Secondo i piani originali del CIO, proprio in queste settimane ci saremmo dovuti ritrovare incantati davanti alla televisione per guardare i trentaduesimi Giochi Olimpici. L’impatto globale dell’epidemia di COVID-19 ha spinto il Comitato Olimpico a posticipare di un anno l’inizio degli attesissimi giochi di Tokyo 2020 che sono diventati, così, Tokyo 2021: la prima Olimpiade moderna in un anno dispari, a 1651 anni dall’ultima.
Gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno enormi ripercussioni non soltanto sul mondo dello sport, dove hanno privato gli appassionati della più importante manifestazione al mondo, ma anche su quello delle sneakers, in cui le Olimpiadi sono il principale palcoscenico per lanci e presentazioni di nuovi modelli e tecnologie.
Uno degli episodi più importanti che lega le sneakers alle Olimpiadi è riconducibile ad Atlanta ’96 e ha come protagonisti Michael Johnson, delle scarpe dorate e una delle più incredibili imprese sportive mai registrate ai Giochi.
I Giochi Olimpici di Atlanta ’96, i ventiseiesimi dell’era moderna, si sono rivelati molto particolari per diversi motivi. Prima di tutto, in molti erano convinti che la giusta location per i Giochi fosse Atene, dato che proprio nel 1896 cadeva il centenario della prima Olimpiade moderna. Atlanta, la quarta città americana a ospitare un’Olimpiade nel ventesimo secolo, fu scelta dal CIO a discapito di Atene per motivi principalmente economici: fu ritenuta più solida e sicura, grazie anche alla presenza di Coca- Cola, già allora uno dei principali sponsor dei Giochi. Atene avrebbe dovuto attendere altri otto anni per vedere le Olimpiadi ritornare nel loro luogo d’origine.
Come successo nel 1984 a Los Angeles, gli USA non si lasciarono sfuggire l’enorme occasione di utilizzare un’Olimpiade giocata in casa come palcoscenico per i propri grandi atleti. Se dodici anni prima il protagonista ai Giochi californiani era stato Carl Lewis, questa volta è il turno di Michael Johnson: il velocista Texano era l’atleta più atteso, chiamato a riscattare l’assenza a Seoul ’88 e la delusione di Barcellona ’92.
Nel giugno 1996, a pochi mesi dall’inizio dei Giochi, ai Trials statunitensi Johnson si qualificò per competere nei 200 metri ad Atlanta, battendo il record di 19.72 secondi stabilito da Pietro Mennea quasi diciassette anni prima. La “missione” di Michael Johnson era ormai chiara a tutti: diventare il primo uomo a vincere l’Oro sia nei 200, sia nei 400 metri nella stessa Olimpiade.
In realtà l’obiettivo era nella mente di Johnson da diverso tempo e nulla fu lasciato al caso per provare a raggiungerlo. Durante le sessioni d’allenamento precedenti alle Olimpiadi, Nike assegnò a Tobie Hatfield, il fratello di Tinker, il compito di lavorare a diretto contatto con Johnson e disegnare la scarpa chiodata che l’atleta avrebbe indossato ad Atlanta.
Le richieste di Michael Johnson erano semplici soltanto in apparenza. Al contrario di molti atleti che cercavano nelle loro scarpe maggior supporto, il focus per Johnson era su trazione e leggerezza, anche a discapito di altri aspetti. Per Johnson la cosa più importante era “sentire la pista”, essere sicuro che tutta l’energia impressa allo scatto non andasse persa, anche a costo di soffrire in quei pochi secondi che avrebbero potuto renderlo l’uomo più veloce del mondo.
Dopo diversi prototipi Tobie Hatfield presentò a Johnson una versione dei suoi scarpini molto simile a quella che avrebbe indossato durante i Giochi Olimpici. Anche guardandolo oggi, a distanza di quasi venticinque anni, si tratta di un design estremo. La tomaia è realizzata in Zytel, un derivato del nylon composto in parte da fibra di vetro utilizzato in ambito automobilistico, ed è composta soltanto da tre elementi tenuti insieme da una singola cucitura. La suola sotto al tallone è completamente assente, mentre la piastra venne realizzata in carbonio e i chiodi con lo stesso materiale che oggi viene utilizzato per i vetri antiproiettile. Per garantire l’utilizzo di meno materiale possibile, Nike realizzò la scarpa sinistra in taglia US 10.5 e la destra in US11. Il peso totale dichiarato del prototipo è sotto ai 200 grammi per l’intero paio.
Le scarpe da presentare a Johnson vantavano una finitura a specchio e Swoosh blu, immaginando di poter realizzare degli scatti promozionali del volto dell’atleta riflesso nelle scarpe mentre era piegato sui blocchi di partenza. Il suo coach, Clyde Hart, però, fece notare come dagli spalti il pubblico avrebbe notato soltanto “un’altra scarpa argentata”. Sentendo parlare di argento Johnson capì subito che quelle non potevano essere le sue scarpe. Le sue scarpe puntavano all’oro. Sia Hatfield che Hart inizialmente non presero sul serio la proposta di Johnson, ma cominciarono presto a realizzare che nella sua mente non c’era spazio per il fallimento. Correre con scarpe dorate aggiungeva ulteriore pressione su Johnson mettendolo nella scomoda posizione di essere obbligato a vincere, pena l’essere tacciato di presunzione oltre ad una nuova delusione olimpica.
Nacque così una delle colorway più iconiche nella storia delle sneakers. Nike propose anche ad altri atleti di correre ad Atlanta ’96 con modelli derivati dallo sviluppo dei “Golden Spikes”, ma nessuno ebbe il coraggio di indossare scarpe con così poco supporto e con un design così estremo.
Il 29 luglio 1996, indossando le sue scarpe dorate, Johnson conquistò facilmente l’oro nei 400 metri con un tempo di 43.49 secondi, staccando di quasi un secondo il britannico Roger Black, vincitore della medaglia d’argento. Gli occhi di tutti, però, erano puntati sui 200 metri.
L’1 agosto, davanti a tutto il mondo e agli 85.000 spettatori all’interno del Centennial Olympic Stadium di Atlanta, Michael Johnson vinse i 200 metri in 19.32 secondi, battendo di oltre tre decimi il precedente record mondiale da lui stabilito il mese prima durante i Trials. Si tratta del più ampio margine di miglioramento registrato nel record mondiale sui 200 metri, un’impresa sportiva da molti paragonata soltanto al salto di Bob Beamon ai Giochi di Città del Messico nel 1968. Durante la corsa Johnson subì anche un infortunio muscolare che lo obbligò al ritiro dalla finale della staffetta 4×400, vinta dagli Stati Uniti nonostante la sua assenza.
Da subito tutti, tra fan e media, si trovarono a parlare non soltanto dell’incredibile impresa di Michael Johnson, il primo e ancora oggi unico uomo a vincere 200 e 400 metri in una singola Olimpiade, ma anche delle sue scarpe dorate, divenute immediatamente un’icona pop, finendo anche sulla copertina di Time Magazine.
Diverse versioni dei Golden Spikes furono realizzate per Johnson nel 1996: quella con gli Swoosh rossi e blu è visibile durante le gare, mentre una con entrambi gli Swoosh esterni rossi è immortalata insieme alle due medaglie vinte negli scatti promozionali.
Nike non realizzò mai una versione retail dei Golden Spikes di Michael Johnson. Il particolare design e gli enormi costi di realizzazione resero impossibile la produzione su larga scala, archiviando il modello, passato alla storia senza nemmeno avere un nome ufficiale, come un prototipo creato soltanto per l’atleta.
Vedere delle scarpe dorate ai piedi dei migliori sprinter del mondo sui blocchi di partenza alle Olimpiadi ormai non stupisce più nessuno, la scelta di Johnson è diventata quasi una tradizione e sono molti i brand che ne hanno imitato le scelte estetiche.
I Golden Spikes restano, ancora oggi, una dei simboli di Atlanta ’96, tanto da essersi guadagnati un posto d’onore nei Musei Olimpici di Losanna e Barcellona. L’impresa di Michael Johnson è ancora oggi ricordata dagli atleti e dagli appassionati di sport in tutto il mondo e le sue particolari scarpe hanno giocato un ruolo molto importante in questa storia.
Da sempre il vero obiettivo dell’innovazione sportiva è dare agli atleti il miglior supporto possibile per superare i propri limiti. Non ci sarà quindi da stupirsi se l’anno prossimo, alle Olimpiadi di Tokyo 2021, ci saranno delle scarpe dorate ai piedi di chi trionferà sulla pista del Nuovo Stadio Nazionale a Shinjuku.