al suo interno, la dice lunga sulle priorità della nostra società e chissà se dovremmo prima o poi abituarci ad ammirare le costellazioni insieme al logo CocaCola.