Finalmente sappiamo chi è Liberato

Si è speculato tanto sull’identità di Liberato. Se n’è scritto, parlato e discusso nelle redazioni giornalistiche, nelle sale riunioni delle etichette discografiche, nelle aule studio e nei bar di tutta Italia. Ne abbiamo sentite di ogni: dalla trovata commerciale, all’industry plant, dall’alter ego di Livio Cori a qualche progetto criptico di Calcutta. Ecco, noi abbiamo potuto visionare in anteprima il film Il segreto di Liberato e abbiamo capito finalmente chi è l’artista napoletano mascherato anche grazie alle parole di Francesco Lettieri, regista del film e dei video che hanno aiutato a creare l’estetica di Liberato. 

Certo, magari non conosciamo il nome, il cognome o il volto, ma sappiamo molto di più sulla sua vita, quella vera, che ha aiutato a creare un personaggio che non ha paragoni nella musica italiana. «Un film che racconta un segreto non deve per forza svelarlo», ci racconta Francesco Lettieri. «Così come una storia true crime su un caso insoluto può essere interessante pur senza annunciare un colpevole. Anzi, è la mitologia del fatto reale che cattura. Io penso che nessuno si aspetti che il film presenti nome e cognome di Liberato. Ci sarà chi andrà al cinema per quello, ma chi conosce il progetto sa che la parte interessante non è quella». Grazie a Il segreto di Liberato sappiamo da dove viene quest’ultimo. Certo, Napoli, quella era l’unica cosa certa, ma ora sappiamo perché si è appassionato alla musica, da dove derivano certe esperienze e il suo amore per quella determinata città, così centrale nella narrazione della sua musica. Un amore fortissimo legato ai ricordi, agli affetti, a un periodo per certi versi tormentato ma in realtà, rivedendolo a posteriori, felice e in grado di riempire un cuore che rimane sempre e comunque ferito, tranne quando guarda la sua città.

Proprio la napoletanità è un concetto fondamentale del film, ma anche di Liberato. Lo sappiamo, lo si capisce. D’altronde se tutti noi conosciamo così tanti scorci di Napoli e provincia è per merito suo e dei suoi testi. Perché, come viene detto perfettamente nel film: sono tutti napoletani quando si parla di Liberato. Proprio nel film si parla del fatto che Liberato ha portato lo status di napoletano a un livello più alto, rendendo la parola tema di orgoglio, cancellando molti degli stereotipi che gli ruotano attorno. Periodicamente vediamo figure a cui si associa questo traguardo, ma Liberato lo ha fatto in maniera differente: non ha solo portato Napoli in classifica e sui palchi, ma l’ha raccontata in tutti i suoi quartieri, da Forcella a Mergellina, da Marechiaro a Trentaremi, facendo conoscere la geografia locale a chiunque ascoltasse. Non solo, nel film si accenna al fatto che Liberato “ha unito anche i quartieri che normalmente non si sarebbero parlati” e questo è un traguardo che molti di quei suddetti nomi celebrati per aver innalzato Napoli non sono riusciti a fare. Parlare di Napoli per me è tanto facile quanto incorretto, essendo io una persona che Napoli l’ha vista e frequentata solo da turista, per questo ho deciso di far parlare il film, in cui viene anche detto che Liberato ha rappresentato “l’orgoglio napoletano, quello vero, in tutto il mondo”. Ecco, usare “quello vero”, non è un caso, appunto perché è facile riempirsi la bocca con la napoletanità e l’orgoglio partenopeo, ma va fatto nel modo corretto. E Liberato lo fa perché “Napoli è la cosa più vera della mia vita”.

Stiamo divagando. Torniamo al film di Francesco Lettieri, la cui visione è da sempre sposata con quella di Liberato, fin dagli inizi. I due hanno sempre fatto tutto, assieme quasi per caso, come si può comprendere dal film stesso. Una tale commistione musicista-regista in Italia non si era mai vista: «Penso a Chris Cunningham e Aphex Twin i cui video per me sono dei cult. Con Liberato sono riuscito a esprimere totalmente le mie idee. Mi è capitato anche con altri artisti, sia chiaro, come Giovanni Truppi e Calcutta, ma con Liberato ho raggiunto la mia massima espressione narrativa anche perché la sua assenza di immagine personale mi ha permesso di concentrarmi sulla storia». 

Abbiamo parlato ovviamente dell’identità di Liberato e della sua Napoli perché non si può non farlo, ma limitarsi a questo sarebbe uno sbaglio. Il segreto di Liberato unisce una parte documentaristica e una di animazione, creando una commistione particolare grazie all’unione di due tecniche che parlano due lingue totalmente diverse. «Ci siamo scritti una storia partendo dall’idea di seguire le tappe del tour di Liberato – ci ha detto Francesco Lettieri – e seguirne gli spostamenti, a cui abbiamo aggiunto un racconto che nasce da fatti reali. Parliamo di una storia in cui il confine tra finzione e realtà è molto labile, quindi abbiamo ritenuto l’animazione perfetta come mezzo per raccontarla». Quello che più intriga è vedere come la parte documentaristica che parla di Liberato, il personaggio, sia narrata dal Francesco Lettieri e dal resto del team che lavora attivamente al progetto musicale, con immagini reali. Mentre la parte che realmente parla di Liberato, l’uomo, è ironicamente realizzata a fumetto. Quindi le immagini concrete parlano di un personaggio, quelle a fumetti dell’uomo che gli sta dietro, in una dicotomia inaspettata che ci fa comprendere ancora di più l’ironia che pervade la figura di Liberato, un’ironia che prende concetti molto seri e li rende leggeri.

Con tutta probabilità, è proprio questa la forza di Liberato, quella di rimanere leggero seppur sia probabilmente il fenomeno musico-culturale più rilevante e discusso d’Italia, quello che rappresenta un popolo, quello che fa una musica particolarmente esportabile all’estero. A Liberato sembra non interessare, sembra che l’importante sia solo fare musica e rimanere credibili agli occhi di sé stessi, seppur nello specchio si veda una maschera, una divisa. Quella stessa divisa che, sempre citando il film, contemporaneamente unisce tutti coloro che con Liberato ci lavorano ma li divide da tutti gli altri. Se ci pensiamo bene, però, è ovvio, perché indossare una divisa vuol dire trovare qualcosa in cui rappresentarsi e, al tempo stesso, schierarsi contro altri. Come nello sport, come nella politica. A differenza di quello che vediamo nelle guerre, che siano queste mondiali o di quartiere, la divisa di Liberato non apporta alcun tono di solennità, anzi, su di lui aleggia un costante livello di ironia che in qualche modo non ci ha ancora fatto capire se effettivamente stia prendendo tutti per il culo. 

Come detto, è per questo che Liberato funziona, perché non si è mai posto su un piedistallo, non si è mai reso simbolo di un popolo e non si è mai professato come un simbolo di una rivoluzione culturale. Forse è per questo che i suoi collaboratori si rivedono così tanto nel progetto, al punto tale da usare sempre il plurale quando fanno riferimento al cantante mascherato. «Liberato funziona perché la sua forza è la musica – prosegue Lettieri -, perché è bello il concetto dell’anonimato, i video e l’immaginario, ma se avesse fatto musica brutta, non saremmo qui a parlare di lui, la curiosità sarebbe finita dopo un annetto, o meno. Poi il personaggio non fa che alzare l’asticella dell’aspettativa che obbliga a tenere un livello di qualità molto alto. Per me è uno dei più grandi artisti italiani contemporanei». L’innalzamento di questa asticella può pesare sulle spalle di Lettieri, la cui responsabilità è sempre maggiore video dopo video: «Già da Nove Maggio a Tu t’e scurdat’ ‘e me c’è stato un upgrade importante a livello di storia e attori. A livello economico fu un investimento, anche da parte mia. Poi sono arrivati i video girati in pellicola e quelli in location sempre più importanti. Questo per dire che sia Liberato che io personalmente abbiamo sempre ragionato sul cercare di fare sempre un passo in più, sempre un’evoluzione, cosa che comporta anche dei rischi. Anche per questo abbiamo inserito nel documentario l’animazione, per dare qualcosa di nuovo e raccontare un lato diverso di Liberato», racconta Lettieri. «Spesso sento l’ansia – dice il regista – e la pressione in quello che faccio, specie per i film. Nei progetti legati a Liberato, però, questa pressione non la sento mai, perché ho la libertà di rischiare, di fare davvero quello che voglio, perché è così che abbiamo sempre lavorato assieme».

Ogni generazione ha le sue domande: dove sia la tomba di Cleopatra, chi ha sparato a Kennedy e, perché no, chi sia Liberato. La verità è che, in questo ultimo caso, la risposta non ci interessa. Perché abbiamo capito che il il personaggio di Liberato non è studiato o fatto a tavolino, ma è una conseguenza di cause, il risultato di una somma di esperienze. Perché chiunque dica che Liberato ha appeal solo per l’anonimato, forse non è oggettivo. Perché l’anonimato può essere un plus solo all’inizio, ad anni di distanza dall’uscita è la musica, i video, i concerti e la creatività a mantenere il pubblico incollato.

Per questo Il segreto di Liberato, come lui stesso, funziona. Perché, come la sua musica, è un mix di elementi, di luoghi e di linguaggi che molti non si sarebbero immaginati di vedere assieme ma colpiscono il pubblico perché non si prendono troppo sul serio. O forse perché ci fa capire che non sempre serve una bacchetta magica o un personaggio, ma forse dovremmo solo provare a fare qualcosa per il gusto di farla, senza pensare troppo alle sovrastrutture e all’obiettivo finale.

Foto di
Eleonora D'Angelo
Styling di
Antonella Mignogna