Se c’è un suono che, specialmente nella seconda metà degli anni ’10, ognuno di noi ha iniziato a conoscere, poi ad apprezzare e infine, forse, anche a detestare – quando quel suono ha finito per ossessionarci e perseguitarci in ogni canzone pop – quello è senza dubbio il dembow rhythm.
Il dembow rhythm – da non confondere con il dembow dominicano, sottogenere del reggaeton di cui El Elfa rappresenta uno dei maggiori esponenti – non è altro che quel “boom-ch-boom-chick”.
Con l’avvento della pandemia, l’onnipresenza nelle chart italiane e internazionali dell’amato/odiato reggaeton – che ha il grande pregio di non lasciare nessuno indifferente – ha iniziato lentamente a sfumare, lasciando spazio a un ritorno al passato e/o all’ascesa di nuovi generi musicali come l’afrobeats (che si candida per raccoglierne il testimone in materia di tormentoni estivi).
Ora però, per via di un enorme caso di violazione del copyright finito in tribunale, il genere non rischia solo di passare di moda ma di estinguersi completamente o, comunque, di doversi trasformare radicalmente.
Facciamo un passo indietro. Quello che non tutti sanno sul reggaeton è che quel suono caratteristico che associamo ai Caraibi e all’America Latina in maniera generica, in realtà, come gran parte della musica urban contemporanea, nasce in Jamaica. Per essere più precisi, nasce da un riddim – cioè la base strumentale utilizzata da più cantanti reggae e dancehall senza grosse preoccupazioni di copyright – realizzato da due produttori jamaicani decisamente all’avanguardia: Steely e Clevie.
Il riddim in questione si chiama Fish Market, è stato pubblicato nel 1989 ed è diventato molto famoso e utilizzato in Jamaica. Tanto che nel 1990 viene ripreso da Shabba Ranks – uno degli artisti dancehall più influenti del genere – che ne ha fatto una canzone intitolata proprio Dem Bow. La traccia ha ottenuto un grande successo internazionale e ha dato, di fatto, un nome a quello schema ritmico particolare inventato da Steely e Clevie.
Ma il vero successo internazionale del ritmo dembow non è dovuto né al riddim Fish Market né al brano Dem Bow di Shabba Ranks, quanto alla rivisitazione di un altro produttore giamaicano di stanza a New York, Dennis “The Menace” Thompson, che ha ripreso la ritmica originale di Fish Market per creare una nuova strumentale intitolata Pounder Dub Mix II. È proprio questo beat a risuonare per le strade di Panama e Porto Rico – dove veniva identificato semplicemente come “pounder” – a metà degli anni ’90 dando, di fatto, inizio all’epopea del reggaeton contemporaneo.
Proprio tra le strade di Porto Rico si muoveva Dj Playero, noto per i suoi mixtape dancehall e hip hop con freestyler portoricani, che nel 1994 pubblica Playero 38, settando di fatto il suono principale dell’underground e di quello che la gente avrebbe poi associato al reggaeton. All’interno del disco è presente anche un emergente che qualche anno dopo avrebbe portato il reggaeton nel mondo: Daddy Yankee.
Ora, torniamo a quello che sta accadendo. Steely e Clevie, da circa un anno a questa parte, si stanno facendo conoscere in tutto il mondo per via di una causa per violazione del diritto d’autore in cui rivendicano la paternità del dembow rhythm in tutte le canzoni in cui è stato utlizzato. La causa, inizialmente presentata nel 2021 ma rivista diverse volte, cita oltre 160 artisti, produttori, etichette discografiche e più di 1.800 canzoni che hanno utilizzato elementi del loro riddim senza autorizzazione.
Tra gli artisti coinvolti abbiamo nomi del calibro di Bad Bunny, Daddy Yankee, Rauw Alejandro e J Balvin, ma anche popstar internazionali inaspettate come Justin Bieber, Pitbull e Jason Derulo.
Nel giugno 2023 gli artisti e le filiali di tutte le major (UMG, Sony, Warner) – tutti accusati di violazione del copyright – hanno presentato delle mozioni per l’archiviazione del caso. La difesa ha sottolineato l’assurdità alla base della richiesta di Steely e Clevie, dato che i due produttori jamaicani rivendicano la paternità di un intero genere musicale. Il giudice federale incaricato, nonostante ciò, nel maggio di quest’anno ha deciso di non accogliere le mozioni presentate dagli accusati dando inizio alla fase istruttoria che durerà fino a marzo 2025.
Al di là di come andrà questa fase, le questioni che si aprono sono moltissime. Il caso di Steely e Clevie solleva domande difficili che richiedono risposte altrettanto complesse. Senza entrare troppo nel tecnico, il tema principale riguarda proprio le leggi che tutelano il diritto d’autore. Di fatti il plagio di una canzone solitamente si concentra sulla melodia, sul ritornello o sulle parti di un testo. Non di certo su un ritmo che non può essere trascritto su un foglio bianco o su uno spartito.
C’è da dire che questa impostazione del diritto d’autore è figlia della musica classica occidentale che, più che essere composta da ritmi particolari, si basa su melodie e accordi. Al contrario la musica di origine africana – che oggi domina il mercato internazionale in tutte le sue sfaccetature e derivazioni sotto il grande cappello di “urban music” – si basa su ritmiche complesse difficilmente salvaguardabili dal diritto d’autore. Perciò, tra le tante domande sottintese che il caso Steely e Clevie solleva, la principale è proprio: un ritmo può essere protetto dal diritto d’autore?
In base alla risposta a questa domanda, che rischia di paralizzare l’intera industria musicale, sapremo se siamo di fronte all’inizio di una rivoluzione del diritto d’autore che dovrà incorporare una visione meno occidentale ed eurocentrica. Ma prima di decretare la fine di una certa visione del diritto d’autore e del mondo della musica, tocca stabilire l’inizio del genere che continua a perseguitarci con quel “boom-ch-boom-chick”. Il reggaeton è morto, lunga vita al reggaeton.