Stando a quanto recita il calendario nel 2024 la Reebok Instapump Fury 94 compie trent’anni, ma vedendola così non si direbbe. Se il processo di design e sviluppo della Fury non fosse così noto e ben documentato, e se non ci fosse di mezzo un genio come Steven Smith, sono convinto che questa scarpa sarebbe adatta come protagonista di qualche strano documentario notturno in stile “antichi alieni”, con qualche evolutissima civiltà extraterreste che tra una Grande Piramide e un cerchio nel grano ha deciso di lasciare sulla terra qualcosa di così assurdo per mostrarci come sono fatte le sneakers nel futuro.
Questa è la chiave di tutto: la Reebok Instapump Fury 94 appariva futuristica trent’anni fa, appare futuristica oggi e potrei giocarmi qualcosa che anche fra trent’anni saremo qui a parlarne nello stesso modo.
Lo sviluppo della Fury è iniziato nel 1992, durante la preparazione della line-up destinata alle Olimpiadi di Barcellona. Il progetto fu affidato a Paul Litchfield e Steven Smith – il primo è spesso considerato l’“inventore” della tecnologia Pump ed ha partecipato allo sviluppo della linea fin dal suo concepimento nella seconda metà degli anni ’80; il secondo è semplicemente un visionario prestato al mondo delle calzature sportive che in poco meno di un decennio trascorso lavorando con Reebok ha rivoluzionando l’azienda lavorando alla Fury, gettando le basi per il progetto DMX e anche disegnando il “vector logo” utilizzato ancora oggi.
L’Instapump Fury 94 non è la naturale evoluzione di come la tecnologia Pump è stata applicata al mondo del running, è un punto di rottura con tutto ciò che fino a quel momento si era visto nell’industria, non soltanto nel catalogo Reebok. Smith ha più volte raccontato come il design che aveva in mente fosse estremo fin dall’inizio ma che su consiglio di Steve Liggett, al tempo a capo dell’Advanced Concept Team di Reebok, realizzò alcune versioni edulcorate della Fury per le prime presentazioni per poi arrivare al modello che conosciamo oggi: una scarpa senza lacci in cui gran parte della tomaia consiste di una vescica gonfiabile, una suola divisa in due parti unite da una piastra in fibra di carbonio, una colorway incredibile anche per gli standard al neon di metà anni ’90.
La Fury è l’essenza delle sneakers di quel decennio: poche scarpe riescono a rappresentare così bene la follia, la sperimentazione, la volontà delle aziende di spingersi oltre i limiti posti dalla tecnologia per guadagnare spazio in un mercato selvaggio proponendo agli sportivi il meglio. Steven Smith decise di prendere quanto di meglio Reebok avesse da offrire – Pump, Hexalite, fibra di carbonio, la lista potrebbe continuare all’infinito – e unire tutto nel modo meno atteso. Non soltanto un tentativo audace di fare un passo avanti dal punto di vista tecnologico, ma anche una vetrina per mostrare al mondo di cos’era capace l’azienda e quali fossero le sue reali potenzialità.
Ancora oggi la Reebok Instapump Fury 94 è una sneaker difficile da digerire, figurarsi trent’anni fa. Per fare un paragone volutamente anni ’90 ci vogliono i giusti requisiti di sistema per processare e quindi apprezzare nel modo giusto una scarpa come la Fury. Non è un caso che nella lunga lista di fan della prima ora ci siano menti geniali come Björk, Steven Tyler o Jackie Chan, immortalato in una splendida pubblicità in cui il suo volto non si vede, ma un piede che veste le Fury sfonda una parete con un calcio.
Nel corso dei trent’anni successivi l’Instapump Fury 94 si è guadagnata un posto tra le sneakers più iconiche di sempre. A questo ha contribuito in particolare lo stretto rapporto con l’Asia: Reebok scelse il modello nel 1998 per commemorare l’”handover”, il passaggio dei territori di Hong Kong dal Regno Unito alla Cina. In Corea del Sud è da sempre uno dei best seller dell’azienda e in Giappone più che in ogni altro posto nel mondo la Fury è quasi venerata, apprezzata fin da subito con una spiccata semplicità nell’accogliere design più particolari e successivamente adottata tra i simboli non ufficiali della Sneaker Culture nipponica. Guardandola bene la Fury è così futuristica che non stonerebbe in qualche manga, magari come geta iper-tecnologico di qualche mecha-guerriero in stile Gō Nagai.
Data la sua complessità e la struttura molto intricata l’Instapump Fury 94 è una scarpa molto complessa da utilizzare come base per le collaborazioni, non è caso che per molti anni sia rimasta appannaggio di marchi, artisti e negozi asiatici finendo per rendere il modello il ponte con cui molti appassionati di sneakers in Europa e in America sono venuti per la prima volta a contatto con la Sneaker Culture giapponese e, più in generale, asiatica.
In occasione di questo trentesimo compleanno Reebok ha voluto rendere omaggio alla Fury lasciando che fosse LTD, la sua espressione più creativa, a mettere mano al modello, lanciando anche Instapump Sliver sulla scia della sua legacy. La creazione di Steven Smith è così proiettata nel futuro che anche a distanza di trent’anni i designer hanno voluto lasciare gran parte dei suoi elementi estetici invariati, giocando con l’utilizzo di nuovi materiali e andando anzi a limare alcuni degli spigolosi estremismi dell’originale. Reebok LTD, un acronimo che sta per Learn, Test & Design, è la piattaforma creativa del marchio, con cui l’azienda esplora la sua storia trovando nell’archivio gli stimoli per innovare e reinventarsi.
La Reebok Instapump Fury 94 non è una scarpa folle per il gusto di essere folle, ma il frutto del pensiero di alcune menti geniali che ad un certo punto del loro percorso creativo hanno deciso che la realtà di ciò che fino a quel momento era stato fatto e si era visto sugli scaffali dei negozi non fosse il massimo confine entro cui spingersi, ma il punto di partenza per esplorare oltre e creare qualcosa di mai pensato prima.
Per questo motivo la Fury mantiene ancora oggi il suo alone mistico: non avrà magari battuto dei record ai piedi di qualche grande atleta, ma ha fatto qualcosa di altrettanto importante e, forse, ancora più raro dimostrando a tutti come un nuovo modo di fare le cose fosse possibile e proprio questa è la vera legacy del modello. Un’eredità indelebile, visibile nelle grandi innovazioni degli anni ’90 e ’00, nascosta nei dettagli dei modelli che hanno alzato l’asticella dell’evoluzione tecnologica nel mondo delle sneakers. Un’influenza enorme sui progetti successivi dell’azienda e sulla concorrenza in primis, che voglia ammetterlo o no.
La Reebok Instapump Fury 94 è una concept car da grande salone finita per sbaglio su strada, giusto per dimostrare prima di tutto a chi non era ancora pronto per capirla fino in fondo di essere molto più di un design estremo.
Il suo posto è nei grandi musei del design e non nelle Hall of Fame dell’atletica perché chi sa andare oltre ai numeri, ai tempi su strada e ai dati di vendita saprà sempre apprezzarne la grandezza, il valore e il ruolo rivoluzionario nell’innovazione.
Per questo sono soprattutto i matti e i visionari ad avere da sempre un posto nel cuore per la Fury. Oggi come trent’anni fa e, senza timore di smentita, anche fra altri trenta.