«Quando un uomo mi chiede di fare delle cose, se vogliamo strane, non la prendo proprio bene», mi dice BigMama ridendo quando le domando come si è trovata sul set del nostro shooting, «però ho sperimentato qualcosa che non avevo mai fatto, quindi sono felice». A fotografarla nel contesto di un’abitazione dai toni caldi è @iosonopipo, artista che con i suoi scatti pretende normalità dai corpi quasi nudi delle donne che ritrae. E BigMama, adagiata inerme dopo aver lottato diventando un esempio, risulta perfetta. Di una perfezione che non ha niente a che vedere con quella che ha sempre cercato per evitare i giudizi.
Il corpo di Marianna è un corpo segnato, dal giudizio e dal dolore. È un corpo che porta con sé la cattiveria del genere umano, il peso di un male curato con la chemioterapia. È un corpo che ha sofferto, che è rinato dopo una rivoluzione che noi abbiamo visto solo a posteriori, ed è per questo che vederlo immortalato da iosonopipo lo rende particolarmente poetico: è finalmente calmo, fermo, spoglio dall’oggettificazione e dal malessere a cui è sempre stato involontariamente associato.
«Quando il mondo è cattivo con te, ti incattivisci. È normale. Non puoi essere una bella persona se vivi in un mondo brutto». Eppure ad oggi BigMama il suo corpo lo accoglie, lo abbraccia e si mostra. Non è più quell’aspetto che la rendeva bersaglio: è la sua forza, che unito alla mente la rende quasi invulnerabile. Quasi certamente perché la paura del giudizio è difficile da sradicare: i segni rimangono. «Quello del giudizio è il mio problema più grande. Sai qual è il fatto? Che uno può provare ad andare avanti rispetto a determinate tematiche, però quando qualcosa ti colpisce da tempo è difficile toglierselo di dosso».
Presentarsi a Sanremo quando la tua paura più grande è il giudizio non è così scontato. Non si tratta di andare al Festival come ospite, non è la comfort zone dei propri concerti, non è esporsi con il proprio messaggio su un palco e lasciare che il pubblico lo assimili semplicemente. Andare a Sanremo significa mettere la propria arte a servizio degli altri, sotto giudizio, confezionandola per essere etichettata con voti e numeri, diventando concorrente in un sistema che – nel bene o nel male – ha poche vie d’uscita.
«Sanremo da un lato è bellissimo perché è un trampolino gigantesco, il più grande in Italia, però porta con sé anche tutta una serie di difetti, tra questi i giudizi». E il problema, come dice Marianna, è che «a volte purtroppo la gente si dimentica che gli artisti sono persone». Basta un attimo che «diventi un oggettino, un tema di italiano alle scuole superiori da dover votare. Ma io non ho bisogno di un voto».
Ciò che mi stupisce ascoltando BigMama parlare, è vedere quanto è forte la consapevolezza che ha di sé e quanto sia ampio e completo il lavoro che ha fatto nel tempo sulla sua persona. Passiamo anni a cercare di capirci, ma la profonda conoscenza di sé stessi è tutt’altro che scontata, anzi. Spesso finiamo per puntare il dito contro ciò che ci colpisce, mettendo scudi e cerotti, tirando pugni contro un problema che seppur reale finisce poi per diventare un’ombra che ci segue anche quando non c’è. È qui che la cattiveria viene fuori.
«Quando ero bambina la parola cattiva mi è stata detta molte volte. Ho iniziato a rispondere male quando le persone mi giudicavano, ed ero piccolissima. Però quest’odio non andava solo sugli altri, andava anche verso la mia famiglia. Odiavo la mia casa, odiavo la mia città». Era arrabbiata di una rabbia che non si controlla, che mangia e basta senza che tu te ne accorga. «Ci ho messo anni per capire che quella quella rabbia non mi serviva a niente. La rabbia non ti basta, no?», afferma citando il titolo del suo pezzo che ora capisco andare a chiudere un cerchio con la sua storia.
«Quella rabbia non mi ha mai aiutato nella vita, mi ha solo fatto prendere delle energie negative e me le ha fatte trasformare in altre energie negative che al mondo non servono». E poi è successo che quelle vibes per niente good hanno fatto voli pindarici e si sono ritrovate scritte su un foglio, tradotte in testo e musica, diventando non solo qualcosa di positivo per lei, ma anche per gli altri. E allora la firma con Plugger, poi il Primo Maggio, poi Sanremo.
Eppure anche quando ha firmato il contratto non è stato tutto rose e fiori, «il giorno dopo aver firmato sono andata a fare una chemio (ride, ndr), però da quel momento mi sono sentita capita», dice Marianna ringraziando “quel santo” del suo manager, Oliver Dawson, e poi si è trovata ad affrontare quello che ci descrive come la parte tossica del rap.
«Se io donna faccio un testo rap di natura maschilista con zero voglia di dire qualcosa a livello sociale, otterrò qualcosa; se io donna faccio un pezzo rap di rivendicazione ne otterrò completamente un’altra perché mi sono già tagliata una grandissima fetta di pubblico», afferma, «non mi è mai piaciuta questa parte tossica del rap. Quando mi trovavo ad aprire concerti di rapper uomini prendersi il pubblico è molto più difficile, poi a fine concerto mi è sempre andata bene, però loro partono con un pregiudizio gigantesco».
Al contrario di come spesso accade nel rap in Italia, in cui gli artisti difficilmente vogliono prendersi responsabilità riguardo ciò che raccontano, BigMama non si è mai tolta di dosso niente di tutto ciò.
«Il fatto di non togliersi il peso sociale è una condanna, perché non passerò mai per la persona che fa rap e basta. Ma non importa, lo faccio. Il progetto BigMama è nato perché io ne avevo bisogno sennò mi ammazzavo, quindi non posso renderlo inutile solo perché alle persone piacerebbe di più. Le donne – e parlo di donne perché io mi sento prima donna e poi tutto il resto – devono avere voce in capitolo, c’è bisogno che le donne parlino» afferma tutto d’un fiato. «È normale che quando una donna parla dà fastidio e dobbiamo continuare a farlo fin quando quel fastidio non diventerà normalità, perché in Italia c’è ancora tanto lavoro da fare e spero che in questo Sanremo, le donne, qualcosa di fastidioso lo inizino a dire un po’ di più. Ci confido tantissimo».
Probabilmente, ciò che BigMama vuole vedere sui palchi sono quegli esempi che «nella vita non ho mai avuto». È un’affermazione, questa, che mi colpisce particolarmente, che quasi spaventa, perché non avere esempi non significa soltanto essere soli, ma essere soli e non poterne uscire.
«A me i sogni a terra mi sono stati buttati mille volte. La primissima etichetta alla quale mi sono approcciata, mi ha detto: “A rappare spacchi, ma dovresti fare due cose: un corso di dizione e dimagrire, perché sennò non puoi fare niente”. E là mi faccio pat pat sulla spalla, perché sono stata capace di non ascoltare quelle teste di cazzo e di credere sempre in ciò che facevo», afferma. Quindi: «il punto di riferimento che cercavo da piccola e che non ho mai trovato, sono almeno felice di esserlo io per tante persone. Forse non cambierò il mondo, perché il mondo è troppo grande da cambiare. Ma sicuramente aiuterò tante persone».
C’è una frase di Mannarino che mi porto sempre dietro, in un brano che si chiama “Vivere la vita” dice: “Il mondo non cambia spesso / Allora la tua vera rivoluzione sarà cambiare te stesso”. Seppur non immediato comprenderne il significato, Marianna ha fatto suo questo concetto più di molti altri: lei la sua rivoluzione l’ha fatta eccome. Dopo anni ha capito una cosa fondamentale: «Le persone ti valutano e ti capiscono – o non capiscono – in base all’amore che provi per te stesso», mi confida, «io ero il pagliaccio. Le persone mi vedevano per l’amore che provavo per me stessa: cioè zero, quindi mi vedevano come uno zero. Io non ero niente». È lì che è arrivata la rivoluzione. Quando Marianna ha iniziato a mettersi al primo posto, è cambiato tutto: vita e amici. «E questo, devo essere sincera, è avvenuto dopo la malattia. È stato il momento decisivo della mia vita in cui ho capito che se non ti aiuti da sola, nessuno lo farà per te. E in quel caso, al di là delle cure che possono o meno salvarti la vita, se non sei capace di sostenerle a livello psicologico, è davvero difficile uscirne bene. E a livello psicologico ce l’ho fatta da sola».
Marianna di storie da raccontare – e di cose da insegnare – ne ha a bizzeffe. Quando le chiedo se non pensa che l’essere riconosciuta come “quella del body positive” possa limitare la sua persona, mi risponde che «bisogna dare tempo alle persone». «La mia voglia di rivalsa non riguarda solo il fatto che sono grassa, la mia è una rivalsa da donna, una rivalsa da persona che ha avuto il cancro, una rivalsa da persona queer. Io ho tanto di cui parlare, non diventerà ripetitivo».
Ad oggi, sul palco dell’Ariston e su tutti quelli che verranno: «è come se tornassi indietro, mi dessi la mano e dicessi “vedi che cosa puoi fare se credi solo in te stessa e non agli altri?”». E questo, più di ogni altro, è il concetto de “La rabbia non ti basta”.