Manuel Menini è un milanese di adozione, che parte dallo studio dell’arte a Genova per poi aprire Vincent Vintage Bijoux, una perla nel cuore di Milano specializzata in gioielli ed elementi decorativi vintage. Vincent parla una lingua moderna e il mondo dei suoi gioielli “non è solo legato ai giovani ma è contemporaneo; i miei gioielli vogliono assolutamente ritornare nel contemporaneo” ci racconta Manuel ripensando ai giovani artisti italiani che hanno scelto di indossare proprio i suoi gioielli su alcuni dei palchi più importanti d’Italia.
Dopo aver scartato una carriera da pittore e oltrepassato una da stylist, decide di non demordere e di circondarsi comunque di arte, ritrovando nei gioielli la sua passione per il dettaglio e la bellezza nascosta dietro di esso.
Il fascino delle cose provenienti dal passato è innegabile. Quando Madame, Ernia o Michele Bravi — artisti giovanissimi che sono voce di una generazione — si avvicinano a questo mondo e riescono a vedere qualcosa in oggetti come questi, vuol dire che è cambiato tutto.
Vincent è diventato anche il nome d’arte di Manuel, personaggio che è un po’ simbolo del suo negozio tra dolcezza e kitsch, sommerso tra busti di marmo e imponenti collane in corallo. “Da me entra il ventenne incuriosito come l’appassionato collezionista di 70 anni” spiega Manuel e continua, “è bello allargare il discorso verso i giovani, che adesso si avvicinano a un mondo — quello dell’antiquariato — che prima apparteneva di più ai loro genitori se non addirittura ai loro nonni”. Quello con i giovani è uno scambio continuo: essere un artista italiano di 26 anni sul palco di San Remo e indossare una costellazione di spille e ciondoli cameo su un completo Jacquemus come ha fatto Vegas Jones, mette in diretto contatto due mondi apparentemente opposti. L’attrazione verso l’artigianato e la ricerca del bello nei dettagli e nella qualità del prodotto è un concetto che sta tornando alle orecchie di tutti, e i gioielli non sono da meno.
Molti degli oggetti venduti da Vincent sono difficilmente replicabili oggi perché l’artigianato, i suoi tempi e costi sono cambiati. Quando Manuel trova uno di questi oggetti unici e impossibili da replicare è determinato, “il mio obbiettivo è risollevarlo dal dimenticatoio e far capire quanto in realtà sia contemporaneo”, ha spiegato, senza fare distinzione tra un bijoux pop in resina anni ’60 o una preziosa spilla in filigrana di inizio 1800.
Vincent fa da scintillante tramite e dialoga con un pubblico giovane “per far capire l’importanza di alcune cose che a volte vanno perdute”.
Perché i gioielli, ancora di più dei vestiti, sono creazioni capaci di sopravvivere agli anni e di passare tra le mani di generazioni intere raccogliendo frammenti di storia da tramandare. Il ruolo di Manuel è quello di ripescare questi frammenti di storie private e trovare in loro un nuovo erede. Il valore di questi oggetti sta nella loro unicità ed è proprio questo quello che cercano artisti come Michele Bravi, Madame o Ernia quando scelgono un gioiello vintage pieno di storia.
“Il gioiello non solo rappresenta determinati stili di moda, di costume, ma va anche a canalizzarsi su tante altre cose” rivela Manuel, “l’artista sceglie un determinato oggetto perché ci sono delle attrazioni inconsce verso di esso, è questione di fascino verso una cosa che non si vede tutti i giorni, che è lontana dal commerciale”.
Sul filo del discorso infinito sul vintage, anche il mondo dei gioielli ha quella che Manuel chiama “un’estetica legata all’unicità, un’attenzione al dettaglio notevole”. Come tanti, anche lui si è avvicinato al vintage per trovare oggetti più vicini al suo gusto, che non esistevano o che non poteva permettersi nel contemporaneo e piano piano è subentrata l’idea di una maggiore qualità e unicità che è propria del vintage.
“Uno dei valori più importanti nel bijoux di antiquariato è probabilmente anche il fatto che ha un’unicità, qualcosa di più insolito rispetto a un gioiello contemporaneo” illustra Manuel chiarendo candidamente tutto il successo dietro al suo progetto.
Persone che mai si sarebbero autonomamente avvicinate a oggetti come quelli di Vincent, ne hanno poi compreso il valore estetico e culturale, “la cosa bella è proprio far scattare quella scintilla, portare all’attenzione qualcosa che viene preso sottogamba o scartato” — e farlo brillare, aggiungeremmo.