Fashion

Storia ed evoluzione del kimono nella moda

Articolo di

Ruben Di Bert
Kimono: Kyoto to catwalk

Dalla sofisticata cultura della Kyoto del XVII secolo fino alla creatività delle passerelle contemporanee, il kimono è unico in termini di rilevanza estetica e impatto culturale, e occupa un posto affascinante nella storia della moda”. È con queste parole che lo scorso anno la curatrice Anna Jackson ha presentato la mostra “Kimono: Kyoto to catwalk” al Victoria & Albert Museum di Londra, la quale esponeva in modo assolutamente unico ed evidente tutta l’evoluzione che il kimono ha saputo affrontare nei secoli diventando uno dei capi più affascinanti e rilevanti nella storia del costume.

Si pensa che la sua origine risalga addirittura al periodo Nara, cronologicamente attribuito dal 710 al 794, quando il Giappone si ritrovava nel suo travagliato rapporto con la Cina ad assorbire le usanze e i costumi del luogo, tra cui proprio una determinata veste proveniente dalla popolazione Han. Inizialmente il kimono, che letteralmente significa “cosa da indossare“, rappresentava una sorta di sottoveste per l’aristocrazia, ma ben presto, con l’aiuto dei samurai e successivamente del resto della popolazione, diventò l’elemento predominante nell’abbigliamento nipponico, costituendo un vero e proprio simbolo di cultura e folklore.

Guardando alle sue caratteristiche, ci ritroviamo davanti a una silhouette apparentemente semplice con una tipica forma a T dalle linee dritte sinuosamente avvolte attorno al corpo e maniche molto ampie. In realtà, il suo concepimento cela una complessa struttura che può vantare fino a dodici parti rettangolari derivate a loro volta da un singolo rotolo di stoffa chiamato “tan”, ciascuna delle quali possiede un nome preciso. Dall’orlo principale “fuki” al foro del braccio “sodetsuke”, passando per la “doura”, la fodera esterna, fino alla cintura “obi”, il suo design è stato soggetto a numerosi cambiamenti in base allo sviluppo dei tessuti e della loro tessitura, senza mai perdere la sua unicità e seducente anima esotica. Al contempo, però, il kimono è stato in grado di aprire un dialogo tra tradizione e modernità, Oriente e Occidente, generazioni e generi, guidato da una strada soltanto: la creatività. Alcuni aspetti sono sempre rimasti invariati, come per esempio l’assenza di taglie nei modelli da donna in favore di un’autentica arte nell’adattare il volume attraverso pieghe e fasce, o il suo essere indice di stato civile, occasione e rango in base ai colori, alla texture e alla forma. Tuttavia paragonare la sua identità originale a quella odierna può risultare alquanto straniante: è nel prosperoso periodo Edo, infatti, che si stabilisce con le caratteristiche che conosciamo oggi e diventa veicolo di fantasia e moda attraverso stampe intricate e motivi degni di un quadro. È stato formale e casual, rigoroso e liberatorio, umile e lussuoso; nella linea temporale il kimono si dimostra capace di mutare fluidamente e assumere significati differenti, pur rimanendo insostituibile in termini di presenza.

È soltanto in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, con l’occupazione americana, che i giapponesi lo hanno leggermente messo da parte per concentrarsi sulla nascita di quella che verrà chiamata estetica Americana, ossia una reinterpretazione dello stile occidentale in un continuo alternarsi di Est e Ovest a colpi di jeans importati da oltreoceano e preziosamente reinventati in loco, uniformi preppy e musica punk. Ciò non significa che il kimono è sparito dalla circolazione, anzi, negli anni Settanta, complice un’esplosione economica e culturale che si affacciava alla globalizzazione, è arrivato a esportare la sua raffinatezza negli altri continenti diventando oggetto di sperimentazione e multiculturalità, ed è esattamente qua che subentra il fashion system con i suoi stilisti costantemente alla ricerca di nuove ispirazioni da portare nei défilé.

Tuttora, camminando per le strade di Tokyo è facile incontrare persone di ogni età e sesso con indosso un kimono nella loro quotidianità e se una volta il prezzo esorbitante della manifattura faceva sì che venisse tramandato di generazione in generazione, oggi il mercato offre soluzioni più accessibili, sicuramente non in seta, broccato o satinato, ma magari in rayon o poliestere.

Questo fenomeno indica un grande interesse da parte del settore moda, che tenta continuamente di tenerne viva la diffusione pur adattandolo curiosamente al contesto contemporaneo e dunque ai nuovi trend. A fare da spartiacque è stata la leggendaria Triade Giapponese formata da Issey Miyake, Yohji Yamamoto e Rei Kawakubo di COMME des GARÇONS, che negli anni Ottanta ha stravolto le passerelle di Parigi con la sua visione basata su un botta e risposta concettuale tra Francia e Giappone. Ecco allora che il kimono si inserisce con una certa cautela nelle fashion week attraverso i filtri avant-garde, attirando l’attenzione per le sue doti eleganti e senza limiti. Dopodiché saranno i ribelli e visionari Alexander McQueen, Yves Saint Laurent e John Galliano a utilizzare un’onesta appropriazione culturale mettendo nelle loro collezioni delle versioni alquanto stupefacenti del kimono. Pensiamo alla famosa copertina di “Homogenic” in cui Björk gioca con i suoi tratti somatici cimentandosi nel ruolo di una geisha con tanto di kimono floreale disegnato appositamente per lei dall’amico McQueen, ma anche all’indimenticabile primavera/estate 2007 haute couture di Dior in cui Galliano ritrae un’incantevole versione orientale della Madame Butterfly. Seguiranno in tempi recenti Gucci, che con l’arrivo di Alessandro Michele ne ha fatto un cult, Dries Van Noten e le sue stampe, il tocco extra lusso di Versace, UNDERCOVER con l’omaggio a “Il Trono di Sangue” nell’autunno/inverno 2020 e di nuovo nella primavera/estate 2022 con una celebrazione della cerimonia del tè, l’esperimento gender-fluid di Thom Browne nella primavera/estate 2016, Etro e Supreme, prima nel 2016 in collaborazione con SASQUATCHfabrix. e quest’anno con Emilio Pucci, mentre nei cataloghi di visvim e KAPITAL risulta assolutamente immancabile tra modelli imbottiti di ispirazione militare, motivi bandana e denim. Per i designer giapponesi di oggi il kimono rappresenta una possibilità per andare alla scoperta dell’heritage e dare nuovo significato alla tradizione e non importa se si tratta di streetwear, alta sartoria o prêt-à-porter.

Kanye West, Kim Kardashian, Gigi Hadid, Beyoncé e Rihanna non ne sanno fare a meno, così come Madonna ne ha sfoggiato uno di Jean Paul Gaultier nel video di “Nothing Really Matters“. Come dimenticare poi Freddie Mercury e il suo messaggio contro gli stereotipi di genere e David Bowie che, nel ruolo di Ziggy Stardust, ne ha fatto il protagonista della sua collaborazione con Kansai Yamamoto.

Grazie a tutto ciò il kimono non ha fatto difficoltà ad entrare nell’immaginario collettivo della cultura popolare, anche grazie alle sue apparizioni iconiche in film di successo come “I Sette Samurai” di Akira Kurosawa, “Kill Bill” di Quentin Tarantino, “Star Wars”, “Karate Kid” e “Demon Slayer”. Soffermandoci in particolare sul manga/anime di Koyoharu Gotōge, considerata l’opera di genere più incisiva dell’ultimo decennio dal momento in cui il lungometraggio “Demon Slayer: Il Treno Mugen” ha sconfitto al botteghino “Titanic” e Hayao Miyazaki siglando il nuovo record, possiamo notare come il kimono sia un elemento assolutamente ricorrente e fondamentale. Le vicende vengono narrate nel periodo Taisho (1912-1926), momento storico in cui un nuovo clima di libertà, accompagnato dall’avanzamento tecnologico, apre il kimono alla produzione di massa e ne vivacizza colori e decorazioni attraverso disegni più brillanti e dinamici rispetto al passato. Questi aspetti si possono facilmente notare in ogni singolo capitolo, dove praticamente tutti i personaggi indossano il capo svelando tramite messaggi più o meno nascosti il loro carattere. Prendiamo come esempio il protagonista Tanjiro Kamado: lui indossa un haori sopra l’uniforme da ammazzademoni con un motivo a scacchi verde e nero ispirato ai costumi dell’attore Sanogawa Ichimatsu. Questa efficace scelta stilistica da parte dell’autore simboleggia innanzitutto un’appartenenza sociale umile, ma anche una prosperosa interiorità e un forte senso della famiglia. La sorella Nezuko la vediamo invece particolarmente legata al suo kimono iromuji decorato con un motivo asanoha a foglie di canapa sovrapposte, tant’è vero che lo aggiusta ripetutamente per non comprarne uno nuovo visti i problemi economici che affliggono il nucleo famigliare. Anche in questo caso l’abbinamento di colori rosa e viola vuole dire qualcosa, ovvero manifestano la sua dualità tra innocente ragazza e demone destinato a una maledizione. E poi c’è Zenitsu Agatsuma, che esibisce un motivo urokomon composto da triangoli equilateri che ricordano la forma delle scaglie di serpenti, draghi e pesci, rappresentando una protezione dal male e dalle maledizioni secondo un’antica tradizione legata al culto degli antenati. Storia e simbologia fanno dunque da collante alla trama rendendo “Demon Slayer” il media franchise più intrigante del momento sotto diversi aspetti. Tanto che anche Uniqlo UT gli ha dedicato una capsule collection, in uscita oggi.

Tutti questi esempi dimostrano come il kimono sia tutto sommato uno dei capi più versatili che si possa avere. Se non ne siete ancora convinti, vi possiamo dare qualche aiuto: il segreto per indossarlo al meglio è la giusta dose di ingredienti orientali e occidentali nello stesso outfit. Apprezzabilissime sono le versioni in seta o in cotone lunghe fino alla caviglia e tenute svolazzanti, alternative perfette al solito soprabito di mezza stagione, oppure i modelli semplificati da uomo che sostituiscono con grande fascino giacche o camicie dal taglio boxy. Basta saper scegliere con astuzia il materiale e il colore.

Insomma, che sia per le geishe più folkloristiche o per le fashion victim a caccia di street style accattivanti, nella sua storia millenaria il kimono continua a essere onnipresente e con ogni probabilità non ci abbandonerà mai.