Sembra che la creatività non sia più importante 

Non c’è mai stata tanta indecisione intorno al ruolo della creatività nella nostra vita come ora. Nel cinema, così come nella moda e la musica, i dati hanno superato lo slancio artistico spontaneo perché sono in grado (quasi sempre) di indirizzare verso il successo.

Come ricordato di recente da Andrea Girolami nella sua newsletter, la ridotta soglia dell’attenzione e l’enorme offerta di prodotti aumenta il rischio di fallimento dei contenuti. Fallimento facilmente evitabile seguendo però i dati invece che le intuizioni e la creatività.

«Fino all’anno 2000 circa il 25% dei film col maggiore incasso dell’anno erano prequel, sequel, spinoff, remake, reboot o parti di un universo cinematico. Dal 2010 questa percentuale è salita al 50%, arrivando vicina al 100% in questi ultimi anni».
Adam Mastroianni, Columbia Business School 

Il costante rilascio di spin-off, prequel e sequel nel cinema di cui parlano i dati di Mastroianni sono una spiegazione molto chiara della tendenza a scommettere su formule che hanno già dimostrato di funzionare in passato, senza rischiare sul nuovo. Una dinamica molto familiare anche al mondo della moda: se in passerella non c’è niente di nuovo è anche perché da qualche anno tutto viene messo nelle mani del trend forcasting e gettato poi su un filone di trend in serie. Il risultato però sono passerelle che si assomigliano molto tra di loro e una percezione generale della moda come “noiosa” o ferma.

Se i dati sanno cosa funziona perché dovremmo quindi ignorarli? L’unico motivo (più che valido) per affidarsi all’incertezza della creatività sarebbe appunto quello di uscire da un’offerta sempre più piatta. Perché quando guardando qualcosa la sensazione è che siano tutte variazioni dello stesso concetto allora abbiamo fallito creativamente — ma magari funzionato perfettamente a livello di vendite, interazioni e incassi.