Negli ultimi anni il fattore “viralità” ha giocato un ruolo determinante nel definire la popolarità di un brand, e per questo in passerella abbiamo visto di tutto. Ma uno di questi approcci al confine tra la satira e l’esagerazione si è visto più spesso di altri, quello che potremmo definire come la tecnica “art-attack”.
Oggetti di uso quotidiano vengono presi e trasformati in capi e accessori da vendere nei negozi, e anche se a prima vista può sembrare una forzatura, alcuni risultati sono il perfetto esempio di come è possibile coniugare creatività, funzionalità ed estetica.
Definire Demna Gvasalia la controfigura georgiana di Giovanni Muciaccia sarebbe riduttivo, ma è anche vero che, alla guida di Balenciaga, lo stilista si è fatto riconoscere proprio per la sua propensione a trasformare oggetti di uso quotidiano in capi e accessori d’alta moda. Rotoli di scotch diventano bracciali, asciugamani vengono ripensati come gonne e cappotti o buste di patatine come borse: l’approccio quasi dadaista di Demna, fatto di provocazione e sovversione dei tradizionali canoni estetici, si è espresso in tantissimi modi. Ma il suo non è un caso isolato. La moda, quella più sperimentale, si è sempre divertita a decontestualizzare qualsiasi cosa si trovasse nei paraggi per renderla indossabile, vuoi per motivi politici, come critica sociale o semplicemente come esercizio di stile.
Il nome più iconico da associare a questa tendenza – a metà tra la scultura e il riciclo – è sicuramente Martin Margiela, che già negli anni ’90 con la linea Artisanal esplorò le potenzialità dei materiali di scarto come emblema della decostruzione. Anche se può sembrare la solita assurdità del fashion – e forse dal punto di vista commerciale lo è – in realtà si tratta di una delle espressioni creative più complesse perché consiste nel totale ripensamento della funzionalità e dell’estetica di oggetti comuni.
Oggi, è Hodakova a portare avanti questa filosofia, marchio svedese con l’obiettivo di diventare la prima maison totalmente sostenibile grazie alla rielaborazione di prodotti già esistenti in pezzi di lusso, senza mai cadere nel kitsch. Impossibile non citare anche la regina del DIY Nicole McLaughlin. Con il suo un approccio giocoso e ironico, la designer negli anni è riuscita a mettere a segno collaborazioni con Gucci, Arc’teryx e Puma. Lou de Bètoly con il body di telefoni e caricatori indossato da Beyoncé o il vestito couture di chip di Schiaparelli, Dilara Findikoglu con il vestito di coltelli o Namilia con i top-Birkin: la lista degli esempi visti di recente è lunga.
Anche se i risultati sono tutti diversi, l’approccio è lo stesso: decontestualizzare, trasformare e rinnovare ciò che già conosciamo, spingendo al massimo la propria fantasia e, perché no, riducendo gli sprechi.