slowthai, il ribelle punk dall’animo delicato

either a grime MC making punk music or a punk making rap music“, traducibile con “o un mc grime che fa musica punk, o un punk che fa musica rap”: così la BBC, il principale network d’informazione britannica, descriveva nel 2019 la musica di slowthai. Da allora, il rapper inglese ha pubblicato un album ufficiale, riscosso un successo quasi unanime di pubblico e critica, generato non poche controversie, e si è ritagliato uno spazio abbastanza unico nel (non troppo) variegato scenario del rap inglese. A coronare un percorso simile, più unico che raro, ha pubblicato il suo secondo disco, “Tyron”, un lavoro che ha tutte le carte in regola per diventare un classico del rap, non solo di quello made in UK.

La cover di “Tyron”

All’anagrafe Tyron Kaymone Frampton, classe ’94 originario di Northampton – 80 km da Londra -, slowthai non fa parte di quella generazione di enfant prodige che iniziano a produrre musica in tenerissima età. Complice anche una delicata situazione familiare – cresciuto da una madre single, suo fratello più piccolo è morto ad un anno a causa della distrofia muscolare –, l’artista inglese ha iniziato a pubblicare musica solo a 22 anni, con i primi singoli caricati su Soundcloud. Si è concentrato sulla carriera artistica dopo alcune brevi esperienze lavorative fallimentari, e non è servito troppo tempo per far sì che il suo talento colpisse il pubblico, e che la sua stella iniziasse a brillare.

Dopo un paio di EP pubblicati a cavallo tra 2017 e 2019, con etichette indipendenti, nel 2019 vede la luce il suo primo disco ufficiale, “Nothing Great About Britain”. Il titolo, un gioco di parole carico di satira politica, è solo l’antipasto di quello che è un disco dissacrante, di rottura, carico di critica sociale. A differenza di molti esponenti del grime inglese, slowthai non rispetta esattamente l’archetipo di street rapper, e in generale rifugge ogni tipo di etichetta e catalogazione. L’elemento di osservazione e critica sociale, però, non manca mai nella sua musica, e neppure nelle sue performance. Sempre molto propenso ad esprimere il proprio dissenso – in particolare nel periodo della Brexit –, la sua protesta artistica a volte ha raggiunto vette inaudite. Durante il suo show alla serata di gala dei Mercury Prize – in parole povere, l’equivalente inglese dei Grammys –, a cui era candidato con il disco d’esordio, slowthai ha portato sul palco una replica della testa decapitata di Boris Johnson, primo ministro inglese. E pensare che nei ’90 ci si scandalizzava perché gli N.W.A. cantavano “fuck the police”.

Le controversie, però, non hanno mai spaventato il rapper; anzi, ne hanno alimentato il mito, semplicemente in virtù del fatto che non erano mai volgarità o provocazioni gratuite, ma interventi politici e sociali mirati. La sua stella ha continuato a crescere, e negli anni ha collaborato con Tyler, The Creator, i Brockhampton, i Gorillaz e Aminé, tra gli altri. “Feel Away”, in collaborazione con James Blake e Mount Kimbie, è il primo estratto dal disco che avrebbe annunciato qualche settimana dopo; ma è anche e soprattutto un toccante omaggio al fratello scomparso, e si tratta di uno dei brani più evocativi e intimi nella discografia di slowthai. Un elemento che in “Tyron” sarà ancor più evidente, a dimostrare quanto eclettica possa essere la sua musica.

Oltre all’aspetto musicale e a quello provocatorio, la figura di slowthai è anche una delle più interessanti e influenti dal punto di vista dell’immagine. Il rapper ha già collaborato con Nike e Foot Locker per dei commercial legati alle TN, e ha anche dimostrato di avere un feeling particolare con Supreme. Nato letteralmente nello stesso anno di fondazione del brand, Tyron ha mostrato capi in anteprima esclusiva come ad esempio la Bandana Box Logo, ed ha anche preso parte a campagne promozionali, una su tutte quella per il lancio dell’ultima capsule collaborativa con Stone Island, non a caso un brand particolarmente iconico in Inghilterra. Il suo stile eccentrico ha ovviamente contagiato anche il merchandising del nuovo album: oltre ad un set di t-shirt e hoody più basiche e a una linea di bootleg a tema Budweiser e Carlsberg, tra gli accessori slowthai ha inserito un posacenere a forma di lattina brandizzata “Slow Thai” e soprattutto una matrioska con le sue fattezze. Il dettaglio più interessante della matrioska? La faccia esterna è sorridente, quella interna triste e arrabbiata. L’ennesima, perfetta metafora di quello che la musica e il suo personaggio incarnano, un dualismo tanto logorante quanto affascinante.

Arricchito dalle collaborazioni di Skepta, A$AP Rocky, Dominic Fike, Denzel Curry, Deb Never e i già citati James Blake e Mount Kimbie, “Tyron” è un disco manifesto di questo dualismo, e non è un caso che l’autore ne abbia simbolicamente diviso la tracklist in due parti. La prima è provocazione, rabbia, egotrip, energia giovanile, ribellione urlata: gli elementi che hanno reso slowthai ciò che è, in pratica, ci sono tutti. La prima parte è molto più “rap”, si potrebbe dire, e molto più vicina a ciò a cui l’artista ci aveva già abituati. La seconda, invece, riprende da dove “Feel Away” ci aveva lasciati: introspezione, intimismo, vulnerabilità, ma anche brani più conscious, e riflessioni, tra il serio e l’ironico, sulla società in cui viviamo, scaturite anche dall’ultimo, surreale anno che l’umanità si è trovata a vivere. “adhd”, la traccia conclusiva, è forse il punto più alto di questo secondo momento, e nello sviluppo dalla traccia è impossibile non percepire gli echi di un approccio di cui XXXTentacion è stato pioniere. Il risultato è una mazzata emotiva, talmente intensa da arrivare anche senza capire una parola del testo; concentrarsi sulle liriche non fa che amplificare la percezione iniziale. “I’m tryna fly but my wings feel broken / An eagle encaged in a closure / Lowest of lows, decomposing, I’m sober, loner / I can’t be alone, why I always pick the phone up? / I beg you pick the phone up”: tradurre questi versi rovinerebbe la magia, priverebbe le parole di slowthai della loro vera forza comunicativa. Ascoltare “adhd” equivale a leggere una pagina del diario personale del rapper, una delle più tristi, una di quelle in cui è sull’orlo del baratro. La speranza è che riesca ad allontanarsi dall’orlo.