Se ci credi, i sogni si avverano. Dalla maggior parte delle persone questo pensiero viene considerato come una frase retorica che si avvera soltanto nei film. In realtà chi pensa così si sbaglia e Gianpiero è la persona perfetta per dimostrarlo. La sua storia infatti non è un prodotto di fantasia, ma qualcosa che è successo per davvero e che farà tenere viva la speranza a ogni giovane talento in cerca del meritato successo.
Gianpiero D’Alessandro è nato il 14 ottobre del 1991 a Sant’Anastasia, un paesino in provincia di Napoli. Già da piccolissimo nutre un forte interesse per tutto ciò che riguarda il disegno e l’arte. Come tanti bambini comincia a realizzare delle operette sull’amore e sulla famiglia con i pastelli a cera, ma presto si rende conto che quel passatempo lo coinvolge sempre di più e lo spinge a fare di esso qualcosa di più concreto.
Nel frattempo il padre gli regala il suo primo computer, un mezzo che lo affascina poiché scopre la sua potenzialità nel valorizzare le sue creazioni. Con l’arrivo dei social network, primo fra tutti Facebook, Gianpiero decide di aprire una pagina dove all’inizio carica cinque vignette ritraenti i personaggi buffi del suo paese. Già nell’indomani quei post diventano virali nella comunità circostante, a tal punto da spingerlo a creare un libricino per beneficienza assieme al parroco del posto, le cui mille copie vanno a ruba nel giro di un quarto d’ora.
Questo sorprendente fatto lo motiva ancora di più e così dopo le “vignette anastasiane” arrivano i ritratti di personaggi famosi. Uno dei primissimi è Clementino, il quale apprezza molto l’artwork e decide di condividerlo sul suo profilo Instagram. Siamo nel 2013 e IG è ancora una novità per molti, compreso Gianpiero, che però decide di volerlo scoprire meglio e di utilizzarlo come suo nuovo mezzo di comunicazione. In quegli anni il creativo invade i social con i suoi disegni, fino a catturare l’attenzione di Snoop Dogg, che nel 2015 lo contatta in direct message per proporgli di disegnare la sua nuova linea di merchandising. Da lì in poi l’ascesa è continua e iniziano a fioccare anche delle importanti collaborazioni con nomi del calibro di Nike, Levi’s e Netflix, oltre a ricevere gli apprezzamenti di moltissime star, da Sfera Ebbasta a Naomi Campbell.
La svolta definitiva però arriverà alle 22:00 del 10 aprile 2019, quando sul cellulare di Gianpiero appare la notifica “justinbieber ti ha inviato un messaggio“. Il cantante stava pianificando di lanciare Drew House, il suo nuovo brand d’abbigliamento, e trovò in Gianpiero la persona ideale per ricoprire il ruolo di head designer.
Come è stato possibile? L’abbiamo chiesto direttamente a Gianpiero, con il quale abbiamo anche affrontato alcuni interessanti temi, dalla situazione dell’arte in Italia agli elementi che lo ispirano durante il processo creativo.
I tuoi lavori hanno cominciato a diventare virali su Instagram nel 2013, quando il social network era ancora una piattaforma non troppo affollata. Secondo te oggi un talento ha più difficoltà ad emergere?
Nel 2013 dedicai un disegno al rapper Clementino, il quale mi contattò e mi disse “Grazie, l’ho postato anche su Instagram”. Io non avevo nemmeno un profilo su IG e una volta scaricata l’app vidi che aveva taggato “@levignettedigianpiero”, cliccandoci su, dato che non c’era nessun utente che corrispondeva a quel username, si visualizzava il messaggio “utente non disponibile” e quindi decisi di utilizzare quel nome in modo tale che le persone potessero seguirlo cliccando sulla foto postata da Clementino. Da lì, dopo aver capito che alla gente poteva piacere quello che facevo, iniziai a creare cartoon taggando i personaggi famosi e da lì la mia prima collaborazione importante: Gianpiero x Snoop Dogg. Tramite Instagram iniziai a creare il suo merch ufficiale. Ovviamente oggi i social sono molto saturi di contenuti ed è molto più difficile emergere, soprattutto perché ci sono maree di contenuti simili. Per emergere ci vogliono idee originali in momenti esatti. Ma ci sono davvero molti creator che meriterebbero traguardi più concreti. Comunque, mai arrendersi.
Tra i tuoi modelli d’ispirazione c’è Andy Warhol, colui che diceva “in futuro tutti saranno famosi per 15 minuti”. Collegandoci a questa frase, cosa deve avere un personaggio per essere ritratto da te?
In realtà molti dei personaggi da me ritratti, anche in passato, sono personaggi che mi ispirano o che hanno la mia stima, persone che ce l’hanno fatta. Di certo lo stile dei personaggi da me ritratti è la cosa che più mi colpisce. È una sorta di empatia digitale. La cosa che mi fa sorridere è che ad oggi la maggior parte di quei personaggi da me stimati e da me ritratti, sono miei amici oppure persone che contraccambiano la stima. La vita è strana.
L’Italia è la patria di molti tra gli artisti più importanti di sempre, eppure, come tu stesso hai puntualizzato, tuttora l’arte viene considerata come un passatempo e per renderla un lavoro vero e proprio bisogna andare all’estero. Come mai, secondo te, c’è questa visione?
Questo è un tema su cui mi soffermo spesso anche parlando con amici o colleghi creativi. Io penso che il problema sia nella cultura del nostro Paese. Il lavoro dell’artista in passato era visto come un lavoro “nobile”, nel senso che gli artisti avevano il privilegio di avere a che fare con famiglie potenti e benestanti. Con il passare del tempo la cultura nazionale riguardo alcune tipologie di mestieri è variata. Tutti coloro che svolgono lavori basati su idee astratte sono visti come “perditempo” perché c’è poca curiosità sull’argomento e informazione. Ma credo che le nuove generazioni possano cambiare la visione di questa cosa nel giro di qualche decennio.
Nel 2019 Justin Bieber ti ha contattato per inserirti nel suo team creativo e ciò significa che la tua visione artistica era decisamente in linea con la sua immagine. In che cosa invece ti rispecchi tu della personalità e della creatività di Bieber?
Sin dalla nostra prima chiamata su FaceTime avevo capito che umanamente mi rispecchiasse molto, una persona vera, distaccata totalmente dal suo personaggio. Ci siamo trovati subito in sintonia e la sera che mi chiese di fargli qualche proposta grafica per Drew House gli mandai 70 grafiche in meno di 24 ore. Lui fu molto felice. Da lì iniziammo a scambiarci ricordi di infanzia per cercare di partorire immagini e grafiche felici. È stato un momento molto bello della mia vita. Poi quando siamo stati a pranzo la prima volta ho capito che quelle sensazioni che avevo avuto erano tangibili. Ora siamo molto amici e ci sentiamo anche per cose di vita personale e scambio di punti di vista. Ho imparato tanto da lui come persona.
Il rapporto tra musica e moda è stato sempre molto evidente, dando vita a numerosi brand di successo che sono stati fondati da cantanti. Pensiamo a Billionaire Boys Club di Pharrell Williams, YEEZY di Kanye West, OVO di Drake e Golf Wang di Tyler, The Creator. Senti una certa responsabilità in merito a questo nel momento in cui ti ritrovi a rappresentare un ruolo chiave per il brand di Justin Bieber?
Eh si! Mi sento davvero un grande peso sulle spalle. Di base considera che sono una persona molto ansiosa, vi lascio immaginare inizialmente l’ansia che avevo nel sapere cosa stavo facendo. Man mano ho capito che avevo davvero molto campo libero e si fidavano di quello che io stavo e sto realizzando, quindi ho deciso di cambiare approccio e iniziare a essere ancor più propositivo. Oggi stiamo lavorando su molte idee e il cantiere è sempre aperto.
Pizze, caffettiere e altri elementi riconducibili alla nostra cultura compaiono spesso nei tuoi lavori, nonostante con Drew House tu ti rivolga a un pubblico americano e internazionale. Qual è il messaggio che vuoi trasmettere con questa scelta? E a quanto pare Justin Bieber apprezza queste citazioni: che rapporto ha lui con l’Italia?
La base di tutte queste idee grafiche è l’attaccamento e la gratitudine per le mie origini: la mia Napoli, la mia Italia. Sono grato ai posti che vedo, ai cibi che mangio e indipendentemente dai posti in cui io vivo cerco di portarmi sempre con me quel bagaglio culturale che la mia città mi ha lasciato. Justin ama l’Italia e il cibo Italiano, infatti quando siamo a Los Angeles spesso le nostre location per cene o pranzi sono italiani, e oltre al cibo ama anche la costiera amalfitana e le nostre belle città.
Tutte le grafiche che hai disegnato per Drew House sono caratterizzate da un aspetto che trasmette subito felicità e in certi casi sembrano quasi vogliano tirar fuori il bambino che c’è in noi. Che cosa ti ispira durante il processo creativo? Perché hai scelto di adottare questo stile?
Il momento più puro della nostra vita è l’infanzia. Quello su cui ci siamo concentrati è stato proprio il cercare di tirare fuori dalle persone della nostra community le emozioni che provavano durante la loro infanzia. Un peluche, un giocattolo, un donut, sono cose che ci mettono allegria perché ci riportano indietro nel tempo, fermandolo per un secondo, e in quell’istante proviamo una felicità che è quella che appunto stiamo cercando di diffondere. Stiamo cercando di ricreare un “luogo” in cui le persone siano libere di essere se stesse, senza giudizi, senza limiti.