Sneakers “Rétro”: perché i brand non ci accontentano?

Il ruolo dei modelli “Rétro” nello sneaker game è sempre stato molto discusso, ma mai come negli ultimi anni. Per qualcuno i modelli vintage sono la fonte di ogni male: la causa di una progressiva morte del design che ha portato il mondo delle sneakers a fornire ben pochi spunti interessanti. Per altri, invece, gli stessi modelli sono un’ottima occasione per far conoscere anche alle nuove leve silhouette spesso ingiustamente dimenticate, donando nuova luce ai grandi design del passato.
In media, però, le sneakers “Rétro” sono semplicemente l’argomento di dibattito preferito dai puristi annoiati e dai maniaci delle versioni OG, in un’eterna battaglia contro le aziende per sempre ree di non conoscere, proprio loro, i modelli che le hanno rese grandi.

Nike è il perfetto “brand termometro” della situazione. Negli ultimi anni abbiamo visto tornare sugli scaffali dei negozi modelli dimenticati dal grande pubblico, gemme presenti ormai soltanto nell’archivio dei collezionisti di cui una versione “Rétro” era decisamente inaspettata.
Ultima della lista è la Zoom Spiridon Cage, modello disegnato dal guru Steven Smith sparito nel corso degli anni nell’ombra generata dall’enorme celebrità della Zoom Spiridon del 1996. La categoria in cui Nike ha però scavato di più per riportare alla luce modelli inattesi è quella delle bolle. Sono diverse le Air Max che negli ultimi anni sono state riproposte, spesso non richieste e con poca cura, a discapito di Rétro attese da decenni. Tra queste le Air Max Tailwind 4, le Air Max2 Light ’94 e le Air Max Triax ’96.
Certo, non sono pochi gli estimatori dei modelli citati, ma si parla comunque di un campione ridotto.

Sono ancora molti i modelli di cui gli appassionati attendono con ansia il ritorno. Tra questi ci sono classici degli anni ’90 come la Air Max2 ’94 (che potrebbe sembrare più vicina, vista la riedizione dello scorso anno della Light) e capolavori oscuri dell’Era Alpha Project, come le Kukini (l’autore chiede, per favore, di cancellare dalla memoria collettiva la versione Free), le Air Max 2002 o le Zoom Citizen. L’attesa più lunga di tutte, tra i modelli desiderati dalla maggior parte degli appassionati, è quella per le Air Max 1 nella versione “Big Bubble” del 1986, una sorta di vizio di forma se si considera che non è mai stata ufficialmente rilasciata al pubblico e parlare quindi di un ritorno sarebbe non corretto.

Il rischio di rimanere delusi dalle riedizioni è, però, sempre molto alto. Nike spesso sceglie di apportare delle modifiche o creare degli ibridi per facilitare la produzione dei vecchi modelli. É il caso, per esempio, delle Chapuka diventate Chalapuka (upper Chapuka, suola Talaria) o della Seismic, trasformata in Spirimic (upper Seismic, suola Spiridon). Tra questi interventi quello che ha fatto più discutere è l’utilizzo della bolla sviluppata per la Air Max ’95 Ultra per l’attesissima Rétro della Air Max ’96 uscita nel 2016 in occasione del ventennale del modello, un affronto che molti puristi hanno incassato a fatica.

Terminato tutto questo elenco, la domande sorgono spontanee: perché Nike non ci accontenta tutti? Perché tra tante Rétro Nike non fa uscire nuovamente proprio quella Nike dimenticata che voglio solo io? Perché Nike si ostina a produrre Rétro poco curate? Perché Nike continua a proporre modifiche che portano collezionisti e appassionati sull’orlo di una crisi depressiva?

I motivi sono molti, ma si possono dividere per comodità in due categorie con molti punti di contatto: motivi tecnici e motivi economici.

Iniziamo dai motivi tecnici. La produzione delle scarpe sportive è un’arte che è stata affinata nel corso dei decenni, complice il continuo sviluppo di nuove tecnologie. Per molte delle sneakers citate il principale cambiamento tra il momento della loro uscita orginale e oggi è la loro funzione: tanti di questi modelli sono nati per uno scopo tecnico, mentre oggi sono modelli lifestyle. Se negli anni ’80 e ’90 l’obiettivo dei designer che li sviluppavano erano legati alle performance sportive, oggi si mira a comodità e durata.

Un ottimo esempio per questo punto è la progressiva riduzione della dimensione delle bolle nelle Air Max. Una bolla più grande garantisce un maggiore cushioning, indispensabile se con le tue Air Max ci vai a correre (negli anni ’90). Una bolla più grande, però, ha più possibilità di forarsi o sgonfiarsi e indebolisce la struttura della suola. Oggi penso nessuno usi più un modello sviluppato oltre vent’anni fa per andare a correre ed è molto più probabile che le nostre Air Max debbano restare chiuse in una scatola a sopportare cambi di temperatura e umidità. Per questo motivo una bolla più piccola è molto più utile e funzionale oggi rispetto agli anni ’90, magari non è fedele all’originale dal punto di vista estetico ma risponde alle nuove necessità di chi compra quel modello. Questo stesso discorso può essere applicato a molte delle variazioni applicate ai modelli durante lo sviluppo delle versioni Rétro.

I motivi economici sono, invece, molto diversi. Per quanto il sistema con cui molti dei modelli da riproporre vengono scelti resti oscuro, molte scarpe non tornano sugli scaffali perché, semplicemente, non ne vale la pena. L’investimento per sviluppare e produrre una Rétro è grande e per questo motivo spesso bisogna valutare il reale interesse da parte del pubblico e la capacità di sell-out di un modello. Molte sneakers vengono riproposte perché affini a livello estetico a un modello di grande successo o, magari, appartengono alla stessa era. Il mercato saturo in cui molti brand devono muoversi complica ulteriormente le cose. Non è raro vedere classici osannati dai puristi finire in saldo, restando sconosciuti al grande pubblico perché manca la possibilità da parte del brand di creare uno storytelling o l’interesse da parte degli sneakerhead nell’imparare qualcosa di nuovo.

Esiste poi una zona grigia, in cui motivi tecnici ed economici si uniscono. Da qualche mese si vocifera che nel 2020 la Kukini ritornerà sugli scaffali ma, al posto della sole unit con cui è stata originariamente disegnata, verrà utilizzata quella della Zoom Spiridon Cage. Per quale motivo viene fatta questa scelta? Difficile dirlo con certezza, ma è facile ipotizzare che le basse quantità di Kukini che verranno prodotte non giustificavano la spesa per creare nuovi stampi per suole fedeli all’originale. Utilizzando una diversa sole unit Nike può abbattere i costi, usando materiali già a disposizione. Questo stesso meccanismo è stato utilizzato ampiamente da tutti i brand per decenni. Non è raro trovare nei vecchi cataloghi modelli ibridi, soprattutto da donna, con tomaie abbinate a suole vecchie di qualche anno.

Per concludere, il compito di noi fan sarà sempre quello di non accontentarci mai e trovare una ragione più o meno valida per lamentarci. Non bisogna però dimenticare che il crescente interesse del grande pubblico per il mondo delle sneakers dà ai brand un ottimo motivo per investire e produrre prodotti migliori e Rétro più fedeli agli originali, se c’è richiesta. Ciò significa che oltre a diventare molto bravi a scovare i problemi, possiamo diventare parte della soluzione.