“The Head in The Ball”: la malinconica scultura che ci spiega l’instabilità delle passioni moderne

La diffusione della cultura Hip-Hop, fenomeno che affonda le sue radici in America, è andata di pari passo con il sempre maggiore interesse riservato ai vestiti larghi, alle tute sportive e alle sneakers. La vera sneakers-mania, però, è esplosa a partire dal 1985 quando la guardia dei Chicago Bulls, all’epoca Michael Jordan, siglò un contratto storico con Nike

Di questo mondo lontano e oltreoceano, così come delle culture e subculture che portava con sé, in Italia se ne viveva solo il riflesso: un po’ per sentito dire, un po’ informandosi sulle partite di basket e facendo particolare attenzione alle scarpe utilizzate, un po’ ascoltando le storie degli amici più grandi che tornavano da quelle terre remote. 

È questo il sostrato da cui si sviluppa l’artista di cui oggi vogliamo parlare e, con lei, la sua grande passione per tutto ciò che orbita attorno al Jordan-World; vissuto di riflesso, coltivato intimamente, esplorato e ancor di più amato grazie ai film e agli spot di Spike Lee.

Punto di contatto tra passato e presente, è sicuramente la sua cara amica nonché collega Francesca Di Fazio.

Anche lei fotografa, vive però più immersa nello streetgame. Collaboratrice storica di Outpump, è ormai anche membro di Jordan family. E forte anche di questo, come ci racconta Viola, Francesca è stata indispensabile al progetto.

Il loro sentirsi spesso, il loro raccontarsi tutto, richiama un po’ la sua infanzia, quando gli amici che tornavano dall’America le raccontavano di quelle scarpe bellissime che avevano visto in giro. Da sempre appassionata di Jordan e di basket, non perde occasione per donare alla sua amica tutte le emozioni che questo mondo le trasmette ogni giorno. Così, la nostra artista, ha raccolto i ricordi della sua gioventù, l’amore folle e viscerale che la sua collega le racconta ogni giorno, e ha deciso di creare: “The Head in the Ball”. Un tributo alla sé ragazzina che non ha mai smesso di sognare, alla sé attuale che non ha mai smesso di viaggiare con la mente, alla sua fedele collega che la tiene costantemente in considerazione e la supporta ovunque sia.

Viola Pantano è un’artista dal multiforme ingegno, fotografa, performer e videomaker, ama l’arte a 360 gradi e la valorizza costantemente. Figlia di un tempo diverso dal nostro, vive la sua passione intimamente, si innamora di questo mondo lontano e lo idealizza dentro di sé, perché è così che prima dell’era di Internet si vivevano certi amori. 

A questo interesse che le ha donato tanto, soprattutto in adolescenza, lei oggi ha deciso di restituirgli qualcosa e di canalizzare i suoi moti affettivi in un’opera tangibile, che magari possa far riflettere chi si affaccia a questo mondo ora, o chi vi è già dentro ma lo vive con disillusione.

Il suo lavoro si chiama “The Head in the Ball”. Ambivalenza volta sia ad esprimere lo stato confusionario che porta con sé la nascita del primo amore (nel suo caso, con il mito di Michael Jordan), sia la viscerale passione che è nata negli Stati Uniti per la palla a spicchi.

A prima vista appare come una scultura in marmo, imponente e armonica, a ricordare canoni stilistici ormai lontani. Irridente e beffarda, però, porta in grembo l’ironia dei giorni nostri, della nostra smodata accessibilità a qualsiasi desiderio abbiamo. 

The head in the ball, 50cm x 50cm x 150cm
PLA, industrial glaze, pure gold, iron, 2018, edition of 1 – VP
ph. © Francesca Di Fazio

Quest’opera racchiude in sé tanti messaggi, ma forse questo è il più importante di tutti. Sotto l’apparente marmo, rappresentativo di una passione inscalfibile, troviamo fibre di plastica e altri materiali decomponibili. È la metafora del mondo streetwear di oggi: sotto lo scintillante luccichio delle immortali passioni, si celano mode biodegradabili e sentimenti di circostanza.

Oggi, per (s)fortuna, tutto è alla mercé di tutti. Questa maggiore accessibilità ha portato sicuramente semplificazioni nella vita degli appassionati, ma altrettanti finti tali decisi ad interessarsi di un mondo non proprio solo per sentirsi al passo, all’altezza di un’ideale che non gli appartiene.

La tecnica usata per la creazione di questo capolavoro è più moderna che mai. Sia il busto che il volto sono stati ottenuti mediante la scansione 3D, per poi essere stampati con la medesima tecnica. Il lavoro però, non è finito qui, nonostante la procedura innovativa, sono serviti mesi e mesi di lavoro e perfezionamenti per portare l’opera così come la conosciamo oggi. Il pallone usato, infine, è uno regolamentare Jordan.

L’ossimorica compresenza di plastica e sembianze marmoree riporta anche la riflessione ironica che costantemente Viola pone nella sua arte. Un’ironia amara che porta con sé la speranza dell’autoriflessione. Questa maestosa creazione vuole raccontare una bugia e lo fa nel migliore dei modi: subdolamente. È la menzogna delle apparenze e della precarietà delle tendenze moderne, della moda e dell’arte, sempre a correre per raggiungere l’ultimo trend per poi lasciarlo consunto una volta che non avrà più niente da offrire. È la sua vita, il suo amore per ciò che fa, messo alla mercé degli avvoltoi 2.0 delle passioni digitali.

La scultura, per la prima volta nella sua carriera, non sarà esposta nelle consuete gallerie d’arte. Così come all’epoca il basket venne spostato dal parquet e i suoi semi si diffusero ovunque, mettendo radici anche fuori contesto, la sua opera farà lo stesso. Decontestualizzare è un processo fondamentale per l’artista, poiché così si assicura che tutti riescano a fruire della sua riflessione anche imbattendosi casualmente in essa. È la palla a spicchi che dall’America arrivò tra le mani di quella ragazzina, è la beffarda rappresentazione della modernità che per caso raggiungerà anche chi si volta dall’altro lato di proposito, per non cedere all’inganno.

Al momento non abbiamo maggiori informazioni su dove sarà possibile visionare l’opera, nel frattempo date un’occhiata al video qui sotto e fateci sapere cosa ne pensate.

Photographer
Francesca di Fazio