Texas Trigger racconta tutte le contraddizioni dell’America contemporanea

Il Texas è da anni un simbolo potente dell’identità americana. Si tratta di uno Stato dove convivono ricchezza smisurata e povertà estrema, libertà individuali e rigido conservatorismo, crescita economica e disuguaglianze strutturali. È il secondo Stato più grande del paese e se fosse una nazione indipendente, la sua economia si classificherebbe al decimo posto nel mondo. Il Texas appare qui come una sintesi estrema dell’America di oggi.

È proprio in questo territorio complesso e contraddittorio che nasce e si sviluppa Texas Trigger, il nuovo progetto editoriale del duo fotografico Marco P. Valli e Luca Santese, che appartengono al collettivo indipendente Cesura, una casa editrice e laboratorio fondato nel 2008 in Italia già noto per Realpolitik, un progetto fotografico incentrato sull’attualità politica del nostro Paese.

Dopo anni trascorsi a documentare l’attualità italiana, nel 2024 i due autori decidono di attraversare l’oceano per raccontare l’America nel pieno della campagna elettorale che ha riconfermato Donald Trump alla Casa Bianca, scegliendo proprio il Texas come territorio di base per fotografare, letteralmente, gli Stati Uniti e la loro evoluzione recente.

In un’epoca satura di immagini, in cui tutti possiamo fotografare e in cui ogni istante sembra già documentato, filtrato e condiviso, Texas Trigger rivendica il valore della fotografia come linguaggio. È insieme un libro, un diario di viaggio e una riflessione critica. Abbiamo intervistato i due fotografi.


Cosa vi ha spinto a scegliere proprio il Texas come territorio simbolico per raccontare le contraddizioni dell’America contemporanea?

Bisogna fare qualche passo indietro e tornare al 2017 quando, come duo di fotografi, abbiamo iniziato a seguire l’attualità politica italiana, dando vita a un progetto di critica e riflessione sull’iconografia del presente politico, tuttora in corso: Realpolitik.

L’anno scorso, in vista delle elezioni americane, abbiamo deciso di sviluppare un progetto per raccontare gli Stati Uniti durante la campagna elettorale. Vista però la vastità e la complessità del Paese, abbiamo identificato uno Stato che rappresentasse al meglio un certo tipo di America tradizionalista, conservatrice e repubblicana – oggi chirurgicamente incarnata dal governo Trump – e che racchiudesse alcuni dei principali temi dell’attualità americana che ci interessava approfondire: politica, armi, immigrazione, diritti civili e disuguaglianze sociali.

È stato così pianificato il viaggio in Texas durante il quale abbiamo percorso in auto buona parte dello Stato per oltre 8000 km, sviluppando, nell’arco di poco più di un mese, diverse storie simboliche dei nostri temi e visitato eventi legati alla campagna elettorale in corso.

C’è stato un incontro o una scena che nel corso del vostro viaggio vi ha colpito più di altri, a livello simbolico o anche visivo?

Ce ne sarebbero molte, perché tra il meeting della NRA (National Rifle Association) e le convention statali di repubblicani e democratici, non sono mancati incontri e scene paradossali. Tuttavia la conclusione del viaggio è stata senza dubbio una delle esperienze più simboliche e umanamente coinvolgenti: l’ultima tappa è stata El Paso, città all’estremità occidentale del Texas, dove abbiamo lavorato sul confine con il Messico e sul flusso migratorio. È qui che abbiamo incontrato Maria e Fernando, madre e figlio, che tentavano di attraversare il fiume Rio Grande, ultima barriera geografica prima di poter avere accesso al paese.

Molte delle persone che avete fotografato e incontrato sembrano vivere una realtà molto diversa da come noi europei immaginiamo lAmerica. C’è qualcosa che vi ha particolarmente spiazzato o costretto a rivedere i vostri preconcetti?

Abbiamo cercato di intraprendere questo viaggio senza grossi preconcetti sugli Stati Uniti ma quello che abbiamo trovato in Texas — in termini di eccessi e contraddizioni — ha ampiamente superato ogni aspettativa o cliché sulla “deep America” che un europeo potrebbe immaginare.

Per fare un esempio: sempre a El Paso, ci è bastato chiedere indicazioni stradali a un militare per ritrovarci trattenuti per tre ore, con tanto di perquisizione, interrogatorio e foto segnaletiche. Ci hanno poi spiegato che pensavano fossimo delle spie.

Il concetto di trigger” è centrale nella vostra opera, sia come strumento tecnico (l’idea di non inserire un indice né una struttura rigida nel libro) che come metafora emotiva. Come avete lavorato per trasformarlo in un filo conduttore del libro?

Abbiamo lavorato come si fa nel cinema, attraverso il montaggio delle scene. Il libro è strutturato in capitoli che seguono la cronologia degli eventi e degli incontri avvenuti durante il viaggio. La scansione dei capitoli non è affidata a un indice o a pause esplicite, ma a trigger emotivi che guidano il passaggio da un capitolo all’altro, pur mantenendo un racconto unitario. In alcuni casi, questo avviene accostando due fotografie appartenenti a storie diverse, che fungono da ponte visivo e concettuale, aggiungendo significati e sfumature alla transizione.

Qual è il ruolo della fotografia documentaria oggi, secondo voi, nel raccontare un paese così complesso e polarizzato?

Prima dell’avvento degli smartphone, i fotografi erano tra i pochi testimoni visivi del presente. Oggi, invece, gran parte della popolazione mondiale ha la possibilità di documentare la realtà che vive, e le testimonianze visive amatoriali, se verificate, risultano spesso più efficaci e autentiche di quelle prodotte dai professionisti.

Per questo motivo, al di là del nostro progetto e del contesto statunitense, riteniamo che la fotografia documentaria sia davvero incisiva solo se il fotografo lavora sul proprio linguaggio, organizzandolo come strumento critico e di riflessione, anziché limitarsi a “riportare” i fatti.

Pensate che il vostro lavoro possa avere un impatto anche fuori dal contesto artistico o editoriale, ad esempio nel dibattito pubblico o politico?

Questo non possiamo ancora saperlo, ma – come accade per Realpolitik – il nostro obiettivo, come fotografi e autori, è creare un’iconografia alternativa e di segno opposto rispetto a quella proposta dai media tradizionali e dal potere costituito.


Il nostro intento è sempre quello di far scattare una scintilla in chi guarda, innescare una riflessione, che abbia la forza di scuotere. Triggerare, per restare in tema.