Un tormentone estivo non sempre è ciò che sembra

L’estate sta arrivando e si sente. Non tanto per il caldo, quanto per la quantità di tracce candidate a tormentone 2024 che ogni venerdì affollano la New Music Friday. Se settimana scorsa è stato il turno delle coppie improbabili con Tony Effe & Gaia e Ana Mena & Dargen, questa settimana tocca agli specialisti della hit estiva con Fedez, che torna a collaborare con Emis Killa, e i Boomdabash.

Le cartucce sparate a cadenza settimanale dalle major si aggiungono a un cocktail già bello carico dove si miscelano strascichi di Sanremo (“Tuta Gold” di Mahmood e “Sinceramente” di Annalisa), banger conclamati (“Come Un Tuono” di Rose Villain & Guè e “Miu Miu” di Tony Effe) e diesel da non sottovalutare (“Paprika” di Ghali e “Torcida” di Bresh). Aggiungete abbondante ghiaccio e avrete ottenuto il sottofondo di ogni lido della penisola per i prossimi tre mesi.

Nulla di nuovo in tutto ciò, considerando che la discografia italiana si regge fondamentalmente su due pilastri: Sanremo, che si è fatto il lifting negli ultumi anni, e il tormentone estivo, che dagli anni ’60 ad oggi è passato indenne dai jukebox alle playlist di Spotify. Che poi il tormentone all’italiana non è altro che una costola di Sanremo, dato che nasce da un brano scartato al Festival del 1961 (Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco) per via delle tematiche reputate troppo leggere. Se inizialmente tracce come “Sapore di Sale” di Gino Paoli e “Abbronzatissima” di Edoardo Vianello sono la naturale risposta alla ricerca di leggerezza degli italiani in seguito al boom economico, ben presto la discografia comincia a standardizzarne il processo di concepimento. Non è un caso che oggi la creazione del tormentone ricordi gli esperimenti con i piselli di Mendel: un producer specializzato, un autore quotato e una combo inusuale di due o più artisti famosi. Ma prima che si trovasse una formula collaudata, ogni esperimento aveva la sua chance.

È il caso di Lu Colombo – studentessa di storia dell’arte che divideva il suo tempo tra un giornale di musica e uno studio fotografico milanese – che nel 1981 pubblica la hit Maracaibo. Evergreen riempipista della musica italiana – resa celebre da Jerry Calà nel film Vacanze di Natale e da un’esibizione in TV di Raffaella Carrà – che mescola elementi della musica cubana e del folk brasiliano con il cantautorato italiano. Maracaibo sintetizza bene il passaggio dagli anni ’70 politicizzati agli anni ’80 disimpegnati. All’apparenza è una hit dance latina da ballare in spiaggia ma, soffermandosi sul testo, nasconde una storia affascinante che si intreccia con la rivoluzione cubana e l’emancipazione femminile. E infatti il pezzo – ironia della sorte, visto com’è andata per Fidenco a Sanremo – si scontra con la resistenza delle case discografiche che, per via delle tematiche considerati troppo scottanti, tentennano sulla pubblicazione. Difficile rendersene conto a un ascolto superficiale, ma la storia descritta nel tormentone di Lu Colombo è talmente ricca di dettagli che, se sviscerati, diventano un film racchiuso in una pillola di 4 minuti. Maracaibo racconta la storia di Zazà, una spogliarellista cubana che la notte balla al Barracuda e il giorno traffica armi con il paese di Fidel Castro. Proprio Fidel – che per aggirare la censura nella canzone viene rinominato Miguel – è il suo compagno. Fidel/Miguel è un rivoluzionario che passa le giornate a combattere, mentre Zazà lo tradisce con Pedro. Questo finché il leader cubano non sorprende i due amanti e tenta di uccidere Zazà, che scappa per mare sopravvivendo a una tempesta e al morso di uno squalo.

Nel finale della canzone scopriamo l’epilogo della storia. Zazà non si esibisce più, pesa 130 chili e ha aperto un bordello per stranieri. Ora – attorniata da ventitré mulatte, rum e cocaina – è finalmente libera di scegliere se e quando spogliarsi. Oltre a trattare tematiche molto in anticipo sui tempi, la hit di Lu Colombo segna l’inizio di una tendenza che diventerà la regola per i tormentoni italiani dagli anni ’80 fino ai giorni nostri. Maracaibo è il nome di una città del Venezuela, un nome esotico ed evocativo che nulla ha a che vedere con il resto del pezzo ma che suona talmente bene da solleticare l’immaginazione di chi
ascolta. Non è importante che la pronuncia della città venezuelana venga storpiata nel ritornello, ciò che conta è soddisfare quel desiderio di escapismo di cui il tormentone non può più fare a meno. Che si tratti di un ritmo latino, del nome di un cocktail esotico, o di una qualsiasi parola in spagnolo.