È in un pomeriggio di fine ottobre che si sono incontrati Kid Yugi e Filippo Tamburi, una coppia che all’apparenza non ha nulla in comune: il primo è uno dei rapper emergenti più interessanti della scena italiana, proveniente da Massafra, in Puglia, l’altro è il designer e fondatore di Utopja, il brand street con ispirazioni utility sotto l’ombrello di OVS. Ecco, questo pomeriggio ha fatto capire, per l’ennesima volta, che l’apparenza inganna. Ci troviamo in uno studio fotografico milanese in cui viene scattata la nuova campagna fotografica del brand che vede Kid Yugi come protagonista.
Yugi e Filippo sono entrambi giovanissimi, classe 2001 il primo e 1998 il secondo, ma entrambi hanno creato qualcosa da zero che sta ricevendo un grande riconoscimento a livello nazionale. Il primo, il rapper pugliese, è una mosca bianca nella scena rap attuale, essendo già diventato con molta probabilità il rapper pugliese più riconoscibile della scena hip hop. Ci teniamo a sottolineare di non voler inserire Caparezza in questa lista perché il percorso dell’autore di Fuori dal Tunnel è quantomeno particolare e slegato dalle dinamiche del rap game italiano. Insomma, Yugi è già un simbolo identitario di una regione, un traguardo raggiunto in maniera totalmente controtendenza, con pezzi che raccontano sì la vita di strada, ma in maniera più teatrale che cinematografica, grazie a barre pregne di contenuto, riferimenti aulici e citazioni che meglio si apprezzano dopo ulteriori ascolti. Il designer di origine milanese invece ha un percorso totalmente diverso, che nasce non da una singola identità territoriale, ma da un mix di influenze date dalla permanenza negli Stati Uniti, in cui ha vissuto per diversi anni. È proprio l’esperienza americana che porta alla nascita embrionale di Utopja, il brand 3.0 che in pochissimo tempo ha raccolto numerosi successi trovando il supporto di influencer e artisti di tutta Europa. Arrivata ormai alla terza collezione, Utopja si è arricchita di nuovi prodotti dai tagli e dai materiali particolari come la sherpa hoodie e la felpa reversibile con un lato in teddy, mostrando una chiara direzione utility stagionale ma senza dimenticare gli elementi che l’hanno resa maggiormente nota fin dagli inizi, ovvero la facile indossabilità per via dei colori, stavolta composti da tinte autunnali che virano dal military green al chocolate brown.
Nonostante le origini vengano da oltreoceano, Filippo ci aiuta a capire come l’identità territoriale non sia più così rilevante e influente come una volta, per vari motivi. «Nella moda come nella musica, una cosa interessante portata dai social è la trasversalità nel gusto: ora infatti, secondo me, non c’è più una grandissima differenza nei trend e nei look su base territoriale. È più che altro la community generale online a creare la strada. Non a caso Utopja è un marchio nato tra gli Stati Uniti e Milano ma che, ad esempio, va fortissimo in Toscana». Il fatto che Utopja sia un brand con una forte identità digitale, non fa che fortificare la sua facilità nel raggiungere il pubblico. Allo stesso modo, anche le origini musicali di Kid Yugi mostrano un misto di influenze che erano impensabili fino a qualche anno fa: «In Puglia il rap non lo ascolta nessuno, anzi va fortissimo il neomelodico. Non lo dico come critica, sia chiaro, lo ascolto e lo apprezzo anche io. Sono cresciuto con la musica di mio padre, infatti ricordo che mi piacevano Rino Gaetano e Michael Jackson. A livello di rap, la nuova generazione dei napoletani è stata la prima ad arrivare a un grande pubblico anche da noi, soprattutto Geolier e per questo lo stimo davvero molto. Quel ragazzo ha fatto tantissimo per questo genere».
Mentre il pomeriggio scorre, non si può non ragionare su un concetto che accomuna appunto Yugi e i capi di Utopja che sta indossando. Il marchio distribuito da OVS si è già ritagliato una fetta di mercato importante, essendo molto apprezzato e indossato da diversi artisti della scena rap italiana. Allo stesso modo, l’artista pugliese si è costruito un pubblico non banale, gli apprezzamenti dei colleghi e collaborazioni importanti, quasi inaspettate per quanto grandi sono state in così poco tempo. Da qui una riflessione nasce spontanea: Kid Yugi è un emergente? E soprattutto, cosa identifica un emergente? «Dipende che criterio si usa. Perché se valutiamo un artista usando il tempo, è indubbio dire che non basta un anno o un disco con grandi numeri, serve costanza. Se invece consideriamo la fanbase, non possiamo ritenere emergenti artisti dal seguito molto vasto, per quanto giovani siano». Anche Filippo Tamburi di Utopja segue il medesimo ragionamento: «per me Utopja è emergente perché associo questa definizione al lasso temporale. È un progetto molto nuovo: siamo al terzo anno e per questo è ancora in affermazione. Certo, parliamo di un marchio legato a OVS che è il brand retail più grande in Italia, ma appunto per questo il potenziale è ancora grande». E così va considerato anche il percorso di Kid Yugi: «a livello temporale sono un emergente. Certo è che se parliamo di numeri, non solo negli stream, ma anche ai live, non si può negare che io e altri nomi della mia generazione siamo già emersi». E Kid Yugi non ha tutti i torti. Perché nel rap italiano c’è stata l’ondata del 2016, quella con Sfera Ebbasta, Tedua, Izi e altri che hanno portato un suono che originava sì dall’America, ma con riferimenti e intuizioni prettamente italiani. Poi c’è stata la drill con la sua rabbia, la sua voglia di farsi vedere, di affermarsi nonostante nessuno se lo aspettasse. Ora c’è una nuova wave di artisti talentuosi e affermati, guidati proprio da Kid Yugi che, anch’essa, ha le sue peculiarità: «secondo me noi portiamo un certo gusto per le liriche più rap nel senso tradizionale del termine, per le barre. Facciamo canzoni che hanno tante cose da dire. C’è stato un periodo in cui il rap non melodico veniva ostracizzato. Rimane però una fase importante che a mio avviso ha aperto il diaframma della fanbase rap attuale. Prima il rap era una cosa da rappusi e solo dopo quella fase è potuto arrivare a quelle persone non per forza fissate come me. Il pubblico generalista ci ha messo un primo piede all’interno e, come spesso succede, ci si è affezionato. Fa tutto parte di un disegno più grande che forse non è ancora completo».
Come la musica, anche la moda si trova in una fase di grande cambiamento, come fa notare Filippo Tamburi: «per me la scena streetwear è in un periodo di transizione. A mio avviso, con la scomparsa di Virgil Abloh, peraltro mio idolo e grande ispirazione, si è un po’ affievolita l’ondata di brand creati da designer dall’anima street collocatisi in una fascia più vicina a quella dell’alta moda. Ora, al contrario, stanno prendendo il sopravvento i cosiddetti “brand Instagram”, in Italia come nel resto d’Europa che, non a caso, hanno un punto di prezzo molto più accessibile».
Un altro grande parallelo tra musica e moda la troviamo nelle collaborazioni. «il mondo delle collaborazioni – ci conferma Filippo Tamburi di Utopja – sta un po’ spaccando in due il fashion: c’è chi le ripudia e chi le apprezza. Negli ultimi anni sono un po’ calate. Io amo creare sinergie, ma ovviamente se queste vengono concepite con un senso e non solo per il gusto di fare qualcosa. Penso però che prima sia importante affermarsi come brand con la propria identità, farsi conoscere al pubblico per chi sei davvero, e solo dopo arrivare alle collaborazioni. Infatti, con Utopja ci sto pensando solo ora perché volevo prima far conoscere quello che facciamo». Per questo motivo Utopja ha prima conquistato una posizione autonoma e credibile nella scena grazie a un attento studio dei fit e delle shape, ispirati ai più recenti trend contemporanei. Allo stesso modo, anche le collaborazioni musicali possono determinare il successo o la caduta di un artista e Yugi si è trovato una responsabilità importante, ovvero quella di rappresentare la nuova scena nei dischi più attesi dell’anno, che si parli di big come Tedua, Salmo e Noyz Narcos, Irama e Rkomi, Don Joe, o di emergenti della sua generazione come Artie 5ive e Tony Boy. «sinceramente la responsabilità non l’ho sentita più di tanto, ero più gasato per l’opportunità. Appena mi hanno mandato le tracce, ho sempre scritto di getto, sono stato velocissimo. Considera che per Paradiso Artificiale avevo solo il beat, ho scritto la strofa prima di Tedua».
Col passare del tempo, non è difficile percepire come le ambizioni di Kid Yugi e Filippo Tamburi siano le medesime, di come entrambi siano davanti a momenti chiave della propria crescita umana e professionale: da un lato, il disco che, dopo il successo The Globe, deve portare Yugi ad affermarsi con un grande pubblico, dall’altro la collezione che deve portare Utopja, come accennato da Filippo, a diventare un marchio identitario prima dell’arrivo delle collaborazioni. Ciò che traspare è anche un sentimento comune: la maturità. Entrambi sembrano più grandi dell’età che dimostrano, non tanto per un fattore estetico, ma più che altro per il modo di pensare e di esprimersi. Kid Yugi infatti ha un vocabolario veramente interessante, così come lo sono i suoi riferimenti, ma d’altronde parliamo di un ragazzo i cui riferimenti principali sono «Dostoevskij per la scrittura e Tarantino per il cinema», una formazione arrivata in maniera totalmente autonoma, così come è stata quella da designer di Filippo Tamburi che nelle proprie creazioni ha sempre aggiunto nuovi elementi, nuovi concetti e nuovi obiettivi: dall’utilizzo di nuove tecnologie e materiali per ridurre le emissioni di CO2 all’introduzione di una collezione donna, ma anche e soprattutto sullo studio e la ricerca di vestibilità sempre nuove.
Parlando con Yugi e Filippo si capisce come, seppur giovanissima, si sentano grandi e ricchi di responsabilità. Eppure, in queste parole, c’è anche un sottotono di rabbia, se vogliamo di nervosismo verso un contesto che accomuna tutti i giovani italiani, di cui loro oggi sono rappresentanti: «ormai anche noi 2001 abbiamo 22 anni – dice Yugi – a questa età c’è gente che ha fatto la guerra, che ha creato opere d’arte rimaste per sempre nella storia, che ha rivoluzionato il mondo della poesia e, arrivati a questa età, già hanno smesso, avendo ormai creato tutto ciò che potevano creare. In Italia non succede perché è un Paese che non lascia spazio creativo ai giovani… Anzi, non lo lascia manco ai vecchi! Tarpare le ali è il vero “Made in Italy”». Ma anche questa situazione non può fermare il talento.