Il bisogno che ci è stato inculcato di possedere sempre di più e sempre qualcosa di nuovo, deriva dalla frenetica politica delle catene di abbigliamento fast fashion di sottoporci e inondarci di continue “mini collezioni” che si alternano ogni due settimane circa sugli scaffali dei loro negozi. Il consumatore è portato a stancarsi molto prima di quello che acquista, perché inconsciamente sa che non appena tornerà in negozio potrà trovare qualcosa di nuovo e che potenzialmente sarà più intrigante di quello che ha già acquistato. Avendo speso pochi euro per i capi precedenti e avendo quasi azzerato il sottovalutato processo di selezione/valutazione pre-acquisto, la scelta che porterà all’acquisto sistematico di nuovi capi risulterà inevitabile e scontata. L’abbigliamento kleenex risultante da queste abitudini malsane vedrà ridurre significativamente il proprio ciclo di vita e andrà ad incrementare lo spreco e l’accatastamento dei vestiti nelle discariche di tessuti a cielo aperto, con danni sempre più gravi all’intero ecosistema ambientale.
Secondo dati pubblicati da Greenpeace, ogni anno vengono acquistati il 60% in più di prodotti di moda, la durata di ogni capo è scesa del 50% rispetto a 15 anni fa e ogni secondo viene eliminato in discarica l’equivalente di un camion di spazzatura pieno di vestiti. Acquisti fatti male e per inerzia, che vengono presto dimenticati o buttati nella maniera meno corretta. Anche se non sempre, in realtà, i capi possono essere smaltiti e questo dipende dalla loro composizione: da un lato perché non sono progettati per essere decomposti o per trasformarsi in altro una volta in disuso, dall’altro perché quello di cui sono fatti può fare la differenza in positivo o in negativo. Se acquistiamo ad esempio capi fatti in acrilico o poliestere, dobbiamo tenere a mente che il lavaggio di 6kg di abiti così prodotti può rilasciare fino a 700mila microfibre di plastica (ci dice Greenpeace), fin troppo minuscole per essere intercettate dai filtri delle lavatrici sia domestiche che industriali, e che tramite gli scarichi andranno a finire nei corsi d’acqua, verranno a loro volta ingerite dai pesci che ci vivono e finiranno poi sulle nostre tavole.
Vien da sé, quindi, capire che i materiali di cui è composto l’abbigliamento che scegliamo possono fare la differenza, e le nostre scelte consapevoli, in quanto consumatori, si rivelano la risorsa più preziosa che abbiamo.
La prima regola cardine è non acquistare nulla che non abbiamo intenzione di tenere a lungo: anche se si tratta di capi prodotti con tessuti sostenibili, se poi saremo portati a non utilizzarli, creeremo comunque rifiuti evitabili. Una volta aver sciolto questo dubbio morale, procediamo con l’analisi delle etichette.
Il cotone
Se optiamo per un capo di cotone, ricordiamoci che è uno dei materiali per cui ci sono più aspetti socio-ambientali delicati in ballo e che riguardano tra le altre cose le condizioni disumane alle quali la maggior parte dei coltivatori e raccoglitori di cotone di tutto il mondo – in gran parte minorenni e bambini – sono sottoposti; lo sfruttamento eccessivo di corsi d’acqua che sta riducendo drasticamente le risorse idriche globali; l’impiego incontrollato di pesticidi e fertilizzanti, molto spesso anche non necessario, con conseguenti danni al suolo e alla fauna; deforestazione con danni irrimediabili anche alla biodiversità autoctona; emissione di protossido di azoto, uno dei protagonisti del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici; e infine, impoverimento, deterioramento e desertificazione del suolo a causa di monocolture intensive e non diversificate. Acquistare pertanto cotone biologico o sostenibile e non geneticamente modificato contribuirebbe significativamente alla tutela delle risorse e dell’intero ecosistema naturale, nonché alla salvaguardia delle condizioni di lavoro degli agricoltori e al controllo e alla riduzione dell’inquinamento globale.
Il poliestere
Il poliestere ha soppiantato in gran parte il cotone, e solamente perché si tratta di un’alternativa meno costosa. È contenuto nella maggior parte di ciò che indossiamo e danneggia l’ambiente in ogni passo del suo ciclo di vita. Essendo plastica pura e composto al 100% da petrolio greggio, la sua estrazione e produzione è inquinante, così come il suo lavaggio a causa della dispersione delle microplastiche che ne derivano. Se pensiamo che l’industria tessile è responsabile del 35% dell’inquinamento da microplastiche, capiamo quanto incentivare la produzione di questo materiale sia deleterio. Anche il poliestere riciclato non è sostenibile, in quanto le problematiche derivanti dall’utilizzo e dal lavaggio dello stesso non cambiano rispetto al poliestere vergine. Sarebbe opportuno che fosse impiegato solamente per capi destinati a durare a lungo o che debbano subire pochi lavaggi, in quanto potenzialmente è una fibra robusta che impiega più di 800 anni a biodegradarsi. Invece, il fenomeno del fast fashion si contraddistingue per impiegare quasi esclusivamente il poliestere.
Il nylon
Così come per il poliestere, anche il nylon (poliammide) è fatto in parte di plastica e ha pertanto le sue stesse controindicazioni. Tuttavia, ci sono nuovi progetti, come quello dell’ECONYL, per sfruttare il nylon di reti da pesca e altre plastiche recuperate negli oceani e creare nylon riciclato che potrà a sua volta essere rigenerato in un ciclo continuo.
Il lino
Una fibra tessile riconosciuta come sostenibile è invece il lino, fibra antichissima che però è fin troppo poco diffusa e utilizzata in quanto non garantisce un costo basso per la lavorazione. La sua coltivazione, invece, richiede poca acqua, il che significa pochi sprechi e la possibilità di crescere anche su terreni poveri. In più, è possibile ricavare dagli scarti della produzione manifatturiera alcuni prodotti, come l’olio di semi di lino, permettendo così zero sprechi per l’intera pianta.
Il rayon
Il rayon, chiamato comunemente seta artificiale, pur essendo un prodotto naturale in quanto composto da pasta di legno, subisce una serie di processi per trasformarlo in tessuto nei quali è necessario un impiego elevato di sostanze chimiche tossiche che ci portano a non poterlo considerare un tessuto naturale. Si identificano con il nome rayon diversi materiali, tra i quali il più diffuso è la viscosa. Oltre l’aspetto inquinante durante il processo produttivo, quindi, bisogna considerare che per la produzione di questa fibra è necessaria una materia prima in forte pericolo e che dovremmo cercare di tutelare: il legno. Secondo la Canopy (organizzazione per la protezione delle foreste) vengono abbattuti ogni anno 150 milioni di alberi destinati alla produzione tessile. Dati in continuo aumento negli ultimi anni a causa della diffusione significativa di capi realizzati in rayon.
La lana
Si fa presto a parlar di lana, invece è un tessuto che porta con sé una serie di caratteristiche intrinseche e che spesso è collegato a pratiche non idonee a una sua visione sostenibile. Una di queste è il mulesing, che consiste nel tagliare chirurgicamente delle parti di pelle dalla zona perianale della pecora. Questo viene fatto per cercare di evitare o ridurre il potenziale accumulo di escrementi sulla lana delle pecore, il che comporterebbe l’avvicinamento di mosche, alcune delle quali depongono uova nelle pieghe della pelle dell’animale, causando delle fastidiose infezioni. Questo intervento forzato sul corpo dell’animale è riconosciuto come una pratica non idonea al rispetto dell’animale stesso. Inoltre, un aspetto che può minare la purezza di questo materiale è il momento in cui viene trattata con agenti chimici, perdendo così le sue proprietà biodegradabili di pelo di animale. Un indicatore utile che viene in nostro soccorso è il simbolo del Responsible Wool Standard, certificazione riscontrabile sulle etichette dei capi e che riguarda gli standard etici e ambientali sulla produzione della lana.
È bene quindi tenere a mente che con le nostre scelte possiamo significativamente indirizzare il mercato e l’intero settore fashion verso quello che potrebbe essere un futuro prospero sia per il nostro pianeta che per la solidità di questo settore, che vedrà inevitabilmente un declino a breve termine, a meno che non si prendano provvedimenti urgenti. Rispettare la moda con i suoi antichi e radicati principi sociali, vuol dire anche essere consapevoli di ciò che acquistiamo e perché lo scegliamo, con l’impegno e il desiderio di prendercene cura il più a lungo possibile.