Nel mare magnum del mercato televisivo, tra lunghi piano sequenza e drammi in costume, The Studio si afferma come una bellissima e confortante anomalia. La serie, ideata e diretta da Seth Rogen e Evan Goldberg, in onda settimanalmente su Apple Tv+, focalizza la propria narrazione sulle esilaranti e cardiopatiche peripezie del nuovo Produttore Esecutivo della fantomatica Continental Studio, Matt Remick, e sul fantastico mondo di Hollywood, sempre più in crisi e distante dalla sua gloriosa golden age dei primi anni 20.
Matt, autentico cinefilo e voglioso di poter finalmente incidere nel suo sogno vitale chiamato cinema, cercherà inesorabilmente di produrre il film perfetto, salvo cadere inevitabilmente e costantemente nelle continue contraddizioni di cui la stessa industria si nutre ormai da anni. Tra improbabili trasposizioni cinematografiche tratte dal marchio di bevande Kool-Aid, per rimarcare il grande successo di Barbie, a film d’autore dall’estenuante durata, condito dai famosi party di Charlize Theron, ogni aspetto dell’industria cinematografica contemporanea diventa il perfetto teatro dell’assurdo in cui si muove il nostro antieroe.
Come afferma Rogen, chiamato ad interpretare il suo stesso protagonista:
«per quanto pietoso possa sembrare il conflitto interiore che il mio personaggio vive e respira in ogni attimo della sua vita professionale, è qualcosa che accade assiduamente a chi svolge realmente il ruolo di Capo di una produzione cinematografica. Amano il cinema, ma devono rispondere a un bilancio molto preciso, così come giustificare ogni scelta strategica davanti a un Consiglio di Amministrazione a cui della qualità del prodotto non interessa assolutamente niente».
Matt è senz’altro l’archetipo perfetto di uno sciocco egoista e codardo inetto, prostrato volontariamente agli ingranaggi dell’industria, ma il suo autentico e sincero amore per il cinema rende impossibile sperare nel suo fallimento, nonostante i continui sabotaggi del suo stesso reparto marketing. «Sei così ossessionato dall’idea di piacere agli attori e ai registi, invece che dall’idea di far guadagnare allo studio più soldi possibili”.
Ma cos’è che rende The Studio un racconto così perfettamente autentico e ironico dello stato dell’arte? Nonostante ci siano continui richiami e citazioni che renderebbero felice qualunque feticista del mondo cinematografico, così come i suoi stessi addetti ai lavori, la serie riesce dove fallì un’altro grande prodotto come Vinyl, che cercava di mettere in luce ogni singolo aspetto dell’industria musicale attraverso gli occhi di un produttore discografico agli albori degli anni 70. Vinyl finì per essere vittima di un continuo auto-citazionismo che rese la serie un prodotto per pochi; contrariamente The Studio attualizzando la narrazione riesce perfettamente nel mostrare le regole che imperversano nel cinema raccontando con dissacrante ironia un’industria sul viale del tramonto.
Mostrando perfettamente il seducente fascino di una Hollywood ormai andata, attingendo anche musicalmente ad un immaginario sonoro fortemente riconducibile ai fasti di Dixieland nei primi anni 20, così come al languido e ammaliante jazz dei primi anni 60, ne ridiscute la forma per provare ad immaginarne una nuova via.
Come analizza Andrew Belloni, ex Editor di The Hollywood Reporter, intervistato da Associated Press:
«The Studio riesce a catturare quel senso di angoscia esistenziale che ormai sembra attraversare ogni conversazione tra gli addetti ai lavori. C’è una consapevolezza diffusa: l’età dell’oro di Hollywood è finita, e l’intero concetto di cosa significhi Hollywood oggi sta cambiando radicalmente. Questo ha mandato completamente fuori di testa chiunque lavori nel settore. E la serie riesce a raccontare quella follia in modo estremamente efficace».
l ritmo della nuova Hollywood è forsennato, alla costante ricerca del prossimo franchise da spennare, e la composizione della colonna sonora di The Studio, ideata dal grandissimo batterista jazz Antonio Sánchez, non poteva essere da meno. Giocando con il vorticoso e ritmico piano sequenza che si conforma in ogni singola puntata, Sánchez costruisce una partitura contrappuntistica che non si limita unicamente ad accompagnare l’azione: la spinge in avanti, ne enfatizza l’estrema ciclicità degli eventi, rispecchiando il disordine controllato dell’industria attraverso un magistrale gioco di ritmi e tensioni fortemente ansiogeno.
Le composizioni percussive di Sánchez traducono in musica la volatilità concentrica del sistema degli Studios, trasformando il caos creativo in una forza trainante della narrazione. Come evidenziato in molteplici reportage che analizzano i ritmi disumani a cui vengono sottoposte le molteplici troupe di Hollywood, la musica originale diventa il perfetto ticchettio e il turbinio emotivo di un sistema in perenne collasso.
Antonio Sánchez invade prepotentemente la narrazione facendo si che la sua sezione ritmica diventi parte integrante anche del sound design della stessa serie, dettando letteralmente anche il ritmo delle conversazioni. Rimanere storditi dopo aver assistito ad ogni singolo episodio della serie è una controindicazione da provare assolutamente, sentendosi trasportati quasi in una composizione del grande jazzista bepop Max Roach in cui vocalizzi ed elucubrazioni sinfoniche dettano lo scenario circostante.
Se in Birdman la sua colonna sonora si “limitava” ad accompagnare il dietro le quinte dello spettacolo di rivalsa di un decaduta star del cinema, per TheStudio Sánchez realizza una partitura in cui la musica diventa elemento costitutivo del racconto, attraverso un ritmo ripetitivo che si scompone in molteplici motivi concentrici.
L’opera di Seth Rogen e Evan Goldberg, dai cameo esilaranti come Martin Scorsese, Charlize Theron, Ron Howard, Paul Dano e Zoe Kravitz, si attesta come uno dei prodotti più dissacranti ed originali del 2025 mettendo in mostra come l’industria cinematografica ancora balli tra lustrini, smoking e paillettes, mentre Hollywood brucia (letteralmente).