“The Lighthouse”: l’incubo in bianco e nero di Robert Eggers

Dopo la saga di “Twilight”, Robert Pattinson si pose l’obiettivo di distruggere l’immagine che aveva creato di sé con il personaggio di Edward Cullen. Per questo decise di accettare solo progetti per certi versi estremi, che andassero a sporcare ciò che fino ad allora era stata la sua figura. Da quando si è posto questo obiettivo, Pattinson ha collaborato con tantissimi registi di alto livello, ma pochi hanno provato in modo così viscerale la sua capacità attoriale come Robert Eggers

Eggers è un regista di culto, una di quelle figure che gli appassionati di cinema guardano con sincera ammirazione per i film prodotti, che sono sempre forti, drammatici, intensi, che portano gli interpreti al loro limite. Alcuni lo conoscono per “The Northman”, il suo primo film con budget hollywoodiano, altri per l’horror “The Witch”, e altri ancora per “The Lighthouse”, uscito nel 2019 ma aggiunto solo di recente nel catalogo Netflix.

The Lighthouse” è un film strano, un oggetto misterioso che coinvolge un cast d’eccezione: il già citato Robert Pattinson e Willem Dafoe, basta. La pellicola – e in questo caso il termine non è usato come sinonimo di film, ma è puntuale perché si tratta di un progetto girato tutto in 35mm – si potrebbe genericamente definire come un horror psicologico, che ha come soggetti Thomas Wake (Willem Dafoe) e Ephraim Winslow (Robert Pattinson). In realtà nessuno di loro due è il vero protagonista, perché il motore della storia è l’isola su cui sorge un faro. Uno scoglio abbandonato a sé stesso nella parte remota del New England, dove le vite di Winslow e Wake finiranno per incrociarsi e consumarsi in una spirale sempre più autodistruttiva. Il rapporto tra i due è costruito sulla soggezione che il primo ha nei confronti del secondo, a causa della relazione di potere che li mette in una condizione di sbilanciamento. 

Dafoe infatti interpreta il soprintendente della struttura, l’unico che può realmente accedere alla punta del faro. È un uomo anziano, scavato dalla vita, e reso pazzo e alcolizzato a causa della solitudine e del lavoro. Pattinson si presenta come un uomo timido, in cerca di un lavoro con il quale guadagnare qualche soldo e con più di un segreto da nascondere. 

A partire da un rapporto distaccato, la loro “amicizia” (se così si può definire) si fa via via più problematica, con alti di sincera intimità e bassi caratterizzati dalla violenza e dall’espressione dei loro istinti più brutali. 

Una tempesta cambia tutto. Il rischio di rimanere bloccati su quello scoglio più tempo del dovuto rende Winslow (Pattinson) sempre più debole e nervoso, e così cede alla tentazione di bere, seguendo le orme del suo superiore. L’aumento del tasso alcolico produrrà un incremento costante della follia.

Il clima dell’isola in questo senso è fondamentale: tempestoso, buio, inospitale, come se l’animo dei protagonisti prendesse forma all’esterno di loro stessi. Da definizione dello stesso Eggers, questo film sarebbe dovuto essere “una storia di fantasmi in un faro girato a pellicola”. E così è alla fine, il film rispetta perfettamente le premesse del suo autore. Il bianco e nero e la fotografia accentuano ulteriormente la performance attoriale dei due, rendendo le loro espressioni più profonde, più sincere, più spaventose.

Il luogo del faro, con le sue storie e tradizioni, i riti e le superstizioni, diventa un pretesto per il regista per esplorare i limiti dei suoi personaggi e, nel caso di Pattinson, anche personali, dal momento che egli stesso ha dichiarato di essere stato completamente ubriaco per la maggior parte delle riprese del film e di non ricordarsi molto. Si dice che Dafoe abbia più volte minacciato di abbandonare il set, a causa delle condizioni spesso impresentabili del collega, che si era calato talmente nella parte da riuscire a toccare con mano la follia del suo personaggio. Lo stesso Eggers dichiarò che il clima sul set non era semplice da gestire, e che ha tirato un sospiro di sollievo a fine riprese.

Tanti sono i motivi per vedere il film: la trama, la performance, l’esplorazione della follia e dell’orrore. Si tratta senza dubbio di un prodotto da consumare, perché non accade spesso di trovare qualcosa di così toccante e viscerale che riesca a muovere nel profondo gli incubi delle persone. A quattro anni dalla sua uscita, “The Lighthouse” è un film che non passa di moda, e per questo possiamo dire grazie a Netflix per averlo messo finalmente a disposizione di tutti.