Pump Up, Air Out – La guerra dimenticata tra Reebok e Nike

Gli anni ’90 sono considerati da molti snekerhead come la “Golden Era” delle sneakers e molto del fascino che questo decennio ancora oggi esercita sugli appassionati deriva dai moltissimi modelli divenuti rapidamente iconici, che sono arrivati sul mercato nel giro di pochi anni spinti da pubblicità incredibili e testimonial che saranno per sempre associati alle loro sneakers. Da un punto di vista più tecnico, il mercato delle sneakers a cavallo tra anni ’80 e ’90 era un campo di battaglia, dove i grandi brand si trovavano a difendere lo spazio duramente conquistato nel decennio precedente da spietati competitor costantemente alla ricerca di un modo per monetizzare l’enorme celebrità raggiunta dallo sportswear.

Questa “lotta” ha fatto in modo che i diversi brand dessero fondo a tutte le loro risorse per presentare al pubblico un prodotto sempre competitivo, investendo nella ricerca e nella creazione di nuove tecnologie che hanno segnato un incredibile evoluzione sia a livello di produzione delle sneakers che di percezione da parte degli sportivi.

Per poter competere al meglio sui muri dei grandi negozi di articoli sportivi, a partire dalla metà degli anni ’80 quasi ogni marchio presenta al mondo una nuova tecnologia che possa identificarlo e distinguerlo dai competitor. È in questo periodo che, per esempio, Nike presenta Air Max, adidas Torsion e Soft Cell, Reebok ERS, New Balance utilizza Encap, Puma lancia la chisura Disc e ASICS presenta la serie GEL-Lyte.

Oggi per i collezionisti e gli amanti delle sneakers è facile abbinare ogni tecnologia al suo brand e uno degli accoppiamenti più iconici è quello tra Pump e Reebok. Proprio nella seconda metà degli anni ’80 Reebok inizia a sviluppare un nuovo sistema di “adaptive fit” per competere con Nike nel settore basket, dopo che il brand di Bolton aveva già messo a rischio il nascente dominio dello Swoosh grazie all’enorme popolarità raggiunta dal fitness all’inizio del decennio. In tutta risposta Nike provò a progettare il suo personale sistema di tomaie gonfiabili, spaventata dalle potenzialità di questa nuova tecnologia. In pochi, oggi, sembrano ricordare la dura battaglia tra Nike e Reebok che si è sviluppata nei pochi anni tra il 1989 e il 1992, combattuta a colpi di modelli costosissimi, testimonial sui campi NBA e pubblicità “scorrette” passate alla storia.

THE PUMP ERA

Come anticipato, alla fine degli anni ’80 gli equilibri tra Reebok e Nike erano molto diversi da quelli che potremmo immaginare oggi. Il marchio inglese aveva già conquistato molto terreno nei primi anni del decennio grazie al fitness, rilasciando modelli iconici come Workout e Freestyle. Nike aveva a sua volta recuperato grazie al lancio della linea Air Jordan e alla presentazione di Air Max nel 1987, ma il basket rimaneva per entrambi un settore molto importante in cui era possibile conquistare importanti fette di mercato per alimentare gli investimenti su altri fronti. La creazione di un sistema di “adaptive fit” era un obiettivo seguito da molti e sia Nike che Reebok stavano entrambi lavorando allo sviluppo di una nuova tecnologia in questo campo. Reebok affidò l’incarico a Paul Litchfield, che ideò un sistema di sacche gonfiabili inserite nella linguetta e nel collar per far sì che la scarpa potesse adattarsi al piede di ogni atleta. Da tempo nell’ambiente si vociferava della nuova creazione di Reebok, ma la tecnologia Pump fece il suo debutto ufficiale nel febbraio 1989 ad un incontro della Sporting Goods Manufacturers’ Association in cui un prototipo della The Pump, per il momento ancora senza nome, venne presentato come il nuovo modello di punta del catalogo basket di Reebok, combinando ERS, Hexalite e, appunto, una nuova tecnologia di adaptive fit basata sull’utilizzo di sacche gonfiabili.

Bisogna riconoscere a Reebok una grandissima capacità nel creare tagline memorabili e, dopo “The revolution is over”, concepita per il lancio di ERS (giocando sull’utilizzo di Revolution dei Beatles da parte di Nike per il lancio di Air Max), per il nuovo modello Pump fu creato “A new idea that’s going to fly”. La The Pump è stata lanciata sul mercato il 24 novembre 1989, con l’altissimo retail di $170 (circa $350 con l’attuale inflazione), lasciando ben pochi dubbi sull’enorme rischio che Reebok si stava prendendo presentando questo modello. Il design di Paul Litchfield è senza precedenti: la base è il classico modello super hi-cut utilizzato per la pallacanestro in quel periodo, ma a colpire tutti è l’enorme pompa inserita nella linguetta, con cui è possibile gonfiare delle sacche che fanno aderire il lining al piede dell’atleta. Sulla The Pump fu utilizzato anche un particolare “alettone” rigido sul collar, dove fu inserita la valvola di rilascio delle sacche.

Come principale testimonial per il lancio della nuova sneaker fu scelto Dominique Wilkins, star degli Atlanta Hawks che in quel periodo era generalmente considerato come uno dei principali antagonisti di Michael Jordan. Bisogna notare che Reebok in quel momento era molto presente nell’NBA con importanti contratti di sponsorizzazione, ma il brand prese la decisione di proporre la The Pump soltanto agli atleti di punta così da rendere il modello ancora più esclusivo. Fuori dai campi NBA la The Pump è spesso associata a Bo Kimble e Hank “The Bank” Gathers, star nella stupenda stagione di Loyola Marymount passata tragicamente alla storia per la prematura scomparsa di Gathers.

Nei mesi precedenti al lancio ufficiale della The Pump, il marketing aggressivo di Reebok mise Nike con le spalle al muro: tutti sapevano che lo Swoosh stava lavorando alla sua personale “scarpa gonfiabile”, ma la sensazione generale era che Reebok si stesse giocando tutto con questa nuova tecnologia, mentre l’intenzione di Nike fosse soltanto quella di non lasciare una facile vittoria al marchio inglese.

Nell’ottobre 1989, poche settimane prima dell’uscita della The Pump, Nike rilasciò ufficialmente la Air Pressure. Il modello, disegnato da Bruce Kilgore con il contributo di Tinker Hatfield, utilizza una tecnologia simile a quella sviluppata da Reebok per quanto riguarda la funzione, ma è molto diversa nell’utilizzo. Al posto di una pompa integrata come quella della The Pump, la Pressure era venduta insieme a una pompa esterna in plastica da inserire in un’enorme valvola posta sul tallone. Oltre all’ingombrante struttura sulla caviglia, ben poco della Pressure spicca a livello di design risultando un collage di soluzioni utilizzate in altri modelli contemporanei (Air Revolution, Solo Flight, Delta Force Hi), ereditandone non soltanto il taglio altissimo ma anche le linee.

Già nel 1989 molte delle star NBA sotto contratto con lo Swoosh erano titolari di una signature line o associata a linee già consolidate nel catalogo Nike Basketball come Force e Flight. Sono quindi pochissimi i giocatori NBA a indossare le Pressure in partita. Tra questi spicca Mark Jackson, che finì immortalato su una trading card del 1990 mentre indossa le sue Pressure al Madison Square Garden. La carta in questione è diventata molto celebre negli anni successivi e di certo non grazie all’Air Pressure. Alle spalle della guardia dei Knicks è possibile vedere seduti a bordo campo i fratelli Menendez, saliti alla ribalta delle cronache per aver assassinato i genitori ed averne sperperato l’eredità nei mesi precedenti la loro cattura.

L’idea di una scarpa gonfiabile alla fine degli anni ’80 restava impressionante e contribuì alla celebrità della Pressure, ma un retail proibitivo ($190, circa $390 oderni), la scarsa praticità e la quasi totale assenza di star power a supporto del lancio segnarono un rapido declino del modello soprattutto tra i fan di Nike, che spesso preferirono altre sneakers rilasciate nello stesso periodo.

Negli anni successivi Nike ha lanciato altri due modelli con tecnologia Pump: la Command Force nel 1990 e la Air Force 180 High nel 1991. Per entrambe le sneakers fu scelto come testimonial David Robinson, protagonista anche della celebre serie di pubblicità Nike “Mr. Robinson”. Il momento di maggiore celebrità per la linea, però, arrivò nel 1992 quando la Command Force finì ai piedi di Woody Harrelson nei panni di Billy Hoyle in “White men can’t Jump”, entrando a far parte della cultura popolare come le scarpe “gonfiate” da Wesley Snipes/Sidney Dane per prendere in giro Hoyle in una delle scene più celebri del film.

Dopo soli tre modelli la linea Pump di Nike fu archiviata dal brand alla fine del 1991, a pochi mesi dall’inizio dei Giochi Olimpici di Barcellona del 1992. Un segnale poco incoraggiante se si considera come le Olimpiadi abbiano sempre rappresentato per Nike il principale momento per presentare nuovi prodotti e renderli celebri associandoli a grandi imprese sportive.

Se a qualcuno fosse sfuggita la schiacciante vittoria di Reebok in questo particolare duello, il brand decise di realizzare una serie di commercial intitolati “Pump Up and Air Out!” approfittando delle particolari regole statunitensi riguardo la pubblicità comparativa. In questi video passati alla storia è possibile vedere le diverse star firmate Reebok come Dominique Wilkins e Michael Chang paragonare le sneakers dei due brand, per poi chiudere gettando via quelle marchiate con lo Swoosh.

Gli anni ’90 hanno rappresentato la definitiva consacrazione di Reebok Pump come una delle tecnologie più iconiche mai utilizzate nella storia delle sneakers. Grazie a un’importante serie d’investimenti, Reebok sviluppò nuovi sistemi per l’utilizzo della tecnologia Pump anche al di fuori dei campi da basket, utilizzandola in tutti i settori: dal running, al fitness, al cross training, fino al triathlon e, più recentemente, al crossfit. La release di modelli come l’Insta Pump Fury o il lancio della linea Blacktop fanno parte di una lunga serie di importanti traguardi raggiunti da Reebok negli anni ’90 in cui la tecnologia Pump è coinvolta. Dee Brown che gonfia le sue Omni Lite e si copre gli occhi per vincere l’NBA Slam Dunk Contest del 1991, Michael Chang che lascia il mondo del tennis a bocca aperta al Rolland Garros, la rivoluzione Shaq Attaq a Orlando e il regno di “The Answer” Allen Iverson a Philadelphia. Tutti questi momenti hanno reso Pump una leggenda nel mondo delle sneakers e hanno fatto sì che la tecnologia possa essere ancora uno degli elementi maggiormente identificativi di Reebok anche oggi, a più di trent’anni dal lancio ufficiale.

La battaglia tra Nike e Reebok è durata ufficialmente meno di tre anni e non serve sottolineare chi ne sia uscito vincitore. Lo Swoosh, maestro dello storytelling nel mondo delle sneakers, raramente racconta di questa cocente sconfitta e si è ben vista dal discuterne anche negli ultimi anni, quando Pressure e Command Force hanno fatto per la prima volta il loro ritorno sugli scaffali dopo un’assenza durata venticinque anni per la gioia di collezionisti e nostalgici, che già avevano dimostrato grande interesse per le Pump di casa Nike portando i prezzi dei modelli originali ben sopra il migliaio di euro, anche per paia in condizioni disastrose.

Questa particolare guerra a colpi di scarpe gonfiabili ha, però, segnato una pagina importante nella storia delle sneakers sia dal punto di vista culturale che da quello tecnico ed è un ottimo episodio da ricordare quando si discute di come gli anni ’90 abbiano cambiato per sempre il mondo delle calzature sportive.