Il giorno stesso in cui è stata annunciata la sua presenza nel cast di Sanremo, Rkomi ha fatto la mossa meno sanremese che ci si potesse aspettare da lui: ha pubblicato a sorpresa un nuovo brano, dal titolo Odio, quindi sono, che sembra una dichiarazione d’amore al rap. Un pezzo duro, tecnicamente ineccepibile, affilato e preciso come una spada, in cui demolisce in maniera sistematica la società di oggi, che fa fronte comune non per difendere ciò che ama, ma piuttosto per distruggere ciò che detesta. È il contrario di un testo votato all’amore e ai buoni sentimenti, insomma, e sulla carta avrebbe potuto innervosire o scandalizzare parecchi, soprattutto tra il pubblico generalista, perché la lista di cose, persone ed entità che Rkomi dichiara di odiare nelle sue barre è davvero lunga.
Insomma, la sua non è stata la tipica mossa di una persona che tra un paio di mesi si presenterà al concorso canoro più tradizionalista e conservatore d’Italia. A meno che, riflettono in molti, non si presenti con un brano in linea con Odio, quindi sono: un altro pezzo rap senza compromessi, che permetta anche a chi l’ha conosciuto solo dopo la svolta pop di Dove gli occhi non arrivano e Taxi Driver di scoprire il suo talento lirico. E forse, perché no, che permetta a lui di tornare a un approccio alla musica più vicino a quello degli inizi, quando non c’era niente da perdere e tutto era da conquistare. Negli ultimi anni, artisticamente Rkomi è cresciuto davvero tanto: ha studiato musica con serietà e passione, ha lavorato con band e produttori fuori dalla sua comfort zone, ha esplorato orizzonti lontanissimi da quelli da cui era partito. Ivi compreso Sanremo, a cui aveva già partecipato nel 2022 con un pezzo sostanzialmente alt-pop, Insuperabile. Tutto questo, chiaramente, è sempre cosa buona e giusta, ma mentiremmo se non dicessimo che sentiamo un po’ la mancanza della sua penna onirica e stralunata nella scena. E forse la scena manca un po’ anche a lui, tanto che negli ultimi tempi è filtrata più volte l’indiscrezione che il suo prossimo disco sarebbe stato un ritorno alle origini, in un certo senso. Ma questo presunto ritorno dalle origini partirà per caso dal palco dell’Ariston?
Probabilmente no, in realtà, perché c’è un dato oggettivo: a dar retta al direttore artistico Carlo Conti, quest’anno nessuno porterà davvero il rap a Sanremo. Certo, più della metà del cast arriva dal panorama urban (definizione tutta italiana, ma insomma, ci siamo capiti), e almeno una decina di loro sono (o sono stati; anche in questo caso ci siamo capiti) rapper. Eppure durante l’intervista rilasciata a Pezzi, il podcast ideato da Andrea Laffranchi, Luca Dondoni e Paolo Giordano, che sono tra i giornalisti musicali più influenti e autorevoli in materia di musica italiana, Conti ha negato categoricamente che ci saranno contenuti di quel tipo, nel suo Festival. Prima ancora che venisse rivelato il cast del 2025, dichiarava ai loro microfoni: «Si sono presentati tanti rapper, ma sono più orientati sul pop e stanno crescendo. Mi piace che i giovani raccontino la loro generazione in maniera non aggressiva». Insomma, rapper in gara sì, ma con toni più innocenti, melodici e classici, ben lontani dalle atmosfere bellicose di Odio, quindi sono. E non è solo questione di toni, ma anche di argomenti: sempre nella stessa intervista, Conti ha rivelato che «C’è qualche brano importante per contenuto, ma quello che è arrivato musicalmente non è più un macromondo: non vanno a parlare di guerra e immigrazione, ma più di quello che li circonda. È un micromondo fatto di famiglie e rapporti personali, un universo molto intimo e umano». Tradotto in parole povere: tante canzoni d’amore e di buoni sentimenti, poche barre davvero incendiarie.
Ma tutto questo sarà vero? Probabilmente no. Da una parte, perché le prime indiscrezioni filtrate da alcuni artisti sembrano suggerire che non tutti i pezzi siano così innocui e leggeri come ci racconta Carlo Conti. Dall’altra, perché gli scettici sono parecchi – primo fra tutti il Codacons, che chiede a gran voce di poter leggere ed eventualmente eliminare preventivamente i testi delle canzoni dei rapper. «In passato si sono contraddistinti per testi violenti, sessisti e omofobi», recita il comunicato stampa dell’associazione. «Avevamo esplicitamente diffidato l’azienda a non portare a Sanremo artisti i cui brani sono stati caratterizzati in passato da violenza, insulti verso le donne e contenuti sessisti. Tuttavia la Rai e Carlo Conti hanno deciso di premiare rapper e trapper violenti e dai testi pericolosi. Una decisione gravissima».
Al di là delle (molto opinabili) considerazioni del Codacons in materia di censura preventiva, è plausibile che la verità stia nel mezzo. Probabilmente Conti, che come direttore artistico chiede agli artisti di presentare una rosa di brani diversi prima di scegliere quello che porteranno effettivamente in gara, avrà selezionato quelli più adatti a una tv pubblica guidata dalla destra al governo, e quindi non i più controversi. Allo stesso tempo, però, gli artisti probabilmente non si saranno piegati a cambiare del tutto stile e personalità pur di partecipare al Festival: i rapper rimangono rapper, e se Rkomi vuole davvero tornare alle origini, non si farà certo intimorire dal contesto. Vale per lui, come vale per molti altri: vedi il caso di Fedez che, come lui, subito dopo l’annuncio del cast di Sanremo, ha deciso di andare a Real Talk per snocciolare qualche barra su pregiudicati, giornalisti, politici, polizia, magistrati, Digos e molto altro ancora. Per la gioia dei perbenisti.