Tutti i jeans che non sono jeans

Se i jeans sono finti vale lo stesso? Il fascino di questo capo sembra aver raggiunto il suo picco: una vetta in cui non è più necessario per loro essere di una fattura più o meno fedele all’originale ma è sufficiente ricrearne l’aspetto. Nell’ultimo anno è stato eclatante il caso della tuta “jeans” di Rag and Bone diventata immediatamente un caso enorme su TikTok. I pantaloni prodotti dal brand riproducono fedelmente tutti gli elementi dei jeans (compreso di zip, passanti per la cintura e bottoni) ma hanno la vita elasticizzata e sono realizzati in spugna di cotone super sottile, in una consistenza che ricorda quasi i leggings – nonostante il fit dei pantaloni sia molto baggy, scendendo dritto dalla vita e largo sulle gambe. L’abbinamento del materiale e la stampa jeans con tanto di scoloriture è reminiscente di un fenomeno stilistico (al limite dell’incubo) protagonista degli anni 2000: i jeggings. Anche se diversi nella forma, i due capi sono concettualmente la stessa cosa e fanno da sostegno alla tesi dell’”onnipotenza” estetica dei jeans

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Negli ultimi anni anche in passerella i jeans si sono dimostrati incredibilmente camaleontici assumendo forme, materiali e fatture lontane dalla tradizione senza mai essere disposte a perdere il loro “volto” di denim. Si era iniziato a parlare con più interesse di versioni alternative di jeans dopo la collezione Haute Couture Autunno Inverno 2023 di Valentino in cui Kaia Gerber aveva aperto la sfilata indossandone un paio lavoratissimo ericoperto interamente di perline che riproducevano le sfumature di un jeans usato. L’ondata di interesse era continuata con Bottega Veneta per la Primavera Estate 2023 con i jeans indossati in sfilata da Kate Moss realizzati in pelle nabuk e sottoposti a 12 passaggi di stampa per farli assomigliare il più possibile al capo originale. Un discorso in cui era passato inosservato il lavoro di Demna nella collezione Primavera Estate 2020 di Balenciaga in cui erano stati presentati due ensemble apparentemente in “denim” ma realizzati in realtà in raso di viscosa. L’effetto ottenuto da tutti questi esperimenti è quello comunemente chiamato “trompe l’œil” – introdotto nella moda come strascico del movimento surrealista per mano di designer come Elsa Schiaparelli negli anni ’20 del Novecento – che vuole ricreare l’illusione della realtà.

Tutto questo sembra solo confermare che non riusciamo a fare a meno dei jeans, anche quando non sono veramente jeans. Una passione che non è nuova e che ricopre un periodo di tempo che inizia con Jean Paul Gaultier nelle collezioni Primavera Estate 1994 e 1997 (con i suoi jeans stampati su pantaloni colorati in cotone e lana ma anche, anticipando i tempi, su una tuta grigia con elastico in vita) fino ad arrivare alla collezione uomo Primavera Estate 2025 di Acne Studios cha ha presentato dei pantaloni in cotone con stampa iper realistica di un paio di jeans completi di accessori — dalle chiavi appese con un moschettone ai passanti della cintura, fino alle catene decorative con charms e accessori vari. Complici gli avanzamenti tecnologici di stampe laser e 3D e una particolare tendenza all’effetto trompe l’œil, i jeans nella loro interezza sembrano aver raggiunto lo status di una stampa classica, al pari del tartan o del leopardato, rispondendo ad una apparente necessità: indossarli a tutti i costi