Quando smetteremo di rimanerci male per l’unfollow? Spoiler: mai 

Esistono delle regole non scritte e non valide per tutti che gestiscono le interazioni personali online. La variabile però sta nel percepito dei singoli visto che lo storico a disposizione è minimo — al contrario delle relazioni personali dal vivo su cui abbiamo più certezze. 

Se quindi siamo sicuri che non rispondere al saluto di qualcuno sia antipatico, non siamo altrettanto sicuri della reazione che un unfollow potrebbe produrre. Non si tratta neanche più di una questione di novità: queste dinamiche sono già appurate da anni ed è per questo che fa così strano che destabilizzino ancora così tanto. 

Anche quando razionalmente raggiungiamo il pensiero che non importa veramente il gesto del follow, esiste una sovrastruttura di dinamiche social in cui l’essere osservati corrisponde ad un testimone in più — oltre che ad un potenziale “fan”. Anche nelle discussioni online il punto sembra spesso questo: nessuno vuole seguire altri senza essere ricambiati per non dare l’impressione di essere loro fan ingiustificati.
Un concetto ripreso anche di recente nella newsletter di SmarTalks in cui si mette al centro l’importanza di saper fare il gesto di smettere di seguire, come atto di amore personale, per filtrare la nostra dieta digitale senza sentirci obbligati a guardare cose che non vorremmo vedere solo per un perbenismo digital che non ha un corrispettivo nella vita reale.

L’unfollow è quindi un gesto di potere? Una specie di lotta al migliore, al superiore, al più esclusivo? O forse una dichiarazione di antipatia? O forse non vuole dire assolutamente nulla?