Il tecnicismo dei prodotti firmati NEMEN, marchio italiano che combina senza compromessi qualità e innovazione, ha incontrato il DNA sportivo di PUMA. Il risultato è una capsule collection in collaborazione che attinge dall’heritage di entrambi i brand e dona vita a una serie di prodotti unici, in termini di silhouette, estetica e materiali.
L’ambiente da cui il duo ha deciso di trarre ispirazione per la realizzazione di questa partnership è il mondo del motorsport e, più in particolare, quello della Formula 1. Per questo motivo all’interno della capsule PUMA x NEMEN ci sono capi d’abbigliamento ispirati in tutto e per tutto alle divise da corsa, dal posizionamento delle stampe in co-branding, passando per l’utilizzo di tecnologie PUMA, giungendo alla ricercatezza tessile che contraddistingue il lavoro di NEMEN. Prodotti tecnici sono poi affiancati da una selezione di prodotti basic come felpe, t-shirt e crewnecks.
In attesa dell’uscita di questa partnership, fissata per sabato 6 marzo sullo store online e nei punti vendita PUMA, abbiamo avuto l’occasione di parlare con Leonardo Fasolo, fondatore e designer di NEMEN, che ci ha raccontato alcune curiosità dietro lo sviluppo della collezione.
Come e quando nasce NEMEN?
NEMEN nasce nel 2012 come un piccolo progetto dedicato agli appassionati che frequentavano il mondo dei forum riguardanti prodotti tecnici e di design. Con un amico decidemmo di realizzare quattro giacche che potessero racchiudere al loro interno l’esperienza che avevo appreso dai miei precedenti ruoli in altri marchi del settore, e che ho poi tradotto e traslato nell’attuale identità di NEMEN. Siamo partiti piazzando i primi pre-order proprio tra i frequentatori dei forum stessi da cui tutto ha avuto inizio – all’epoca l’e-commerce non era ovviamente diffuso come lo è al giorno d’oggi – da lì abbiamo cominciato a interfacciarci con alcuni rivenditori, giungendo poi al percorso di distribuzione attuale.
I capi di NEMEN sono sinonimo di ricercatezza e cura per il dettaglio, obiettivi che vengono raggiunti dopo numerose fasi di testing, sia sul piano dei materiali sia su quello delle silhouette. In che modo lavorare in Italia vi aiuta a mantenere questi elevati standard qualitativi?
Essere situati in Italia ci dà libertà durante il processo di sperimentazione – dal quale ogni stagione prende vita una nuova meccanica di lavorazione del tessuto – e ci permette inoltre di inventare l’industrializzazione di prodotti o tecniche. I benefici di questa scelta vanno ben oltre la semplice ricerca estetica. Controllare tutti i passaggi della creazione del prodotto è fondamentale per noi. Con NEMEN tendiamo poi ad approfondire ulteriormente questa fase, andando a studiare anche la parte di tessitura, procedendo a ritroso fino al filato. Al di fuori dell’Italia, e forse del Giappone, non ci sono altri paesi che permettono di avere un controllo così completo sulla produzione, partendo dalla creazione del tessuto e giungendo alla realizzazione del prodotto finale, in maniera così precisa e diretta.
Il tuo ruolo, Leonardo, è quello di Creative Director di NEMEN. Ciò che fai, però, se si pensa alle numerose lavorazioni e processi di tintura che vengono applicati a tutti i prodotti, è molto simile a quello che fa un chimico. Come ha avuto origine questa tua attenzione per il tessuto?
Quando mi sono messo in proprio ho capito che la condizione fondamentale per fare prodotti qualitativamente complessi era quella di conoscere il filato e tutte le sue sfaccettature. Il modo in cui mi piace affrontare il design include assolutamente un lato più affine alla chimica, quando parliamo di processo tintoriale non a caso facciamo riferimento a termini come il pH o la temperatura. Questo modo di lavorare è un imprinting che ho sin dal principio e che, grazie alle mie precedenti esperienze nel settore, ho potuto esprimere meglio con NEMEN. Ne è un esempio l’importanza che diamo all’aleatorietà dell’errore a cui si va imprevedibilmente incontro durante le prove di tintura del capo, e dalla quale riusciamo sempre a trarre beneficio.
Quando si parla di NEMEN, al cui fulcro ci sono tecnologia e innovazione, è ancora corretto parlare di moda in senso lato? O è più opportuno fare riferimento a un processo di design e progettazione più affine a quello che potrebbe essere impiegato nel mondo dell’ingegneria?
Come già accennato il design, per come lo intendo io, assume un connotato differente da quello che potrebbe essergli comunemente attribuito. Che sia chimica o ingegneria, alla base di tutto risiede la necessità di conoscere le qualità intrinseche di quelli che sono i componenti che andranno a comporre il prodotto finito. Così come l’architetto deve essere in grado di distinguere la portata di una struttura in cemento da una in calcestruzzo, ritengo che anche un designer debba sapersi destreggiare e conoscere i vari tipi di tessuti e i loro comportamenti. Sono cosciente che nella moda questo sia un aspetto a cui non sempre viene data rilevanza, ma lo considero un plus necessario per raggiungere una qualità oggettiva in quello che si fa.
I motori e le automobili sono l’ispirazione al centro della vostra ultima collaborazione con PUMA. Come è nata questa partnership? Come mai avete scelto proprio questo melting pot?
Sono stato io a voler proporre il mondo dell’automobilismo, idea subito approvata da PUMA; volevo staccarmi dal sempre più saturo settore del running e del basket, per avvicinarmi al mondo del motorsport, che considero un territorio molto interessante e ancora inesplorato. Fortunatamente ci è venuto in aiuto il ruolo di leader mondiale che detiene PUMA in questo ambito, sostenendoci nello sviluppo della capsule. Siamo subito stati attratti dai codici grafici espressi nelle tute da motorsport e dalla complessa ricerca che si cela dietro lo sviluppo dei materiali che le compongono, ancora una volta troviamo molta scienza. Un forte link tra NEMEN e PUMA risiede nella consapevolezza dell’unicità dell’approccio progettuale con cui noi italiani siamo soliti lavorare, non a caso la fabbrica che si occupa della realizzazione delle tute da F1 si trova a Torino. Dall’altra parte PUMA ci ha messo a disposizione una piattaforma di sviluppo prodotto ibrida che ha dato respiro sia alla nostra etica, sia alla loro.
In che modo le tecnologie sviluppate da PUMA – come per esempio il PUMA Disc – implementate in questa capsule collection vi hanno aiutato a elevare ancora di più il livello dei vostri capi?
Abbiamo preso in prestito elementi come appunto il PUMA Disc, portando a nostra volta in gioco nuovi fornitori che ci hanno permesso di sviluppare tessuti unici al pari del ripstop, che troverete proposto soprattutto sui capi outerwear. Sono stati mixati fattori che riassunti assieme potessero avere il gusto italiano, l’estetica del motorsport, la funzionalità, la tecnica e la ricerca di NEMEN. Tornando ora al PUMA Disc, che è un’invenzione risalente agli anni ’90, l’ho voluta inserire all’interno della nostra partnership, implementandola al di fuori delle calzature, perché la ritengo una tecnologia fortemente associata al brand tedesco, nonché sinonimo di un grande periodo di cambiamento.
Nel corso degli anni avete collaborato con nomi del calibro di Kith, masterpiece, ACRONYM e appunto PUMA. Quali sono le caratteristiche che cercate in un partner prima di iniziare una collaborazione?
Cerchiamo un valore aggiunto che vada a incastrasi con quello che già facciamo, se troviamo un partner in grado di fornirci quel plus di cui siamo alla ricerca allora nasce un qualcosa di interessante. PUMA e Kith sono un esempio perfetto di quello che intendo. Qualora invece il partner fosse conosciuto per un’estetica differente dalla nostra, andiamo a valutare l’autenticità applicata nel suo modo di lavorare. Ad ogni modo l’obiettivo è quello di contaminare, in maniera genuina, due realtà più o meno affini tra loro che possano sfornare prodotti nuovi e non riconducibili a nessuna delle due. A partire dal lancio di questa collaborazione con PUMA seguiranno molte altre novità di cui posso rivelarvi ancora ben poco.